Le Linee Guida in essa contenute, seppur ampiamente condivise, non hanno carattere vincolante, poiché il risultato probatorio può essere ottenuto anche attraverso protocolli alternativi scientificamente validi.
L'odierno ricorrente adisce la Corte di Cassazione avverso la sentenza d'Appello che rideterminava in peius la pena inflitta in primo grado, per il reato continuato di atti sessuali aggravati con minorenne.
Tra i motivi di doglianza, vengono evidenziate l'illogicità della motivazione nella pronuncia di condanna nonché violazioni di legge in tema di...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 15/1/2021, la Corte di appello di Trento, in parziale riforma della pronuncia emessa il 21/5/2019 dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, rideterminava in tre anni, undici mesi e tre giorni di reclusione la pena inflitta a V. R. in ordine al delitto di cui alla contesta; quale fattispecie continuata di atti sessuali aggravati con minorenne (nella specie figlia della propria convivente).
2. Propone ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
- inutilizzabilità della relazione peritale ex art. 191 cod. proc. pen.; applicazione di legge; mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La Corte di appello, peraltro travisando il contenuto della doglianza, avrebbe ritenuto utilizzabile la perizia resa in sede di incidente probatorio, sebbene esta avesse ad oggetto il giudizio di attendibilità della persona offesa, pacificamente demandato alla sola valutazione del giudice; il perito, del resto, avrebbe riproposto proprio al quesito che gli era stato assegnato, in punto di attendibilità, si sarebbe dilungato per molte pagine sullo stesso tema, dopo una sintetica ed apolittica valutazione della idoneità a testimoniare (peraltro, non richiestagli). l Giudici del merito avrebbero poi fatto proprie le stesse conclusioni;
- mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto al giudizio di responsabilità. La Corte di appello pur a fronte di un'accusa basata esclusivamente sulle parole della persona offesa - non avrebbe esaminato le numerose violazioni alla Carta di Noto verificatesi nell'audizione della stessa, e denunciate con il gravame, e si sarebbe discostata dalle stesse prescrizioni senza alcuna spiegazione, come invece dovuto. I precetti non osservati, in particolare, sarebbero riferibili agli artt.12 e 15 (in punto di valutazioni demandate all'Esperto, che non potrebbero mai riguardare espressioni come "attendibilità" o "credibilità"), all'art. 2 (sull'opportunità di sentire il minore il prima possibile, all'art. 3 (sull'opportunità che l'assistenza psicologica o psicoterapeutica :lei n· ino1·e avvenga solo dopo la deposizione), all'art. 7 (sull'opportunità che l'1 spert1) che coadiuva il magistrato nella raccolta della testimonianza sia diversa) da quello incaricato della verifica dell'idoneità a testimoniale. Unico profilo sul quale la sentenza fornirebbe risposta, ma del tutto non pertinente), all’art. 15 (sulla necessità che l'accertamento della capacità a testimoniare del minorenne-e precede la sua audizione; sull'impossibilità di inferire la capacità a testimoniare e dalle qualità stesse della testimonianza; sull'opportunità di valutare gli adulti di riferimento). Con riguardo, poi, al giudizio di attendibilità, la sentenza avrebbe omesso di trattare le numerose censure mosse con il gravame, superati con affermazioni apodittiche e generiche. Il riferimento è, in particolare, all’incidente probatorio, che non avrebbe confermato quanto descritto in querela ( da ritenere, pertanto, non sufficientemente provato), specie con riferimento agli iniziali approcci verbali ed all'abuso iniziale, prima descritto come privo di rapporto completo, poi come connotato proprio da questo e, dunque, non identificabile nell'altro. Gli stessi vizi