Lo ha ribadito la Cassazione con l'ordinanza in commento, rigettando il ricorso del professionista che non aveva rispettato gli adempimenti previsti in tema di produzione documentale.
Gli attori proponevano opposizione al decreto ingiuntivo che gli intimava di pagare una somma di denaro in favore di un avvocato a titolo di compenso per l'attività di assistenza legale straordinaria prestata dal medesimo per la vendita di un immobile di loro proprietà. Tale assistenza consisteva nell'aver tenuto, presso il proprio studio...
Svolgimento del processo/Motivi della decisione
Con atto di citazione del 2011 I.R. propose opposizione al decreto ingiuntivo che gli intimava di pagare la somma di euro 6.135,89 all'avv. R.R., quale compenso per l'attività di assistenza legale stragiudiziale da questi prestata per la vendita da parte dei fratelli I. dell'immobile denominato (omissis), assistenza consistita nell'avere tenuto presso il suo studio diverse assemblee dei comproprietari al fine di dirimere i contrasti tra loro insorti, nella verifica amministrativa sullo stato e sul possibile utile dell'immobile, nell'aver curato diverse stesure del contratto di compravendita ed un atto di transazione tra i fratelli I.. Con l'atto di opposizione la parte ingiunta negò di avere mai conferito incarico professionale alla controparte, sostenendo che l'attività di cui questi chiedeva il compenso era stata in realtà svolta su iniziativa del legale stesso, che, nell'interesse proprio e di altri soggetti, era intervenuto per convincere i proprietari a vendere l'immobile a sé o a persona da nominare, tanto da proporre di acquistare l'immobile egli stesso, predisponendo a tal fine un preliminare di acquisto, poi non sottoscritto, e che tutte le assemblee dei comproprietari erano state finalizzate a convincerli a vendergli l'immobile; dedusse inoltre che il contratto preliminare di vendita del suo immobile era stato redatto non per conto degli I., ma nell'interesse della società S., che avrebbe dovuto essere nominata acquirente in occasione del contratto definitivo. Rigettata l'opposizione da parte del Tribunale e proposto gravame, con sentenza n. 4052 del 15. 11. 2016 la Corte di appello di Napoli, in riforma della decisione di primo grado, revocò il decreto ingiuntivo, rilevando di non poter utilizzare, al fine del decidere, taluni documenti prodotti dall'opposto (verbali di assemblea dei comproprietari ed atto di delega rilasciato all'avv. R.), la cui rituale produzione in giudizio, ai sensi degli artt. 74 e 87 disp. att. cod. proc. civ., era stata contestata dall'opponente, e concludendo nel 1. senso che il professionista non aveva fornito la prova di avere operato su incarico della controparte, atteso che le riunioni svoltesi nel suo studio erano pienamente compatibili con la tesi difensiva dell'appellante, nonché l'insanabile contrasto tra le dichiarazioni dei testi sentiti, da cui non era possibile trarre elementi di prova a favore dell'opposto. Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 13. 1. 2017, ricorre, sulla base di tre motivi, R.R.. Resiste con controricorso I.R.. La causa è stata avviata in decisione in adunanza camerale non partecipata. Il primo motivo di ricorso, denunziando violazione degli artt. 78 e 87 disp. att. cod. proc. civ., degli artt. 183, comma 4, 101 e 156 comma 3 cod. proc. civ. e dell'art. 111 Cost., censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inutilizzabili, a fronte della tempestiva contestazione dell'opponente, i verbali di assemblea dei comproprietari e l'atto di delega rilasciato all'avv. R. perché irritualmente prodotti in giudizio. In particolare, per avere ritenuto non certa la produzione di detti documenti entro il termine perentorio previsto dall'art. 183 cod. proc. civ., reputando a tal fine insufficiente, perché generica, la menzione nell'indice del fascicolo depositato in sede monitoria e poi nel momento della costituzione nel giudizio di opposizione di "Verbali delle assemblee dei comproprietari", senza alcuna indicazione né del numero dei verbali né dei dati identificativi essenziali, con riferimento quanto meno alla data di ciascuno di essi, e l'assenza di qualsiasi indicazione dell'atto con cui R. I. avrebbe delegato l’avv. R. a rappresentarlo nell'assemblea fissata il 3. 