A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 148/2021, il Consiglio di Stato chiarisce cosa accade nell'ipotesi di rinnovazione della notifica nulla, in caso di mancata costituzione del soggetto intimato.
Con la sentenza n. 8303 del 13 dicembre 2021, il Consiglio di Stato ha fornito chiarimenti in relazione alla rinnovazione della notifica del ricorso nulla a seguito della sentenza n. 148/2021 della Corte Costituzionale.
Con tale pronuncia, infatti, la Consulta aveva dichiarato incostituzionale l'art. 44, comma 4, c.p.a. nella parte in cui subordinava la possibilità di rinnovare la notifica nulla (nell'ipotesi di mancata costituzione del soggetto intimato), all'assenza di una causa imputabile al notificante.
A seguito di tale decisione, il Consiglio di Stato ha precisato che in casi siffatti va disposto l'annullamento con rinvio al primo giudice della sentenza con cui il ricorso introduttivo del giudizio sia stato dichiarato inammissibile per via della nullità della notificazione ritenuta imputabile al ricorrente.
Tale conclusione deriva dall'efficacia ex tunc della sentenza di accoglimento della Corte Costituzionale e dal rilievo che, a causa di essa, risulta concretizzato un caso di lesione del diritto di difesa che rileva ai sensi dell'art. 105 c.p.a., anche se consegue all'applicazione di una norma incostituzionale anziché da un errore del giudice o da un vizio di procedura o, ancora, da una decisione.
Del resto, come aggiunge il Consiglio di Stato, alla stessa conclusione si giungerebbe anche tenendo conto dell'interpretazione giurisprudenziale degli effetti della declaratoria di incostituzionalità delle norme processuali, laddove si tende a far salve anche le eventuali preclusioni e decadenze che si sono già verificate (a patto che siano estranee all'applicazione della disposizione dichiarata incostituzionale), oltre all'eventuale giudicato anteriore alla sentenza della Corte Costituzionale.
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza (ud. 30 settembre 2021) 13 dicembre 2021, n. 8303
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Con ricorso dinanzi al T.a.r. Lazio (r.g. n. 5150/2003) l’odierno appellante proponeva domanda di accertamento del proprio diritto:
a) all’adeguamento retributivo in relazione agli avanzamenti di grado ottenuti, con corresponsione di interessi e rivalutazione;
b) alla differenza stipendiale dovuta come conseguenza del mancato adeguamento della retribuzione di godimento ai miglioramenti contrattuali nel tempo intervenuti.
1.1. In particolare, le pretese trovavano fondamento nell’estensione al personale militare della Croce Rossa Italiana della normativa prevista per il personale militare delle Forze Armate e dei conseguenti avanzamenti in grado conseguiti (mediante apposita decretazione).
2. Il T.a.r. Lazio, sede di Roma, sezione III-ter, con la sentenza n. 6955 del 2 luglio 2014, ha dichiarato il ricorso inammissibile ex art. 73, c. 3, c.p.a., a causa della mancata notifica dello stesso presso l’Avvocatura generale dello Stato, in ragione di quanto previsto da:
a) l’art. 52 d.P.C.M. 5 luglio 2002, n. 208 (“Approvazione del nuovo statuto dell’Associazione italiana della Croce Rossa”) – applicabile alla data di proposizione del ricorso (2003), ed oggi sostituito dall’art. 47, d.P.C.M. 6 maggio 2005, n. 97, di identico tenore – il quale prevede che “l’Associazione della Croce rossa italiana si avvale della consulenza e del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato”;
b) l’art. 14 dello stesso d.P.C.M. n. 208 del 2002, che dispone (così come il Codice dell’ordinamento militare, approvato con d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66), che “il Corpo militare della Croce rossa italiana ed il Corpo delle infermiere volontarie sono Corpi ausiliari delle Forze armate”;
c) l’art. 11, r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, secondo cui “Tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi altro atto di opposizione giudiziale, nonché le opposizioni ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizi che si svolgono innanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali, od innanzi agli arbitri, devono essere notificati alle Amministrazioni dello Stato presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’Autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa".
Il T.a.r. ha quindi dichiarato il ricorso inammissibile, escludendo la possibilità di disporre il rinnovo della notifica ai sensi dell’art. 44, comma 4, c.p.a.
3. L’originario ricorrente ha proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso originario. In particolare, l’appellante, articolando un’unica complessa censura, ha rilevato che alla data di introduzione del giudizio:
a) risultava approvato il nuovo statuto della Croce rossa italiana (d.P.C.M. n. 208/2002), il quale aveva fatto rientrare la C.R.I. tra gli enti con patrocinio autorizzato (e non obbligatorio) dell’Avvocatura dello Stato;
b) non risultava ancora approvato il codice dell’ordinamento militare (d.lgs. n. 66/2010), che avrebbe per la prima volta riconosciuto il corpo militare della C.R.I.
Trattandosi quindi di patrocinio autorizzato non sarebbe applicabile la disciplina relativa al Foro dello Stato e alla domiciliazione presso l’Avvocatura ai fini della notificazione di atti e provvedimenti giudiziali (art. 144 c.p.c.).
4. Si è costituita in giudizio la Croce rossa italiana.
5. Con ulteriore memoria difensiva l’appellante ha insistito nella censura dedotta.
6. All’udienza del 30 settembre 2021 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
7. L’appello è fondato e deve pertanto essere accolto.
8. Preliminarmente il Collegio osserva che, con la sentenza n. 148 del 9 luglio 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 44, comma 4, c.p.a. nella parte in cui tale disposizione subordinava la possibilità di rinnovazione della notifica nulla, in caso di mancata costituzione del soggetto intimato, all’assenza di una causa imputabile al notificante.
8.1. In particolare, la Consulta rileva che la norma censurata sacrifica in modo irragionevole l’esigenza di preservare gli effetti sostanziali e processuali della domanda e conduce ad esiti sproporzionati rispetto al fine cui la norma stessa tende.
Invero, se, da un lato, nel processo amministrativo la sottoposizione del diritto di azione al termine decadenziale di sessanta giorni di cui all’art. 29 c.p.a. assolve all’essenziale funzione di garanzia della stabilità degli effetti giuridici, in conformità con l’interesse pubblico di pervenire in tempi brevi alla definitiva certezza del rapporto giuridico amministrativo, tale esigenza risulta travalicata dalla norma censurata nella parte in cui essa fa discendere da un vizio esterno all’atto di esercizio dell’azione stessa la definitiva impossibilità di far valere nel giudizio la situazione sostanziale sottostante.
Pertanto, la limitazione, posta dall’art. 44, comma 4, c.p.a, della rinnovazione della notificazione del ricorso alle sole ipotesi in cui la nullità non sia imputabile al notificante non risulta proporzionata agli effetti che ne derivano, tanto più che essa non è posta a presidio di alcuno specifico interesse che non sia già tutelato dalla previsione del termine di decadenza. Inoltre, tale limitazione, ogni volta che l’accertamento della nullità interviene dopo lo spirare di detto termine – e, quindi, particolarmente nell’azione di annullamento, data la brevità dello stesso – comporta la perdita definitiva della possibilità di ottenere una pronuncia giurisdizionale di merito, con grave compromissione del diritto di agire in giudizio.
9. Come visto, le sentenze appellate hanno espressamente negato al ricorrente il beneficio de quo, in quanto la nullità ravvisata nella specie (notificazione eseguita presso la sede reale dell’Amministrazione, anziché presso l’Avvocatura dello Stato) è stata ritenuta imputabile al ricorrente stesso.
10. Orbene, non v’è dubbio che l’efficacia ex tunc della sentenza di accoglimento della Corte costituzionale, alla stregua dell’articolo 30, comma 3, della legge 11 marzo 1953, n. 87, non trova in questo caso limite in “rapporti esauriti”, essendo tuttora pendenti i presenti giudizi senza che sia intervenuto alcun giudicato.
Peraltro, si giunge alla medesima conclusione anche a voler tener conto dell’interpretazione data dalla giurisprudenza degli effetti della declaratoria di incostituzionalità di norme processuali, laddove oltre all’eventuale giudicato anteriore alla sentenza della Corte si tende a far salve anche le eventuali preclusioni e decadenze già verificatesi purché estranee all’applicazione della norma dichiarata incostituzionale (cfr. Cass. civ., sez. VI, ord. 24 settembre 2020, n. 20005; Cons. Stato, sez. III, 12 luglio 2018, n. 4264; id., 20 ottobre 2016, n. 4396). Invero, nel caso di specie, non risultano essersi verificate preclusioni o decadenze, essendo la stessa definizione in rito del primo grado del giudizio dipesa dalla diretta applicazione della disposizione poi dichiarata incostituzionale.
11. In ragione di tali considerazioni e con l’obiettivo di consentire al ricorrente la possibilità di rinnovare la notificazione dell’originario ricorso ai sensi dell’art. 44 c.p.a. nella sua attuale formulazione, il Collegio, in accoglimento del presente appello, annulla l’impugnata sentenza, con rinvio al primo giudice, ex art. 105 c.p.a., affinché il T.a.r. ordini la rinnovazione della notifica fissando all’uopo un termine perentorio.
12. Invero, sebbene nel giudizio di primo grado il T.a.r. abbia fatto corretta applicazione della norma nella versione vigente ratione temporis, la circostanza che la stessa norma, alla stregua dell’interpretazione che la Corte ha sempre dato del terzo comma dell’art. 30 della l. n. 87/1953, debba considerarsi ab initio illegittima induce ad escludere che la parte possa essere penalizzata col sacrificio di un grado di giudizio.
13. Del resto, la soluzione in questa sede adottata si pone in linea con i principi di tassatività e stretta interpretazione delle cause di rimessione al primo giudice ex art. 105 c.p.a., come affermati dall’Adunanza plenaria nelle sentenze nn. 10-11-14-15 del 2018, concretando un’ipotesi di lesione del diritto di difesa, ancorché derivante dall’applicazione di una norma incostituzionale anziché da errore del giudice o vizio di procedura o della decisione. Del resto, la stessa norma non declina in modo tassativo quelle che possono essere le cause della lesione rilevante ai fini del rinvio al primo giudice, facendo riferimento, per quanto qui interessa, ad una nozione di ampia formulazione (“è stato leso il diritto di difesa di una delle parti” – art. 105, comma 1, c.p.a.).
14. La novità della questione giustifica l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnata sentenza, con rinvio al primo giudice, ex art. 105 c.p.a., affinché il T.a.r. ordini la rinnovazione della notifica fissando all’uopo un termine perentorio.
Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.