motivazionali, poi, emergerebbero quanto alle dichiarazioni relative all'epoca (iniziale e finale) delle condotte, al ruolo della madre della giovane nella redazione della querela, alla genesi delle accuse ed ai possibili condizionamenti dichiarativi. Ebbene, a fronte di molteplici contraddizioni, incongruenze ed imprecisioni presenti nelle parole della persona offesa la sentenza avrebbe risposto con argomento del tutto apodittico e congetture ossia invocando astratti meccanismi di rimozione psicologica o di dissociazione. Le stesse accuse rivolte al ricorrente, peraltro, non avrebbero ottenuto alcun riscontro; con la precisazione - già richiamata - che i fatti indicati non avrebbero trovato conferma in incidente probatorio, dovendosi pertanto ritenere non sufficientemente provati. Da ultimo sul punto, il ricorso lamenta che il perito
- si ribadisce, chiamato ad una valutazione che non gli competerebbe evidenziato numerose criticità nelle parole della persona offesa, ma verrebbe superate con argomenti congetturali o con mere ipotesi; argomentazioni peraltro, pienamente condivisi dal Giudice di appello, senza alcuna critica, in forza del postulato della credibilità della ragazza;
- lo stesso vizio di motivazione è poi rilevato con riguardo alla ritenuta recidiva. A giudizio della Corte, l'aggravante soggettiva dovrebbe esser confermata, in quanto la sentenza antecedente (dalla quale la recidiva deriva) sarebbe passata in giudicato il 2/7/20n, ad abusi ancora in corso; diversamente però, la persona offesa avrebbe riferito che gli abusi sarebbero cessati due anni prima che l'imputato andasse via di casa, quel che era avvenuto nell’anno del 2013. A questo argomento, oggetto di gravame, la sentenza non avrebbe risposto;
- ancora la stessa censura è mossa quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la cui motivazione apodittica non valuterebbe elementi rappresentanti nell'atto di appello;
- infine, il triplice vizio di motivazione concernerebbe anche le statuizioni civili. La sentenza avrebbe dichiarato inammissibile il relativo motivo di censura, in realtà specifico quanto all'assenza di motivazione e all'entità del danno E' della provvisionale liquidata.
Motivi della decisione
4. Il ricorso risulta fondato nei limitati termini che seguono.
5. Con riguardo alla prima censura, che lamenta violazione di motivazione: vizio motivazionale in ordine alla risposta fornita dalla Corte di appello sull’eccezione di inutilizzabilità della perizia versata in atti, si richiama, innanzitutto, l'art 438, comma 6-bis, cod. proc. pen., a fondamento dello stesso motivo: questa disposizione, in particolare, stabilisce che la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell'udienza preliminare (come nella vicenda in oggetto) determina la sanatoria delle nullità, sempre che non siano assolute, e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio. Essa preclude altresì ogni questione sulla competenza per territorio del giudice.
5.1. Muovendo dalla lettera della norma, la difesa afferma, allora, che nel caso di specie ricorrerebbe proprio un'ipotesi di inutilizzabilità patologi è dunque rilevabile anche nel giudizio abbreviato, dal momento che la perizia - ampiamente richiamata da entrambe le sentenze di merito - conterrebbe plurime valutazioni circa l'attendibilità della persona offesa, e, anzi, avrebbe avuto ad oggetto proprio una tale verifica (come da quesito del Giudice), non anche - come dovuto - l'accertamento della sola capacità di deporre; verifica che, tuttavia, non sarebbe stato possibile demandare al perito, concernendo un'operazione valutativa propria del giudice, non delegabile e della quale lo stesso decidente deve rendere conto in sentenza, con adeguata motivazione.
Ebbene, il Collegio ritiene che questa tesi non possa essere accolta sotto un profilo di metodo e di merito.
5.2. Quanto al primo, si osserva che l'inutilizzabilità patologica - ipotesi estrema e residuale (Sez. 3, n. 23182 del 21/3/2018, D'Alessandro, Fv.) - ricorre quando l'atto sia stato assunto in violazione di una espressa disposizione di legge (ad esempio, le intercettazioni acquisite in violazione del divieto di cui all'art. 270 cod. proc. pen., o eseguite a mezzo di impianti esterni, quando il decreto del pubblico ministero non motivi circa l'inidoneità o l'insufficienza di quelli della Procura della Repubblica; le segnalazioni anonime; le dichiarazioni di un soggetto indagato in reato collegato o connesso senza le garanzie di cui all’art.. 197-bis cod. proc. pen.) o con modalità tali da pregiudicare in modo grave ed irreparabile il diritto di difesa dell'imputato (ad esempio, le dichiarazione rese da questi al perito). Ebbene, nessuna di queste ipotesi può esser invero riscontrata nel caso in esame, nel quale il perito - in effetti investito impropriamente della verifica dell'attendibilità" della persona offesa, invece rimessa alla valut1zione solo del giudice - ha svolto il proprio incarico senza violare alcuna disposizione di legge, e peraltro pronunciandosi - oltre che sul profilo demandatogli - anche sulla capacità a deporre della persona offesa, come chiaramente riportati dalla sentenza di appello (e riscontrato anche da questo Collegio); la Corte di merito, con adeguato argomento, ha infatti richiamato le conclusioni dell'esperto circa le competenze psicologiche e cognitive della ragazza, l'assenza di patologie, nonché la capacità di percepire, ricordare e raccordare gli eventi. Ne consegue che deve essere esclusa ogni ipotesi di inutilizzabilità patologica dell'atto, che dunque, ben poteva esser utilizzato - ai fini della decisione - nel rito di cui agli artt. 438 ss. cod. proc. pen. scelto dall'imputato.
5.3. Con riguardo al merito, poi, il Collegio rileva che, coerentemente a quanto sostenuto nel ricorso, l'attendibilità della persona offesa è stata affermata dai Giudici con mera adesione alle conclusioni del perito, ma in termini del tutto autonomi, ossia sviluppando una serie propria di considerazioni che - anche richiamando alcuni passi della relazione, ma sostanziandosi quanto dichiarato dalla persona offesa in sede di querela, di sommarie i.1fonr1i3zioni innanzi alla P.g. e di incidente probatorio - hanno concluso nei termini della piena attendibilità della stessa giovane, alla luce dei caratteri propri de n, sue dichiarazioni.
Il primo motivo di censura, pertanto, è del tutto infondato.
6. Alle stesse conclusioni, di seguito, la Corte giunge anche quanto al secondo motivo, particolarmente ampio, che contesta il triplice vizio di motivazione di cui all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. con riguardo all’affermazione di responsabilità del ricorrente.
6.1. In ordine al primo versante della doglianza, che lamenta un immotivato "scostamento" della sentenza dalle linee guida della Carta di Noto, con particolare richiamo agli artt. 2, 3, 7, 12, 15 e 16, lo stesso risulta inammissibile; per genericità. L'impugnazione, infatti, in questa parte - come nel corrispondente motivo di gravame - si sviluppa con caratteri del tutto astratti, con i quali si sostiene che nell'audizione della minore sarebbero state violati le note disposizioni richiamate, ma non si individua neppure un effetto concreto che da ciò sarebbe derivato, né una reale conseguenza pregiudizievole che l’imputato avrebbe patito. In altri termini, la questione non contiene una sostanza critica alla motivazione della sentenza impugnata (ad esempio, affermando che dall'inosservanza di questo o di quell'articolo della Carta sarebbe derivata una risposta della persona offesa effettivamente - o verosimilmente - non attendibile, che avrebbe inciso sul giudizio di responsabilità), ma si esaurisce in una denuncia formale e teorica, priva di ogni ricaduta effettiva, quindi inammissibile Alle, :,tessa denuncia, peraltro, la Corte di appello ha risposto con argomento sintetico ma congruo, alla pag. 13, limitandosi a rilevare, da un lato, che l'esame della offesa si sarebbe svolto secondo "un protocollo scientificamente accreditato e, d'altro lato, che comunque l'eventuale inosservanza delle p1·escrizioni della Carta di Noto non conduce ad alcuna nullità od inutilizzabilità di risultati probatori. Specie, peraltro, laddove tali effetti non siano neppure espressamente denunciati, come nel caso in esame.
7. Con riferimento, poi, al giudizio di attendibilità formulato sulla persona offesa, la relativa, ampia censura (n. 2) risulta del tutto infondata; il vizio di motivazione denunciato, infatti, non trova riscontro nella motivazione della decisione di appello, che - lungi dal muovere da postulati o petizioni di principio - ha confermato le conclusioni del primo Giudice con argomento ben congruo, fondato su oggettive emergenze istruttorie e non manifestamente illogico e come tale, dunque, non censurabile.
7.1. Occorre muovere, al riguardo, da un presupposto che il ricorso pone a fondamento di molte delle proprie considerazioni sul punto. Il riferimento è al rapporto tra il contenuto della querela e quello dell'incidente probatorio, l'uno pacificamente più generico, l'altro più specifico, ed al giudizio di m31:1giore affidabilità che i Giudici avrebbero assegnato al secondo, a scapito del primo con la conseguenza che quanto non confermato in sede di incidente probatorio ma presente solo in querela, non dovrebbe ritenersi sufficientemente provato, con ogni conseguenza anche in tema di attendibilità della dichiarante.
7.2. Questo assunto non è condivisibile.
La Corte di appello, come già il Tribunale, non ha sostenuto elle le dichiarazioni rese in incidente probatorio fossero più credibili delle éil1:re, o addirittura le sole credibili, ma - diversamente - ha sottolineato le maggior specificità delle prime rispetto alle seconde, perché rese in una "sede certo più adatta alla riflessione della caserma dei Carabinieri", oltre che "senza presenza di terzi". In particolare, in occasione della querela la minore aveva "tracciato a grandi linee i comportamenti dell'imputato nei suoi confronti", mentre in incidente probatorio aveva "descritto più specificamente alcuni episodi. Nessuna contraddizione tra i due contesti dichiarativi, dunque, ma solo una relazione per specificazione, che - come congruamente ritenuto - non poteva costituire indice di inattendibilità.
7.3. La piena credibilità della persona offesa, peraltro, è stata tratta dai Giudici del merito da numerosi elementi, diffusamente riportati nelle sentenza.
È stata sottolineata, infatti, una narrazione spontanea, complessa e coerente, oltre che priva di incertezze nei tratti essenziali, tali da conferme e la contestazione mossa all'imputato; è stato più volte rilevato il profondo tormento interiore che la giovane aveva patito, ed evidenziato nel corso delle sue audizioni; sono stati sottolineati alcuni "non ricordo" espressi dalla stessa persona offesa, espressione di atteggiamento sincero; è stato rappresentato che prop1·io questa sofferenza giustificava un racconto a tratti disorganico, con richiamo degli episodi in ordine di gravità, non già di tempo.
7.4. Con riguardo proprio a quest'ultimo profilo, poi, il ricorso lamenta che la madre della ragazza, presente in sede di querela, avrebbe molto influito sulla relativa ricostruzione, con possibili ripercussioni in punto di attendibilità anche questa censura, peraltro di puro fatto, risulta tuttavia adeguatamente superata dalla sentenza di primo grado - richiamata da quella di appello - che ha evidenziato che la persona offesa aveva riferito che con la madre aveva cercato di fare un po' le date", dal momento che i fatti in rubrica si collegavano, nel ricordo della giovane, anche ad eventi particolari (come l'uscita di casa dell'imputato, cacciato dalla compagna), che la stessa non ricordava esattamente quando fossero accaduti.
7.5. Nei medesimi termini, poi, si conclude quanto alla genesi del racconto ed alla sua spontaneità, che - ancora con argomento di puro merito, oltre che astratto - vengono messe in dubbio, nel ricorso, evidenziando che la querela sarebbe stata sporta in seguito ad un litigio nel corso del quale prima la sorella, quindi la persona offesa, avrebbero accusato la madre di non aver impedito gli abusi perpetrati dall'uomo nei confronti di entrambe; saputo di ciò, la donna - già rancorosa verso l'ex convivente - avrebbe "trascinato la figlia minore" dai Carabinieri, ":;fidi'1ndola a confermare le accuse", oltre che presenziando all'atto. Dal che un profilo di possibile condizionamento dichiarativo", non meglio circostanziato.
7.6. Ebbene, pronunciandosi sul punto, la Corte di appello - anche facendo proprie le considerazioni del G.i.p. - ha evidenziato, in senso contrario, che nessun indice di condizionamento era mai emerso, né suggestione. Pacifica, inoltre, era risultata la forte solitudine familiare di cui s1:ffriva all'epoca la giovane, così come la scarsissima confidenza che la stessa ave a con la propria genitrice e con la sorella, così da escludere - in assenza d qué1I _1nque elemento positivo - una denuncia strumentale e concordata dalle donne, in i:lanno dell'imputato. Una conclusione che, peraltro, risulta convalidata d3i p3:,saggi dichiarativi, già menzionati, nei quali la persona offesa ha sostenuto di non ricordare alcune circostanze, o ha reso un racconto frammentario; con argomento congruo e non censurabile, è stato ritenuto incompatibile "una persona previamente "ammaestrata" o in mala fede".
Il secondo motivo di ricorso, quindi, risulta ancora del tutto infondato.
8. Con riguardo, di seguito, alla terza censura, la questione concerne il momento del passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale. di Trento del 9/6/20n, avvenuto il 2/7, in rapporto all'epoca delle condotte illecite qui in oggetto: mentre la Corte di appello ha affermato che in quella data, gli abusi erano ancora in atto, il ricorrente richiama le parole della persona e 'fesa, che li collocherebbe entro il precedente mese di febbraio.
8.1. Ebbene, il Collegio osserva che l'accertamento su cui si fonda la censura risulta di puro fatto, e non può esser compiuto in questa sede, specie in presenza di elementi - ricavabili dalla sentenza - che consentano di aderire alla tesi del ricorrente. La stessa questione, peraltro, era stata posta in appello in termini palesemente dubitativi, richiamando parole (anzi, meri stralci dichiarativi) della persona.
9. In ordine, poi, alle circostanze attenuanti generiche, queste sono state negate dalla Corte di appello per assenza di "elementi concreti" di segno positivo; il ricorso contesta questa motivazione, evidenziando di aver indicato, nel gravame, plurimi indici favorevoli al riconoscimento delle stesse attenuanti. Di questi elementi, tuttavia, il Collegio non scorge traccia nell'atto di appello, che richiama soltanto - genericamente - il "corretto comportamento processuale'· e "la necessità di adeguare la pena al fatto"; indici, all'evidenza, privi di un effettivo contenuto, come correttamente sostenuto dalla sentenza impugnata.
Tutti questi motivi di ricorso, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili.
10. Fondata, per contro, risulta l'ultima censura proposta, che contenga la declaratoria di inammissibilità pronunciata dalla Corte di appello in ordine alla doglianza sulla liquidazione del danno alle parti civili e sull’entità della provvisionale.
Il primo Giudice aveva liquidato alla persona offesa la somma di 10000 euro a titolo di risarcimento (oltre a 5.000 euro alla madre), evidenziando la inefficienza fisica e psichica che questa aveva subito per le condotte del ricorrente, a sua giovane età ed il prolungato lasso temporale. L'imputato aveva sul punto proposto gravame, lamentando che non erano state raccolte prove sufficienti per consentire la stessa liquidazione, ritenuta peraltro eccessiva. Ebbene, pur a fronte di una censura che conteneva una questione specifica, sufficientemente definita, la Corte di appello si è espressa nei generici e non meglio motivati termini dell'inammissibilità, senza alcun argomento ulteriore. Dal che, una motivazione viziata, da annullare sul punto, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazioni delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili co 1 rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di 3ppE:lii), cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado d legittimità. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.