Un motociclista cade in una buca e chiede il risarcimento dei danni per le lesioni subite al Comune: la Cassazione fa chiarezza sulla rilevanza della condotta colposa del danneggiato ai fini dell'interruzione del nesso causale fra il fatto e l'evento dannoso.
Il Tribunale di Napoli rigettava la domanda dell'attuale ricorrente proposta contro il Comune di Napoli, avente ad oggetto la condanna al risarcimento dei danni derivanti dalle lesioni subite a causa di un sinistro stradale. Nello specifico, il ricorrente era alla guida di un motociclo quando finiva in una buca presente in corrispondenza di un giunto di dilatazione, perdendo dunque il controllo del mezzo e cadendo sul suolo.
A seguito di gravame, anche la Corte d'Appello rigettava la domanda di risarcimento, tenendo conto delle condizioni di buona visibilità e del fatto che la buca avesse dimensioni apprezzabili, dunque il motociclista avrebbe potuto vederla ed evitarla se solo avesse prestato la dovuta attenzione alla guida e non avesse proceduto a velocità elevata.
Contro tale decisione, il danneggiato propone ricorso per cassazione, lamentando il fatto che la Corte avesse ravvisato in modo errato gli estremi del caso fortuito.
Con l'ordinanza n. 39965 del 14 dicembre 2021, la Corte di Cassazione dichiara il suddetto motivo di ricorso fondato, osservando come le argomentazioni del Giudice di seconde cure siano errate alla luce della pacifica riconducibilità della fattispecie al paradigma di cui all'
Alla luce di tali argomentazioni, gli Ermellini affermano che «ove il danno consegua alla interazione fra il modo di essere della cosa in custodia e l'agire umano, non basti a escludere il nesso causale fra la cosa e il danno non solo una condotta lato sensu colposa del danneggiato, richiedendosi anche che la stessa si connoti per oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed imprevenibilità che valgano a determinare una definitiva cesura nella serie causale riconducibile alla cosa, ma a maggior ragione una condotta del danneggiato che, senza essere in qualche modo inosservante della normalità dell'esercizio dell'attività esercitata legittimamente sulla cosa, come nella specie la circolazione sulla pubblica strada, risulti, e comunque senza che ciò risulti, si profili solo ex post, cioè all'esito dell'apprezzamento dopo il verificarsi del danno dovuto alla condizione della cosa, tale che, se non fosse stata tenuta nel modo in cui lo è stato, il danno si sarebbe potuto evitare nonostante quella condizione».
Del resto, come la Corte ha già avuto modo di affermare, il comportamento imprudente del danneggiato interrompe il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso allorché si connoti per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
Non essendo chiaro nel caso concreto la velocità di andamento del motociclista, il limite di velocità prescritto e se esso fosse stato superato, da quanto tempo fosse presente la buca né che tipo di manutenzione e con quale frequenza il Comune la esercitasse sulla strada, e considerando che tali elementi erano indispensabili per ricostruire la condotta del ricorrente ai fini dell'incidenza causale della sua condotta sulla verificazione dell'evento, gli Ermellini accolgono il motivo di ricorso.