5. 2007. Sotto un primo profilo il ricorrente sostiene l'erroneità di tale decisione per avere egli prodotto e spillato i predetti documenti nel fascicolo del ricorso per ingiunzione e poi in quello del giudizio di opposizione, inserendoli in una sezione separata del foliario con indicazione del numero. Sotto altro profilo contesta l'affermazione secondo cui l'irregolarità della produzione di tali documenti, in quanto menzionati dall'opposto nella seconda memoria istruttoria, sarebbe stata prontamente eccepita dall'opponente con l'atto immediatamente successivo, vale a dire con la terza memoria istruttoria. Si deduce, infatti, che l'eventuale irregolarità, atteso che i documenti erano stati depositati, con le modalità indicate, già con il ricorso monitorio, avrebbe dovuto essere eccepita già in sede di costituzione ovvero al massimo nella prima memoria istruttoria. Si aggiunge che l'eccezione di irregolare produzione avrebbe dovuto comunque essere superata per avere la controparte accettato il contraddittorio sui documenti contestati, così mostrando di averli conosciuti ed esaminati, tenuto conto che essi risultavano richiamati sia nella prima memoria istruttoria dell'opposto, che nell'atto di citazione in opposizione e nella prima memoria istruttoria dell'opponente. Il motivo è infondato. La prima censura, che attiene al tema della regolarità della produzione in giudizio dei documenti di cui si discute, è priva di pregio, avendo la Corte di appello rilevato che i verbali delle assemblee dei comproprietari erano stati allegati alla rinfusa, senza numerazione ed indicazione dei loro dati identificativi essenziali, nemmeno relativamente alla loro data, e che tale situazione non consentiva di verificare quali di essi fossero stati depositati nei termini di legge. Alla luce di tali rilievi il giudizio di inutilizzabilità dei documenti causa la loro irrituale produzione in giudizio appare corretto ed esente da censure, in quanto rispondente alle norme dettate dalla legge processuale in tema di produzione documentale. Ai sensi degli artt. 74 ed 87 disp. att. cod. proc. civ., gli atti ed i documenti prodotti prima della costituzione in giudizio devono essere elencati nell'indice del fascicolo e sottoscritti dal cancelliere, mentre quelli prodotti dopo la costituzione vanno depositati in cancelleria con la comunicazione del loro elenco alle altre parti, oppure, se esibiti in udienza, devono essere elencati nel relativo verbale. Costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza che l'inosservanza di tali adempimenti, che sono volti a garantire il diritto di difesa e del contraddittorio sui mezzi di prova, rende irrituale la produzione dei documenti e preclude alla parte la possibilità di utilizzarli come fonte di prova ed al giudice di merito di esaminarli (Cass. n. 14461 del 2019; Cass. n. 5671 del 2010). Non coglie invece nel segno la doglianza secondo cui, essendosi l'irregolarità manifestata già al momento della costituzione in giudizio della parte opposta, la relativa eccezione della controparte, sollevata solo con la terza memoria istruttoria, avrebbe dovuto essere considerata tardiva. Il ricorso invero non considera che la prima conseguenza della irrituale produzione risiede nel fatto che l'inosservanza delle norme in materia produce incertezza sul momento stesso in cui il documento sarebbe stato prodotto e quindi sul rispetto dei termini per la deduzione delle prove in giudizio. Ne discende che, come ritenuto dalla Corte partenopea, è da ritenersi del tutto tempestiva l'eccezione sollevata nel primo atto difensivo successivo a quello della controparte che menziona il documento, atto difensivo che nel caso di specie era successivo alla chiusura della istruzione probatoria. Parimenti infondata è la deduzione che qualsiasi irregolarità verificatasi sarebbe stata sanata dal fatto che la parte avrebbe replicato nel merito al contenuto di tali documenti, mostrando quindi di conoscerli ed accettando il contraddittorio. In tesi il principio evocato è corretto, atteso che, se le regole relative alla produzione