
Rigettato il ricorso di un padre che lamentava la prescrizione del diritto azionato dalla figlia che era stata abbandonata. Per la Cassazione, il termine di decorrenza dell'illecito permanente non inizia a decorre con la maggiore età ma solamente quando il figlio raggiunge una maturità tale da accettare psicologicamente l'illiceità della condotta del padre.
Il Tribunale di Foggia accoglieva parzialmente la domanda risarcitoria della parte attrice condannando il convenuto, suo padre naturale, al pagamento di 40mila euro per danni patrimoniali ed esistenziali da deprivazione genitoriale.
L'attrice impugnava tale decisione dinanzi alla Corte territoriale di Bari, dolendosi del quantum...
Svolgimento del processo
T.M.N. ricorre, formulando due motivi, per la cassazione della sentenza n. 2065/2019 della Corte d'Appello di Bari, pubblicata il 4 ottobre 2019. Resiste con controricorso C.N.. Il Tribunale di Foggia, con la sentenza n. 2160/2016, accoglieva parzialmente la domanda risarcitoria di C.N. nei confronti di T.M.N., suo padre naturale, per danni patrimoniali ed esistenziali da deprivazione genitoriale, condannando il convenuto al pagamento di euro 40.997,50. C.N. impugnava la suddetta decisione dinanzi alla Corte d'Appello di Bari, dolendosi del quantum debeatur. Segnatamente, lamentava che il Tribunale di Foggia avesse aderito all'orientamento della Corte d'Appello di Brescia - sentenza 1° marzo 2012 - anziché applicare le tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale elaborate dall'Osservatorio sulla Giustizia civile del Tribunale di Milano che, ove applicate, le avrebbero dato diritto ad un risarcimento minimo di euro 164.000,00.Resisteva e proponeva appello incidentale T.M.N., deducendo che la sentenza di prime cure avrebbe dovuto dichiarare inammissibile e improcedibile la domanda attorea per avvenuta prescrizione del diritto e difetto di prova dell'elemento soggettivo del fatto illecito imputatogli. La Corte d'Appello, con la sentenza oggetto dell'odierna impugnazione, accoglieva parzialmente l'appello principale e quantificava il risarcimento del danno dovuto a C.N. in euro 61.497,50, in considerazione del lungo lasso di tempo, 25 anni, in cui il comportamento omissivo si era consumato; rigettava, invece, l'appello incidentale, ritenendo ampiamente dimostrato il disinteresse del padre nei confronti della figlia e non prescritto il diritto di quest'ultima, in considerazione del fatto che il danno da deprivazione genitoriale, derivando dal compimento di un illecito permanente, si verifica momento per momento fino al maturare di un termine fissato ed individuabile non nel raggiungimento della maggiore età, ma nel raggiungimento dell'indipendenza psicologica del figlio che per convenzione viene fatta coincidere con il conseguimento dell'indipendenza economica. Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., il relatore designato ha redatto proposta che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza della Corte.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo è dedotta la violazione ed omessa applicazione dell'art. 2947 c.c., per avere la sentenza impugnata omesso di dichiarare prescritto il diritto azionato da C.N.. L'azione avrebbe dovuto essere esercitata dopo il raggiungimento della maggiore età da parte dell'istante, cioè entro e non oltre il 14 novembre 2005, mentre la citazione in giudizio era stata notificata il 24 gennaio 2009. Con il compimento della maggiore età C.N. aveva conseguito la piena capacità di agire, sia in senso cognitivo e psicologico che economico, e non era emerso alcun elemento di fatto che facesse dubitare che non fosse perfettamente in equilibrio, inserita socialmente e assistita economicamente. Tutti i riferimenti alle sofferenze psicologiche derivanti dalla privazione del rapporto genitoriale si riferivano al periodo adolescenziale, quando aveva manifestato il desiderio di conoscere il padre e si era, dunque, manifestato il danno. Il motivo è infondato. Con l'ordinanza n. 11097 del 10 giugno 2020, questa Suprema Corte ha avuto occasione di chiarire che «L'illecito endofamiliare di protratto abbandono della prole da parte del genitore è una forma di illecito rispetto al quale la concreta capacità della persona danneggiata di esercitare il diritto risarcitorio - id est, la concreta percepibilità completa del danno assume un peculiare rilievo, derivante dalla natura parimenti peculiare, del danno. Tale illecito infatti produce anche un danno non patrimoniale lato senso psicologico esistenziale, ovvero che investe direttamente la progressiva formazione della personalità del danneggiato, condizionando così pure lo sviluppo delle sue capacità di comprensione e di autodifesa». E, richiamando Cass. 22/11/2013 n. 26205, ha confermato che "la natura del diritto azionato ne rende del tutto giustificabile, in mancanza di limitazioni legali, l'esercizio in una fase di maturità personale compatibile con il coinvolgimento personale ed emotivo ad esso connesso". In particolare, ebbe {X ad escludere che la parte attrice, agendo quando già da tempo / era divenuta maggiorenne, avesse con tale condotta dato luogo ad una concausa del danno patito per tarda reazione "difensiva". Non solo, ritenne che la natura della condotta illecita, quanto meno nel caso in cui il disinteresse completo inizi dalla nascita del figlio, ha la peculiarità di ledere la formazione della personalità del figlio stesso, e quindi incidere sull'acquisizione della capacità di percepire correttamente e reagire conseguentemente. Occorre, infatti, per acquisirla che la vittima dell'abbandono si svincoli dall'incidenza percettiva e comportamentale del notorio istintivo desiderio filiale di un rapporto positivo con il genitore, per raggiungere una "maturità personale compatibile con il coinvolgimento personale ed emotivo ad esso connesso", per "maturità personale compatibile" dovendosi intendere - è ovvio - pienamente autonoma, e quindi capace di percepire la reale situazione a sé pregiudizievole e di assumere reattive decisioni di contrasto con la persona "desiderata". Ovvero, accettare psicologicamente la illiceità della condotta del genitore e chiedere il risarcimento dei danni subiti quale figlio rifiutato del genitore che l'ha posta in essere. La natura dell'illecito quale fonte di danno, in ultima analisi, incide sul dies a quo prescrizionale attraverso le caratteristiche, in esso insite, della sua conoscibilità/percepibilità da parte del danneggiato, come si evince dal più volte richiamato insegnamento di S.U. 576/2008 e dagli arresti che ne hanno dato applicazione: il parametro della tradizionale "ordinaria diligenza", invero, si concretizza nella capacità di percepirne (in senso pieno, cioè includente la effettiva possibilità di esercitare il correlato diritto) la conseguenza dannosa di un soggetto "ordinario", cioè di un soggetto che tiene una condotta non _anomala nell'ambito della vicenda che gli è giuridicamente pregiudizievole. Soltanto quando si è raggiunto, dunque, tale dies a quo, nel caso di illecito permanente può scattare la progressività del de die in diem. E in questo senso non può che ritenersi corretta la decisione della Corte territoriale che ha escluso, nel caso di specie, che il diritto alla pretesa risarcitoria si fosse estinto, in considerazione delle richiamate condizioni di esercitabilità della pretesa risarcitoria.
2. Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c., per avere la sentenza impugnata omesso di accertare la ricorrenza dei presupposti dell'illecito aquiliano. Non era emerso che le situazioni psicologiche interiori avessero alterato le abitudini di vita e le relazioni di C.N. né che le avessero impedito di realizzare la sua personalità: aveva frequentato con profitto il liceo scientifico, aveva superato l'esame di ammissione alla Facoltà di Medicina di Roma, ove viveva in piena autonomia anche con il contributo economico dell'odierno ricorrente, come confermato da A.M., la madre. I testimoni escussi avevano dichiarato che il padre aveva più volte manifestato interesse per la figlia, che non poteva andarla a trovare a Foggia tutti i giorni, per motivi di lavoro e di salute, che la figlia non si era mai recata a Vieste a trovare il padre, neppure in occasione dei suoi numerosi ricoveri ospedalieri. In aggiunta, la perizia di parte allegata alla citazione in giudizio non conteneva alcuna indicazione circa la specializzazione del professionista che l'aveva redatta e non individuava nella deprivazione del rapporto con il padre la causa della sua situazione psicologica e comportamentale, ma faceva solo delle ipotesi a tal riguardo. Il motivo non può trovare accoglimento. La censura formulata è la stessa oggetto dell'appello incidentale, respinto dalla Corte territoriale con una motivazione che non è stata efficacemente confutata dall'odierno ricorrente. Egli lamenta, impugnatorio, la nonostante la valutazione delle epigrafe del mezzo risultanze dell'attività istruttoria, allo scopo di far emergere che contrariamente a quanto statuito dal giudice a quo non si era completamente disinteressato della figlia, non aveva coltivato il rapporto con lei per ragioni oggettive che non gli erano imputabili - il lavoro in un'altra città, le condizioni di salute - e chiede di privare di efficacia probatoria la perizia di controparte, del cui contenuto questa Corte non è stata neppure messa a parte, sicché è evidente la violazione delle prescrizioni di cui all'art. 366 n. 6 c.p.c. Manca, invece, l'articolazione di una censura che individui nella statuizione della Corte d'Appello di Bari l'errore in cui essa sarebbe incorsa e che dia spessore contenutistico alla dedotta violazione di legge.
3. La Corte rigetta il ricorso.
4. Le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al· D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della parte controricorrente, liquidandole in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater d I d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto