La Cassazione ha chiarito che la contestazione sulla titolarità del diritto di credito ceduto è uno strumento di difesa, e non un'eccezione processuale in senso stretto.
Il convenuto, in qualità di cessionario del credito contestato, si costituiva nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo eccependo il difetto di legittimazione sostanziale attiva dell'opponente. Sia in primo che in secondo grado i giudici dichiaravano l'eccezione questione di merito e, poiché sollevata tardivamente, ne dichiaravano l'inammissibilità.
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Svolgimento del processo
1. Con atto di citazione notificato in data 19 novembre 1999 E. s.r.l. - deducendo di aver intrattenuto un rapporto di conto corrente presso la Banca Popolare di Rieti S.p.a. (che presentava un saldo negativo di lire 1.174.253.238, quale importo derivante dalla concessione di un finanziamento di lire 600.000.000) - convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma la Banca Popolare di Rieti S.p.a. e Unicredit Banca S.p.a., proponendo opposizione a decreto ingiuntivo n. 10568/99 con il quale le era stato ingiunto il pagamento della somma di euro 606.451,19. La società E. s.r.l. opponente - dopo aver premesso che il predetto decreto ingiuntivo era fondato su una sentenza di accertamento del debito emessa dal Tribunale di Roma (ed oggetto di appello ancora in corso di definizione) - evidenziò, nel merito della proposta opposizione, la nullità della clausola del contratto di finanziamento stipulato con la Banca Popolare di Rieti con la quale erano stati indicati gli interessi applicati con riferimenti generici, nonché per l'applicazione di interessi superiori a quelli pattuiti e l'illegittimità degli interessi anatocistici a cadenza trimestrale la cui pattuizione era da considerarsi affetta da nullità.
2. Si costituiva nel predetto giudizio di primo grado Credito Italiano S.p.a., quale cessionaria del ramo d'azienda di Unicredito Italiano S.p.a., a sua volta incorporante per fusione la Banca Popolare di Rieti S.p.a., contestando l'avversa opposizione di cui chiedeva il rigetto.
3. All'esito del giudizio - sospeso ai sensi dell'art. 295 cod. proc. civ., in attesa della definizione del giudizio avente ad oggetto l'accertamento dell'esatto saldo del conto corrente intrattenuto da E. s.r.l. (e nel corso del quale era intervenuta E.F. s.r.l., divenuta nelle more cessionaria del credito) - il Tribunale di Roma, con sentenza n. 23744/2007, revocò il decreto ingiuntivo opposto, condannando l'E. s.r.l. al pagamento in favore di E.F. s.r.l. della minor somma di euro 431.429,20. Più in particolare, la società E.F. era intervenuta nel giudizio di primo grado con comparsa ex art. 111 cod. proc. civ., depositata in data 21.9.2006, dopo la chiusura della fase istruttoria del giudizio, nella veste di cessionaria del credito in contestazione, e la E. s.r.l. aveva eccepito, nella prima comparsa conclusionale, il difetto di legittimazione attiva sostanziale della E.F..
4. Interposto appello da parte di E. s.r.l. avverso la predetta sentenza, la Corte di appello di Roma, con la sentenza qui di nuovo impugnata, ha rigettato il gravame, confermando pertanto le statuizioni di primo grado. La corte del merito ha ritenuto - per quanto ancora qui di interesse - che si discutesse, nel caso in esame, non già di un'ipotesi di carenza di legittimazione ad agire quanto piuttosto del difetto di titolarità del rapporto sostanziale controverso, avendo E. s.r.l. contestato l'effettiva titolarità di tale rapporto in capo a E.F. s.r.l., società che non sarebbe mai subentrata nel contratto di cessione in blocco dei crediti perché convenzionalmente stabilita l'esclusione dalla cessione dei "crediti in relazione ai quali alla data del 31 dicembre 2005 erano pendenti procedimenti giudiziari promossi dai debitori e/o eventuali garanti diretti ad accertare la non legittimità della capitalizzazione degli interessi debitori (anatocismo) ovvero la non autenticità dei sottoscrittori"; ha osservato che la suddetta eccezione, avendo ad oggetto una questione di merito, era stata sollevata tardivamente dall'odierna appellante solo nella sede della redazione delle comparse conclusionali, con ciò determinando l'inammissibilità anche del proposto motivo di gravame; ha evidenziato, tuttavia, che - anche a voler ritenere tale eccezione tempestivamente sollevata - era da considerarsi comunque infondata posto che, nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, è il creditore che, pur avendo la veste formale di convenuto, riveste la qualità di attore in senso sostanziale, con la conseguenza che tale tipo di controversia non rientrava nella clausola di esclusione pattuita nel contratto di cessione in blocco dei crediti.
2. La sentenza, pubblicata il 12.102016, è stata impugnata da E. s.r.l. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui P.A.M. S.p.a. ha resistito con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ. Si evidenzia che erroneamente la corte di appello avrebbe dichiarato l'inammissibilità del motivo di appello relativo al difetto della titolarità attiva sostanziale del rapporto controverso in capo alla E.F. s.r.l. posto che quest'ultima era intervenuta nel giudizio di primo grado con comparsa di intervento ex art. 111 cod. proc. civ., depositata in cancelleria il 21.9.2006 (dopo la chiusura della fase istruttoria del giudizio) e nella veste di cessionaria del credito in esame era comparsa, per la prima volta, all'udienza di precisazione delle conclusioni del 6.2.2007, di talché la E. s.r.l., nella prima difesa utile rappresentata dalla comparsa conclusionale, aveva formulato del tutto tempestivamente l'eccezione di difetto di titolarità attiva sostanziale del rapporto controverso in capo alla predetta società E.F. Osserva ancora la ricorrente che la corte territoriale non avrebbe comunque tenuto in considerazione che la contestazione della titolarità del rapporto controverso rappresenta invero una mera difesa e non già una eccezione in senso stretto, dunque proponibile in ogni fase e grado del giudizio, come tale rilevabile anche d'ufficio.
2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. cod. civ., ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., vizio di motivazione apparente, contraddittoria e manifesta illogicità. Si denuncia come erronea l'interpretazione fornita dalla corte di appello in relazione alla clausola negoziale sopra ricordata in premessa delimitativa dell'oggetto del contratto di cessione dei crediti, laddove era stato affermato che la predetta clausola avesse escluso dalla cessione solo quel complesso di crediti relativi a procedimenti nell'ambito dei quali il creditore non aveva rivestito la qualità di attore in senso sostanziale, con ciò violando i criteri interpretativi del contratto fissati negli artt. 1362, 1363, 1367 e 1369. Sostiene la ricorrente che nella locuzione "procedimenti giudiziari promossi dai debitori" avrebbero dovuto essere invece compresi tutti quei giudizi promossi dai debitori che avevano dato impulso ad una azione di accertamento negativo finalizzato alla verifica della sussistenza o meno del credito azionato nella fase dal creditore ingiungente, come nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo oggetto anche dell'odierna controversia, ove l'opponente (che rivestiva la qualifica di attore in senso formale nel giudizio di opposizione) aveva proposto una domanda di rigetto della pretesa creditoria avversaria. Si evidenzia inoltre che il provvedimento impugnato avrebbe errato, sempre nell'interpretazione della clausola negoziale in esame, per aver omesso di indagare la comune intenzione delle parti, muovendo in ciò dal testo contrattuale e verificando se questo fosse coerente con la causa del contratto, con le dichiarate intenzione delle parti e con le altre parti del testo contrattuale.
3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. Si evidenzia che era stato allegato, già nel primo grado di giudizio, l'esistenza di altro giudizio opposizione di all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., avente ad oggetto l'accertamento dell'esatto ammontare del saldo del conto corrente intrattenuto con la E. s.r.l., ove incontestabilmente la società E.F. rivestiva la qualità di convenuta.
4. Il ricorso è fondato quanto al primo motivo.
4.1 Sul punto giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (cfr. Sez. U, Sentenza n. 2951 del 16/02/2016), la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all'attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto. Occorre pertanto chiarire, anche sulla scorta dell'arresto reso dalle Sezioni Unite di questa Corte da ultimo ricordato, che la dedotta questione della titolarità sostanziale del diritto di credito oggetto di cessione rappresentava una mera difesa e non già un'eccezione in senso stretto, come invece ritenuto erroneamente dalla corte territoriale nella sentenza impugnata, come tale aperta al contraddittorio processuale (ed anche rilevabile d'ufficio) in ogni stato e grado del giudizio, con la conseguenza che la declaratoria di inammissibilità dell'eccezione (e del relativo motivo di gravame, sopra descritto in premessa), in ragione della sua tardiva proposizione - che rappresenta, invero, la ratio decidendi posta a sostegno del provvedimento reiettivo qui impugnato - risulta affermazione erronea in diritto che determina l'accoglimento del relativo motivo di censura proposto nella prima doglianza del ricorso per cassazione qui in esame. Sul punto occorre infatti precisare che la corte di appello ha ritenuto che il "difetto di titolarità del rapporto sostanziale controverso" configurasse un'eccezione sollevata tardivamente, solo in sede di comparsa conclusionale, e come tale inammissibilmente proposta (cfr. pagg. 9-10 della motivazione), con la conseguenza che le ulteriori argomentazioni di ricalzo - spese dalla corte territoriale per la ratio decidendi di rigetto nel merito (e riguardanti, come sopra ricordato, l'interpretazione del contenuto della clausola negoziale delimitativa dell'esclusione dalla cessione in blocco dei crediti) - rappresentano statuizioni rese solo "ad abundantiam" allorquando la corte di appello si era già spogliata, cioè, della "potestas iudicandi" in relazione al merito della controversia (Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007; v. anche: Sez. L, Sentenza n. 13997 del 15/06/2007; Sez. 2, Sentenza n. 9647 del 02/05/2011; Sez. 3, Sentenza n. 17004 del 20/08/2015; Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 30393 del 19/12/2017; Sez. 1, Ordinanza n. 11675 del 16/06/2020). Ne consegue che risultano inammissibili il secondo e terzo motivo di ricorso che riguardano proprio la ratio decidendi di rigetto nel merito della predetta questione relativa alla dedotta carenza di titolarità attiva del credito della società cessionaria E.F. s.r.l. (cfr. ss.uu. 3840/2007, cit. supra). La decisione sulle spese del presente giudizio è rimessa, in sede di rinvio, alla Corte di appello di Roma.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara inammissibili i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Roma che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.