in giudizio di atti e documenti mirano a tutelare il diritto di difesa e di contraddittorio, escludendo il rischio che la parte veda fondata la decisione su un documento che non è mai stata posta in grado di conoscere, la confutazione del documento ad opera della medesima parte equivale a dimostrare la sua avvenuta conoscenza e porta a concludere che la produzione, sia pure avvenuta irritualmente, abbia comunque ha raggiunto lo scopo perseguito dalla dette disposizioni. La censura si mostra tuttavia infondata in fatto, atteso che dalla lettura degli atti del giudizio di merito menzionati nel ricorso, consentita a questa Corte in ragione della natura processuale del vizio denunziato, non emerge affatto che l'opponente abbia replicato al contenuto dei predetti verbali, avendo solo menzionato il fatto che le assemblee erano state effettivamente tenute e quindi fatto riferimento, più che ai verbali, al fatto storico delle riunioni, che invero non ha mai contestato, ma del quale ha fornito una spiegazione diversa da quella data dal professionista. Ed invero l'unico documento che viene menzionato in tali atti è il verbale del 5. 10. 2007, che risulta prodotto dallo stesso opponente e che è stato esaminato dalla Corte distrettuale. A titolo di completezza deve darsi atto che il ricorrente cita a favore della tesi della utilizzabilità dei documenti in questione due arresti di questa Corte, le decisioni n. 9545 del 2010 e n. 14338 del 2009, ma si tratta di richiami l'uno non pertinente e l'altro errato. Nella specie, la sentenza n. 9545 del 2010 ha affermato che l'eventuale irritualità della produzione di documenti, di cui il giudice di primo grado abbia tenuto conto, fondando su di essi la decisione, risulta sanata quando la parte che lamenta l'irritualità della produzione abbia censurato la decisione, dimostrando, in tal modo, di avere avuto conoscenza dei documenti stessi. La massima non è pertinente, atteso che riguarda l'ipotesi in cui la parte appellante abbia contestato il contenuto del documento preso in considerazione dalla decisione che ha impugnato, così dimostrando di averne avuto conoscenza, mentre nel presente giudizio, come risulta dalla stessa sentenza impugnata, l'I. nel proprio atto di appello si era limitato a reiterare la censura di inammissibilità ed a contestare l'utilizzabilità della documentazione avversaria. Erronea appare invece la citazione della sentenza n. 14338 del 2009, che aveva ammesso la producibilità in grado di appello dei documenti irritualmente prodotti in primo grado, trattandosi di pronuncia resa nella vigenza del vecchio testo di cui all'art. 345, prima dell'introduzione del limite alla produzione documentale ad opera dell'art. 46, comma 18, legge n. 69 del 2009. Il secondo motivo di ricorso denunzia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere il giudice d'appello affermato che l'avv. R. non aveva provato di avere svolto una prestazione professionale su richiesta ed in favore dei germani I., senza considerare la documentazione costituita dai verbali delle assemblee dei comproprietari e delle deleghe. Il motivo è assorbito alla luce della decisione del primo motivo. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt. 88, comma 1, e 92, commi 1 e 2, cod. proc. civ., lamentando che il giudice di appello l'abbia condannato al pagamento delle spese di giudizio, mentre avrebbe dovuto statuirne la compensazione, che ha espressamente escluso con motivazione inadeguata e senza tenere conto del comportamento scorretto della controparte, che aveva eccepito l'omessa produzione di documenti regolarmente allegati. Il motivo è infondato, avendo la Corte applicato il criterio della soccombenza, laddove la compensazione delle spese di lite costituisce esercizio di una facoltà discrezionale del giudice di merito, il cui mancato esercizio non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 11329 del 2019; cass. S.U. n. 14989 del 2005). Il ricorso va pertanto respinto. Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 3.000,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali, per ciascuna controricorrente. Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, se dovuto.