Svolgimento del processo
G.C. convenne in giudizio il Comune di Napoli per sentirlo condannare al risarcimento dei danni conseguiti alle lesioni riportate in un sinistro stradale verificatosi il 12.6.2013, in Napoli, allorquando, percorrendo la S.S. 162 alla guida di un motociclo, era finito con la ruota anteriore in una buca presente in corrispondenza di un giunto di dilatazione, perdendo il controllo del mezzo e rovinando al suolo; il Tribunale rigettò la domanda; provvedendo sul gravame del C., la Corte di Appello lo ha rigettato, osservando che: risultava provata l'anomalia della sede stradale costituita da una buca (delle dimensioni di 21x25 centimetri e profonda 10 centimetri) in corrispondenza di un giunto stradale; «la presenza di una sconnessione del fondo stradale costituisce in tesi una anomalia rispetto all'utente che faccia affidamento sulla normale transitabilità della sede viaria»; tuttavia, tenuto conto delle condizioni di buona visibilità (il sinistro si era verificato alle ore 15,20, in condizioni di tempo sereno e in un tratto rettilineo) e del fatto che la buca aveva «apprezzabili dimensioni» e non era occultata da materiali di sorta, il motociclista avrebbe potuto avvistarla tempestivamente, cosicché l'incidente risultava prevenibile ed evitabile dal C. ove lo stesso avesse prestato la dovuta attenzione alla guida e non avesse proceduto ad elevata velocità; tanto premesso, «sia che si inquadri la fattispecie in esame sotto l'egida normativa dell'art. 2051 c.c. (responsabilità da cose in custodia), ovvero sotto il referente normativo dell'art. 2043 c.c. (cd. insidia o trabocchetto), in entrambe le ipotesi il delineato comportamento colposo dell'utente danneggiato esclude la responsabilità della PA, integrando il c.d. caso fortuito -comprensivo del fatto del terzo e della colpa esclusiva della vittima - che interrompe il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno»; ha proposto ricorso per cassazione G.C. affidandosi a due motivi; ha resistito il Comune di Napoli con controricorso; la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'art. 380- bis.1. c.p.c.; il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
col primo motivo, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2051 e 1227 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c.: richiamate Cass. nn. 2478, 2480, 2482 e 13542 del 2018, lamenta che la Corte territoriale «ha ravvisato gli estremi del caso fortuito, senza valutare che il caso fortuito deve essere connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode»; assume che la propria condotta di guida «non ha avuto il carattere di autonomia, eccezionalità, imprevedibilità ed inevitabilità tale da escludere la responsabilità del custode, in quanto possa reputarsi "caso fortuito"» e rileva che, quand'anche risultasse accertata una condotta colposa del conducente, ciò non basterebbe di per sé ad escludere la responsabilità del custode, «in quanto occorre, anche, che quella condotta non fosse prevedibile»; il motivo è fondato e merita accoglimento, nei termini e per le ragioni che seguono; pur facendo riferimento al paradigma della responsabilità per danno causato da cose in custodia, la Corte territoriale ha erroneamente "letto" la vicenda sotto la lente propria del paradigma dell'art. 2043 c.c. (finendo, a pag. 6, per assimilare gli effetti dei due inquadramenti ai fini del rigetto della domanda); infatti, pur richiamando formalmente il criterio di imputazione di cui all'art. 2051 c.c., la sentenza ha mostrato in modo inequivoco di ritenere che la responsabilità del Comune potesse essere configurata soltanto a fronte del concreto riscontro di un'insidia" (o pericolosità occulta della cosa), così da valorizzare il dato della avvistabilità della buca e, quindi, la prevedibilità ed evitabilità parte del conducente e pervenendo all'esclusione della responsabilità del convenuto sull'assunto che l'anomalia stradale potesse (e dovesse) essere rilevata dal C.; una siffatta impostazione risulta tuttavia erronea alla luce della pacifica (e formalmente dichiarata dalla sentenza impugnata) riconducibilità della fattispecie in esame nel paradigma dell'art. 2051 c.c., e non in quello dell'art. 2043 c.c., senza possibilità di utilizzare, per l'accertamento della responsabilità del custode, categorie ad essa non pertinenti; è pacifico, infatti, che: la responsabilità ex art. 2051 c.c. ha natura oggettiva e discende dall'accertamento del rapporto causale fra la cosa in custodia e il danno, salva la possibilità per il custode di fornire la prova (liberatoria) del caso fortuito, ossia di un elemento esterno che valga ad elidere il nesso causale e che può essere costituito da un fatto naturale e dal fatto di un terzo o della stessa vittima; tale essendo la struttura della responsabilità ex art. 2051 c.c., l'onere probatorio gravante sul danneggiato si sostanzia nella duplice dimostrazione dell'esistenza (ed entità) del danno e della sua derivazione causale dalla cosa, residuando a carico del custode -come detto- l'onere di dimostrare la ricorrenza del fortuito; nell'ottica della previsione dell'art. 2051 c.c., tutto si gioca dunque sul piano di un accertamento di tipo "causale" (della derivazione del danno dalla cosa e dell'eventuale interruzione di tale nesso per effetto del fortuito), senza che rilevino altri elementi, quali il fatto che la cosa avesse o meno natura "insidiosa" o la circostanza che l'insidia fosse o meno percepibile ed evitabile da parte del danneggiato (trattandosi di elementi consentanei ad una diversa costruzione della responsabilità, condotta alla luce del paradigma dell'art. 2043 c.c.); al cospetto dell'art. 2051 c.c., la condotta del danneggiato può quindi rilevare unicamente nella misura in cui valga ad integrare il caso fortuito, ossia presenti caratteri tali da sovrapporsi al modo di essere della cosa e da porsi essa stessa all'origine del danno in via esclusiva; deve pertanto ritenersi che, ove il danno consegua alla interazione fra il modo di essere della cosa in custodia e l'agire umano, non basti a escludere il nesso causale fra la cosa e il danno non solo una lit condotta lato sensu colposa del danneggiato, richiedendosi anche che la stessa si connoti per oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed imprevedibilità che valgano a determinare una definitiva cesura nella serie causale riconducibile alla cosa, ma a maggior ragione una condotta del danneggiato che, senza essere in qualche modo inosservante della normalità dell'esercizio dell'attività esercitata legittimamente sulla cosa, come nella specie la circolazione sulla pubblica strada, risulti, e comunque senza che ciò risulti, si profili solo ex post, cioè all'esito dell'apprezzamento dopo il verificarsi del danno dovuto alla condizione della cosa, tale che, se non fosse stata tenuta nel modo in cui lo è stato, il danno si sarebbe potuto evitare nonostante quella condizione; giova richiamare, al riguardo, le lucide considerazioni svolte da Cass. n. 25837/2017, secondo cui «la eterogeneità tra i concetti di "negligenza della vittima" e di "imprevedibilità" della sua condotta da parte del custode ha per conseguenza che, una volta accertata una condotta negligente, distratta, imperita, imprudente, della vittima del danno da cose in custodia, ciò non basta di per sé ad escludere la responsabilità del custode. Questa è infatti esclusa dal caso fortuito, ed il caso fortuito è un evento che praevideri non potest. L'esclusione della responsabilità del custode, pertanto, quando viene eccepita dal custode la colpa della vittima, esige un duplice accertamento: (a) che la vittima abbia tenuto una condotta negligente; (b) che quella condotta non fosse prevedibile. In questo senso, di recente, si è già espressa questa Corte, stabilendo che la mera disattenzione della vittima non necessariamente integra il caso fortuito per i fini di cui all'art. 2051 c.c., in quanto il custode, per superare la presunzione di colpa a proprio carico, è tenuto a dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire i danni derivanti dalla cosa (Sez. 3, Sentenza n. 13222 del 27/06/2016) [ ... ] La condotta della vittima d'un danno da cosa in custodia può dirsi imprevedibile quando sia stata eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata. Stabilire se una certa condotta della vittima d'un danno arrecato da cose affidate alla custodia altrui fosse prevedibile o imprevedibile è un giudizio di fatto, come tale riservato al giudice di merito: ma il giudice di merito non può astenersi dal compierlo, limitandosi a prendere in esame soltanto la natura colposa della condotta della vittima»; è stato, nella stessa logica, affermato, con riguardo alla fruizione del godimento della strada pubblica, che <<L'ente proprietario di una strada si presume responsabile, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo immanente connesse alla struttura ed alla conformazione della stessa e delle sue pertinenze, fermo restando che su tale responsabilità può influire la condotta della vittima, la quale, però, assume efficacia causale esclusiva soltanto ove sia qualificabile come abnorme, cioè estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, potendo, in caso contrario, rilevare ai fini del concorso causale ai sensi dell'art. 1227 c.c.. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto la condotta della danneggiata connotata da peculiare imprudenza e, conseguentemente, integrante caso fortuito idoneo ad elidere il nesso di causalità tra cosa e danno, in quanto, a fronte di una situazione della cosa obiettivamente pericolosa, ossia un selciato che costituiva un canale di scolo delle acque dal fondo irregolare e con doppia inclinazione, non aveva utilizzato le cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, che consentivano anche agevoli percorsi alternativi).>> (Cass. (ord.) n. 2481 del 2018); è stato, altresì, affermato che: <<In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione - anche ufficiosa - dell'art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.>> (così Cass. n. 9315 del 2019, seguita da alte conformi); ed in linea generale si è pure affermato che: <<In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione - anche ufficiosa - dell'art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro. (Nella specie, la S.C. ha confermato la statuizione di merito, che aveva escluso la responsabilità in capo all'ente proprietario e gestore della strada, munita di guardrail di altezza a norma di legge, per i danni patiti dal superamento del medesimo da parte del conducente di un veicolo, che aveva perso per causa ignota il controllo del mezzo, affermando che il custode non può rispondere dei danni cagionati in via esclusiva dalla condotta del danneggiato, da qualificarsi oggettivamente non prevedibile secondo la normale regolarità causale nelle condizioni date dai luoghi).>> (così Cass. (ord.) n. 2481 del 2018); applicando tali principi nel caso di specie risulta evidente che la corte territoriale ha commesso un evidente errore di sussunzione del fatto concreto, almeno per come l'ha descritto, sotto la norma dell'art. 2051 c.c., nel senso che quanto da essa affermato non avrebbe potuto in alcun modo escludere quella sussunzione; in tanto, le generiche affermazioni della motivazione circa l'uso normale della cosa, la percepibilità del pericolo e la prevedibilità risultano in concreto del tutto assertorie e aspecifiche riguardo alla vicenda giudicata: non si sa a che velocità andasse il motociclista, quale fosse il limite di velocità prescritto e se fosse superato; non è spiegato se il non meglio individuato tipo di manovra attuabile per evitare la buca, ove a minore velocità ne fosse stata percepita o dovesse esserne percepita la presenza, fosse compatibile con le condizioni di traffico, cioè potesse tenersi senza arrecare ad esse problemi; non si sa da quanto tempo fosse presente la buca, né che tipo di manutenzione e con che frequenza il Comune la esercitasse sulla strada; tutti tali elementi sarebbero stati necessari per ricostruire in concreto la condotta del motociclista come rilevante ed in che misura ai fini della incidenza causale sulla verificazione dell'evento; le ultime due circostanze, ove dimostrate dall'ente, lo sarebbero state per apprezzare la possibilità di intervenire dell'ente proprietario della strada; d'altro canto, ponendosi nella prospettiva errata della c.d. insidia (rilevante, peraltro, nella logica dell'applicazione dell'art. 2043 c.c.) non può non rilevarsi che la corte di merito non ha considerato che le dimensioni della buca erano anche tali che essa non era affatto di grandi dimensioni (come nel caso giudicato, ad esempio, da Cass. n. 27724 del 2018), sicché resta incomprensibile come la presenza di una buca delle dimensioni e profondità accertata, sarebbe stata percepibile ove il motociclista non avesse viaggiato alla velocità (ignota) a cui viaggiava; la motivazione che addebita al conducente il fatto dannoso è nella sostanza anche assertoria nell'individuare il comportamento ascrivibile al conducente. deve in definitiva ritenersi che il giudizio di sussunzione espletato dalla sentenza impugnata ha ignorato in astratto che il mero rilievo di una condotta colposa del danneggiato non è automaticamente s+a idoneo a interrompere il nesso causale, che è manifestamente insito nel fatto stesso che la caduta sia originata dalla (prevedibile e prevenibile) interazione fra la condizione pericolosa della cosa e l'agire umano, occorrendo, invece che abbia caratteri tali da farle assumere efficacia causale esclusiva rispetto a quella dello stato della res; ciò, quando detta condotta ricorra e non abbia tali caratteri e sempre rimanendo su un piano astratto, non significa, peraltro, che - ancorché non integrante il fortuito - non possa assumere rilevanza ai fini della liquidazione del danno cagionato dalla cosa in custodia, ma ciò può avvenire, non all'interno del paradigma dell'art. 2051 c.c., bensì ai sensi dell'art. 1227 c.c. (operante, ex art. 2056 c.c., anche in ambito di responsabilità extracontrattuale), ossia sotto il diverso profilo dell'accertamento del concorso colposo del danneggiato, valutabile sia nel senso di una possibile riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa del danneggiato e le conseguenze che ne sono derivate (ex art. 1227 c.c., comma 1), sia nel senso della negazione del risarcimento per i danni che l'attore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (ex art. 1227 c.c., comma 2), fatta salva, nel secondo caso, la necessità di un'espressa eccezione della controparte; la sentenza impugnata non ha rispettato tali principi, ma in buona sostanza ha applicato il criterio di responsabilità ai sensi dell'art. 2043 c.c. e peraltro lo ha fatto in modo generico, sotto i profili che si sono segnalati; la sentenza va pertanto cassata con rinvio alla Corte territoriale che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame, alla luce dei principi e delle considerazioni di cui sopra; il secondo motivo, che deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. (in relazione alla individuazione presuntiva della condotta colposa del motociclista che avrebbe integrato il caso fortuito), resta assorbito; la Corte di rinvio provvederà anche sulle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie del primo motivo, dichiarando assorbito il secondo, cassa e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione.