La Cassazione afferma il principio di diritto secondo il quale la contestazione della conformità all'originale di un documento prodotto in copia deve avvenire in modo chiaro e circostanziato tramite l'indicazione del documento che si intende contestare e degli aspetti per i quali si assume che esso differisca dall'originale.
Un'Associazione culturale conveniva dinanzi al Giudice di Pace di Roma Equitalia in quanto, a seguito di un controllo cautelativo in merito alla propria situazione fiscale, era emersa la sussistenza a proprio carico di 7 cartelle di pagamento che non le erano mai state notificate e di cui l'Associazione chiedeva, dunque, l'annullamento.
Il Giudice di prime cure dichiarava cessata...
Svolgimento del processo
1. Nel 2013 l'Associazione Culturale "M." convenne dinanzi al Giudice di pace di Roma la Equitalia Sud (in seguito, Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a.), il Comune di Roma, il Comune di Venezia, il Comune di Melendugno e il Ministero dell'interno, esponendo:
-) di avere effettuato, di propria iniziativa, un controllo cautelativo della propria posizione fiscale presso la società Equitalia, agente della riscossione e di avere in tale occasione appreso dell'esistenza a proprio carico di sette diverse cartelle di pagamento, emesse per l'importo complessivo di euro 4.635,78;
-) che né le suddette cartelle di pagamento, né gli atti ad esse presupposti le erano mai stati notificati.
Chiese pertanto l'annullamento delle suddette cartelle esattoriali.
Si costituirono soltanto la Equitalia Sud, il Comune di Venezia e quello di Melendugno.
2. Con sentenza 7.3.2014 n. 3498 il Giudice di pace dichiarò cessata la materia del contendere con riferimento ad una delle cartelle esattoriali impugnate, pagata dalla "M." nel corso del giudizio (per l'esattezza, la cartella 097-2013-0107875062, per l'importo di euro 128,30); ed annullò le restanti.
Il Giudice di pace motivò la propria decisione affermando che la Equitalia non aveva dato prova dell'avvenuta notificazione delle cartelle esattoriali.
La sentenza fu appellata dalla Equitalia.
3. Il Tribunale di Roma con sentenza 7.3.2017 n. 4624 rigettò il gravame. La decisione di rigetto venne fondata dal Tribunale su due diverse rationes decidendi.
Da un lato ritenne il Tribunale che, a fronte dell'eccezione di mancata notifica delle cartelle esattoriali, l'agente della riscossione avrebbe dovuto dimostrare non solo l'avvenuta ricezione del piego, mediante deposito degli avvisi di ricevimento, ma avrebbe dovuto anche provare che la cartella fosse stata "ricevuta integralmente" dal destinatario, dimostrando quale fosse l'esatto contenuto della busta spedita al destinatario.
Dall'altro lato, ritenne il Tribunale che in ogni caso la Equitalia aveva inteso dimostrare l'avvenuta notifica delle cartelle esattoriali all'associazione debitrice depositando le fotocopie dei relativi avvisi di ricevimento, ma non gli originali. Poiché tali fotocopie erano state contestate dalla "M.", sarebbe stato dunque onere della Equitalia produrre in giudizio gli avvisi di ricevimento in originale, il che non era avvenuto.
4. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione dalla Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a. con ricorso fondato su due motivi.
Ha resistito con controricorso illustrato da memoria l'associazione culturale "M.".
Il Comune di Venezia ha notificato un controricorso (illustrato da memoria) con cui ha aderito all'impugnazione principale; e che va pertanto qualificato come ricorso incidentale adesivo.
Il P.M. ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1. Va preliminarmente rigettata l'eccezione con cui l'associazione culturale "M." ha invocato il "difetto di legittimazione attiva" della società Equitalia Servizi di Riscossione, per effetto dello scioglimento di essa disposto dal d.l. 22.10.2016 n. 193.
Infatti al giudizio dinanzi a questa Corte, caratterizzato dall'impulso d'ufficio, non si applicano le regole sull'interruzione del processo (artt. 299 e ss. c.p.c.), ed il trasferimento del diritto controverso non ha di norma conseguenze processuali né quando avvenga a titolo particolare (ipotesi che resta disciplinata dall'art. 111 c.p.c.: cfr., ex multis, Sez. 1 - , Ordinanza n. 7152 del 22/03/2018, Rv. 647841 - 01, con riferimento alla successione dell'Agenzia del Demanio dei diritti già spettanti al Ministero delle Finanze); né quando avvenga per effetto di successione in universum ius (così Sez. U - , Sentenza n. 15911 del 08/06/2021, Rv. 661509 - 03, con riferimento per l'appunto alla successione "a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali", di Agenzia delle Entrate-Riscossione alle società del gruppo Equitalia, prevista dall'art. 1, comma 3, del d.l. n. 193 del 2016, secondo cui tale successione non ha causato alcuna soluzione di continuità nell'attività della riscossione).
1.1. Poiché dunque al momento della notifica del ricorso (28 giugno 2017) la società Equitalia Servizi di Riscossione era esistente ed operativa, in quanto il suo scioglimento è avvenuto soltanto con decorrenza dal 1° luglio 2017, ai (t/L- sensi dell'articolo 1, primo comma, del suddetto decreto-legge, il successivo scioglimento della società, avvenuto nelle more del giudizio di legittimità, non riverbera effetti su quest'ultimo (ex multis, Sez. 3 - , Sentenza n. 7751 del 08/04/2020, Rv. 657500 - 01; Sez. 1 - , Sentenza n. 2625 del 02/02/2018, Rv. 646866 - 01, con riferimento specifico alle ipotesi della cancellazione delle società commerciali dal registro delle imprese; Sez. 1 - , Sentenza n. 7477 del 23/03/2017, Rv. 645844 - 01; Sez. L, Sentenza n. 1757 del 29/01/2016, Rv. 638717 - 01; si tratta del resto di principio indiscusso, già stabilito da Sez. 3, Sentenza n. 425 del 06/03/1962, Rv. 250671 - 01 e da allora in poi sempre tenuto fermo da questa Corte).
1.2. Sempre in via preliminare va dichiarata l'inammissibilità del controricorso proposto dal Comune di Venezia.
Il ricorso principale è stato infatti notificato al Comune di Venezia il 28 giugno 2017.
Il Comune di Venezia aveva dunque termine per notificare il controricorso, ai sensi dell'art. 370 c.p.c., di venti giorni decorrenti dalla scadenza del termine (anch'esso di venti giorni) per il deposito del ricorso: e dunque fino al 7 agosto 2017, dal momento che alla presente controversia, da qualificare come controversia in materia di esecuzione, non s'applica la sospensione feriale dei termini (ex multis, da ultimo, Sez. 3 - , Ordinanza n. 19993 del 13/07/2021, Rv. 661840 - 01).
Il controricorso del Comune di Venezia, per contro, è stato notificato il 1° settembre 2017: e dunque tardivamente.
2. Col primo motivo si lamenta, ai sensi dell'articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell'art. 26 d.p.r. 602/73.
Al di là di tale riferimento normativo, nella illustrazione del motivo si sostiene che:
-) l'agente della riscossione non ha l'obbligo di produrre in giudizio l'originale delle cartelle esattoriali, essendo sufficiente la produzione dell'estratto del /4!L ruolo;
-) una volta depositato l'estratto di ruolo, corredato dell'avviso di ricevimento, l'agente della riscossione ha assolto tutti i propri oneri di allegazione e prova;
-) una volta dimostrato, attraverso l'avviso di ricevimento, il perfezionamento della notifica della cartella esattoriale, deve presumersi iuris tantum che la busta consegnata al contribuente contenesse effettivamente l'atto impositivo; di conseguenza, è onere del destinatario dimostrare che il plico non conteneva l'atto che si assume essere stato notificato.
La società ricorrente invoca inoltre, in modo indiretto (richiamando la sentenza di questa Corte n. 2790/16), il principio secondo cui l'eccezione di mancata ricezione della notificazione della cartella esattoriale e l'eccezione di non corrispondenza tra la cartella che si assume notificata il contenuto effettivo del piego ricevuto dal contribuente, costituiscono eccezioni diverse. Pertanto, una volta eccepito dal contribuente di non aver ricevuto la notifica della cartella, il giudice non avrebbe potuto d'ufficio affrontare il diverso tema della corrispondenza tra l'atto notificato l'atto ricevuto (così il ricorso, p. 8).
2.1. Così riassunto il contenuto del primo motivo di ricorso, deve rilevarsi in primis che esso, se pur formalmente unitario, contiene due censure.
Con una prima censura del ricorrente invoca in sostanza la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato: sostiene, infatti, che il Tribunale avrebbe indagato d'ufficio su una questione non prospettata.
Con una seconda censura la ricorrente invoca invece la violazione del criterio legale di riparto dell'onere della prova, là dove ascrive al Tribunale di avere addossato alla parte notificante l'onere di provare quale fosse l'effettivo contenuto del piego spedito al destinatario.
2.2. La prima censura è fondata.
Sia nella sentenza impugnata, sia nel ricorso (con affermazione non contrastata dalla associazione controricorrente) si legge che l'Associazione M., nell'introdurre il primo grado del presente giudizio, si dolse della inesistenza o, in subordine, della nullità della notificazione delle cartelle esattoriali.
Non risulta, per contro, dalla sentenza impugnata, che la M. in primo grado abbia mai eccepito di avere sì ricevuto la notifica del piego, ma che questo non contenesse la cartella esattoriale o gli atti di contestazione e di imposizione posti dall'erario a fondamento delle proprie pretese.
Il Tribunale I di conseguenza, là dove ha affermato che a fronte della contestazione di mancata ricezione del piego "era onere dell'agente della riscossione dimostrare che la cartella sia stata ricevuta integralmente", e cioè fornire "la dimostrazione del suo esatto contenuto", ha pronunciato su una eccezione non ritualmente sollevata.
2.3. Sebbene il rilievo che precede sia assorbente, ad abundantiam ritiene il Collegio di rilevare come anche la seconda censura contenuta nel primo motivo di ricorso sia fondata.
Questa Corte, infatti, ha già ripetutamente affermato che spetta al destinatario di una notifica dimostrare che la busta notificatagli conteneva un atto diverso da quello che si pretende dal notificante, oppure non conteneva addirittura alcun atto (Sez. 5 - , Ordinanza n. 30787 del 26/11/2019, Rv. 656342 - 01; Sez. 5, Sentenza n. 16528 del 22/06/2018, Rv. 649227 - 02;
Sez. 5, Sentenza n. 5397 del 18/03/2016, non massimata, con specifico riguardo alla notifica della cartella di pagamento; Sez. 3, Sentenza n. 23920 del 22/10/2013. Rv. 628660 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 13259 del 26/07/2012, Rv. 623432 - 01; Sez. 5, Sentenza n. 20027 del 30/09/2011, Rv. 619195 - 01).
A tale principio si fa eccezione nel solo caso in cui il mittente affermi che la busta notificata contenesse non un solo atto, ma molteplici atti, ed il destinatario alleghi di averne rinvenuto uno solo (ex aliis, Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 20786 del 02/10/2014, Rv. 632712 - 01), ipotesi non allegata da alcuna delle parti nel presente giudizio.
2.4. A fronte di tali princìpi pacifici e risalenti, deve ritenersi superata, comunque non condivisibile, la contraria opinione affermata da Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 18252 del 30/07/2013 (posta dal Tribunale a fondamento della sentenza impugnata), secondo cui "nel caso di notifica della cartella di pagamento mediante l'invio diretto di una busta chiusa raccomandata postale, è onere del mittente il plico raccomandato fornire la dimostrazione del suo esatto contenuto, allorché risulti solo la cartolina di ricevimento ed il destinatario contesti il contenuto della busta medesima".
Tale orientamento non appare al Collegio condivisibile sia perché superato dalla successiva giurisprudenza di questa Corte, sia in ogni caso perché fondato su argomenti della cui saldezza è lecito dubitare.
La sentenza 18252/13 di questa Corte, infatti, non motivò la propria decisione in altro modo che rinviando all'analogo principio affermato da Sez. L, Sentenza n. 24031 del 10/11/2006, avente ad oggetto una controversia in cui il datore di lavoro assumeva, e il lavoratore negava, che l'atto notificato dal primo al secondo contenesse davvero l'invito formale - rimasto inevaso - a riprendere il servizio.
Anche questa decisione, però, non fu motivata in altro modo che mediante il puro rinvio ad altre due sentenze ancora più risalenti, e cioè Sez. 5, Sentenza n. 17702 del 02/09/2004 e Sez. 5, Sentenza n. 10481 del 03/07/2003.
Nondimeno, se di tali decisioni si esamina il contenuto senza limitarsi alla massima, ci si avvede che:
a) Cass. 10481/03 non si occupò del problema qui in esame, ma solo della diversa questione concernente il momento perfezionativo della notificazione; ed anzi dà atto che nel caso di specie il contenuto del piego notificato era esattamente corrispondente a quello ricevuto;
b) Cass. 17702/04, dal canto suo, affermò un principio esattamente opposto a quello che le successive decisioni sopra ricordate le attribuirono.
Si legge infatti nella motivazione di tale sentenza che il destinatario di un piego, il quale contesti che il contenuto di esso fosse quello indicato dal mittente, solleva un'eccezione il cui fatto costitutivo è per l'appunto la difformità tra documento che si assume spedito, e documento che si assume ricevuto: sicché, "consistendo la contestazione nell'indicazione di un fatto costitutivo dell'eccezione sollevata, l'onere di provarne l'esistenza gravava su colui che quell'eccezione aveva proposto".
2.5. Deve dunque rilevarsi che nessun contrasto esiste nella giurisprudenza di questa Corte su come si debba ripartire l'onere della prova, nel caso in cui il destinatario di una notifica neghi che la busta ricevuta contenesse l'atto indicato dal mittente, e che all'isolata decisione pronunciata da Cass. 18252/13 non possa darsi continuità, in quanto frutto di una non corretta ricostruzione della pregressa giurisprudenza di legittimità.
2.6. La sentenza impugnata va dunque cassata sul punto qui in esame. Il Giudice del rinvio tornerà ad esaminare il gravame proposto dalla Equitalia applicando i seguenti princìpi di diritto:
(A) "viola il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato il giudice che, a fronte dell'eccezione con cui il convenuto sostenga di non avere mai ricevuto la notifica di un atto impositivo, esiga dal creditore la prova della coincidenza tra il contenuto della busta fatta notificare dal mittente e quello della busta ricevuta dal destinatario".
(B) "Il destinatario di un atto spedito o notificato a mezzo del servizio del postale, il quale alleghi che la busta ricevuta non conteneva il medesimo atto che si pretende notificato da parte del mittente, ha l'onere di fornire la relativa prova".
3. Col secondo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360,
n. 3, c.p.c., la violazione degli articoli 2719 c.p.c.; 115,116,214 e 215 c.p.c.. Il motivo investe la seconda delle rationes decidendi poste dal Tribunale a fondamento del rigetto dell'appello, ciciè quella secondo cui la Equitalia, a fronte della contestazione di conformità all'originale delle fotocopie degli avvisi di ricevimento, aveva l'onere di produrre in giudizio gli avvisi di ricevimento in originale.
Deduce la società ricorrente che la suddetta contestazione fu compiuta dalla associazione "M." in modo generico; e doveva considerarsi perciò tamquam non esset.
3.1. Il motivo è fondato.
La Equitalia, costituendosi nel giudizio di primo grado, si difese sostenendo di avere ritualmente notificato alla M. gli atti presupposti fondativi della pretesa erariale.
Al fine di dimostrarlo, depositò la fotocopia dei relativi avvisi di ricevimento. La M., nella prima udienza dinanzi al Giudice di pace, dopo avere rilevato che tanto il Comune di Venezia, quanto quello di Melendugno (non, dunque, la Equitalia), avevano "depositato i propri atti in mera copia fotostatica", dichiarò di "contestare tutte le eccezioni di Equitalia s.p.a. perché infondate", e chiese "termine per note e deposito di documenti con salvezza di diritti".
Il Giudice di pace con ordinanza 13.1.2014 autorizzò il deposito di memorie difensive; e la M. nella memoria depositata in esecuzione di tale ordinanza sostenne che:
a) l'Agente della riscossione, in caso di contestazione della pretesa erariale, ha l'onere di depositare in giudizio la cartella esattoriale e la prova dell'avvenuta notifica, deposito nella specie non avvenuto;
b) in ogni caso gli avvisi di ricevimento depositati in copia dalla Equitalia evidenziavano vari profili di nullità delle notificazioni.
Concluse la suddetta memoria dichiarando di "disconoscere la veridicità della documentazione prodotta dal Comune di Venezia e se ne contesta qualsivoglia valore probatorio" (così il controricorso, pp. 17).
3.2. Così ricostruito il fatto processuale, ne discende che erroneamente il Tribunale ha ritenuto "validamente contestata" la conformità all'originale degli avvisi di ricevimento depositati dalla Equitalia, e di conseguenza inutilizzabili ai fini del decidere, senza esaminarne il contenuto e vagliarne l'attendibilità.
Questa Corte ha infatti più volte affermato che la contestazione della conformità all'originale di un documento prodotto in copia non può avvenire con clausole di stile e generiche, quali ad esempio "impugno e contesto"; ovvero "contesto tutta la documentazione perché inammissibile ed irrilevante".
L'eccezione di non conformità tra copia ed originale, al contrario, va sollevata in modo chiaro e circostanziato, attraverso l'indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall'originale (Sez. 3, Sentenza n. 7775 del 03/04/2014, Rv. 629905 - 01; nello stesso senso, Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 29993 del 13/12/2017, Rv. 646981 - 01; Sez. 2 - , Sentenza n. 27633 del 30/10/2018; Rv. 651376 - 01; Sez. 5 - , Sentenza n. 16557 del 20/06/2019, Rv. 654386
- 01; Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 14279 del 25/05/2021, Rv. 661573 - 01).
La contestazione della conformità all'originale degli atti prodotti in copia (art. 2719 c. c.), infatti, come qualsiasi domanda od eccezione, ha lo scopo di delimitare l'oggetto del contendere; e ciò non potrebbe avvenire se non quando quell'eccezione sia precisa e circostanziata.
Sarebbe infatti incoerente con elementari canoni di logica, oltre che col principio costituzionale ed evo;witarìo di ragionevole durata del processo, supporre che nel processo fosse consentito sollevare eccezioni senza indicarne con chiarezza inequivoca il fondamento fattuale.
Così, ad esempio, della copia d'un documento si potrà sempre negare che differisca dall'originale quanto alla sottoscrizione, oppure al contenuto, od ancora alla data, od anche a tutti questi elementi insieme; non può per contro ammettersi che la parte controinteressata a quel documento possa limitarsi ad eccepire che "la copia non è conforme", e null'altro.
Ciò ribalterebbe sulla controparte prima, e sul giudice poi, l'onere di intuire in cosa consista la difformità e di conseguenza su quali fatti occorra svolgere l'istruttoria: un esito incompatibile con la millenaria regola giuridica per cui in universo iure civili nemo divinare tenetur (tali princìpi generali, oggi pacifici, hanno formato tutti oggetto della fondamentale decisione pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 761 del 23/01/2002, Rv. 551789).
Qualsiasi contestazione in ambito processuale non può dunque essere ambigua o generica, perché lascerebbe irrisolto il dubbio se i fatti contestati in modo ambiguo debbano essere provati o meno. Per queste ragioni la contestazione generica deve ritenersi tamquam non esset: e ciò sia per quanto attiene le modalità di contestazione dei fatti processuali allegati dalla controparte; sia per quanto attiene le modalità di contestazione della conformità all'originale della copia di un documento.
3.3. In applicazione di questi princìpi, sono state già state ritenute inefficaci da questa Corte:
(a) la contestazione della conformità tra l'originale di una scrittura e la copia fotostatica della stessa, formulata con l'espressione "si contesta nella forma e nella sostanza" (Sez. 2, Sentenza n. 28096 del 30/12/2009, Rv. 610586, nonché, più di recente, Sez. 1, Sentenza n. 14416 del 07/06/2013, Rv. 626517);
(b) il disconoscimento dell'autenticità d'una sottoscrizione compiuta con le parole "si contesta la documentazione prodotta" o altre simili (Sez. 2, Sentenza n. 3655 del 13/04/1987, Rv. 452593);
(e) la generica allegazione di avere "denunciato all'autorità inquirente" la falsità d'una sottoscrizione, senza farne oggetto espresso di disconoscimento (Sez. 5 - , Ordinanza n. 17313 del 17/06/2021, Rv. 661429 - 01).
Un cenno a parte merita infine la decisione pronunciata da Sez. 5 - , Sentenza
n. 16557 del 20/06/2019, la quale aveva ad oggetto una fattispecie pressoché identica a quella oggetto del presente giudizio.
Anche in quel caso, infatti, in un giudizio di opposizione a cartella esattoriale l'opponente dedusse di nona vere mai ricevuto la notifica delle cartelle, e la difesa erariale produsse in giudizio, in fotocopia, gli avvisi di ricevimento delle relative notifiche.
L'opponente intese allora contestarne la conformità all'originale eccependo "la non conformità a quanto espressamente richiesto afferente alla documentazione versata in atti" (sic) e questa Corte, con la citata Cass. 16557/19, confermò sul punto la sentenza di merito che aveva ritenuto generica l'eccezione, stabilendo che l'art. 2719 c. c. impone che la contestazione della conformità delle copie all'originale venga compiuta, "a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto a/l'originale, non essendo invece sufficienti né il ricorso a clausole di stile né generiche asserzioni" (Sez. 5 - , Sentenza n. 16557 del 20/06/2019, Rv. 654386 - 01).
Una contestazione della conformità all'originale d'un documento prodotto in copia, insomma, è validamente compiuta ai sensi dell'art. 2719 c. c. quando si indichi espressamente in cosa la copia differisca dall'originale, ovvero quando si neghi l'esistenza stessa d'un originale.
3.4. I rilievi che precedono, e l'ampio numero di precedenti giurisprudenziali che li hanno condivisi, inducono il Collegio a non poter dare seguito all'opposto principio affermato da Sez. 1, Sentenza n. 4912 del 27/02/2017, Rv. 644441 - 01, secondo cui "l'onere, stabilito dall'art. 2719 c. c., di disconoscere "espressamente" la copia fotostatica di una scrittura implica che il disconoscimento sia fatto in modo formale e specifico, con una dichiarazione che, in relazione ad uno o più determinati documenti prodotti in copia, contenga una non equivoca negazione della loro conformità all'originale, ma non impone anche la precisazione degli aspetti per i quali si assume tale difformità".
La decisione appena ricordata, infatti, non può essere condivisa per due motivi.
4.4.1. In primo luogo, essa è motivata unicamente richiamando tre precedenti di questa Corte: e cioè le sentenze pronunciate da Sez. 5, Sentenza n. 16232 del 19/08/2004; da Sez. 1, Sentenza n. 23174 del 27/10/2006 e da Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 20166 del 03/09/2013.
Ebbene, la prima di tali decisioni (Cass. 16232/04) non fu affatto un //01._
precedente conforme. Quella sentenza statuì infatti l'esatto opposto, e cioè che l'onere di disconoscere "espressamente" la fotocopia d'un documento implica che "la relativa eccezione non può essere formulata in maniera solo generica, ma deve contenere specifico riferimento al documento ed al profilo di esso che venga contestato").
Anche la seconda delle suddette decisioni (Cass. 23174/06) non si occupò del problema del grado di analiticità della contestazione di conformità d'una copia all'originale, ma si occupò di questione diversa, e cioè il termine entro il quale debba avvenire il disconoscimento.
Solo la terza delle suddette decisioni (Cass. 20166/13) ammise che la contestazione della conformità d'una copia all'originale non debba indicare in cosa consista questa difformità, ma lo fece con le seguenti parole: "la specificità [dell'eccezione] voluta dalla legge nella specie sussiste dato l'esplicito riferimento alla "conformità agli originali".
Una motivazione, dunque, assertiva ma non argomentata, la quale non si fa carico di saggiare la compatibilità di tale affermazione né col principio di ragionevole durata del processo, né col già ricordato principio nemo tenetur divinare, né col principio di buona fede e correttezza processuale.
3.5. Da tutto quanto esposto discende che nel presente giudizio:
(a) la conformità all'originale delle fotocopie degli avvisi di ricevimento prodotte da Equitalia non poteva ritenersi validamente contestata;
(b) di conseguenza quei documenti dovevano essere utilizzati ai fini del decidere;
(c) ergo ha errato il Tribunale nel non tenerne conto.
La sentenza va dunque cassata con rinvio al Tribunale di Roma, in persona d'altro magistrato, il quale deciderà la controversia applicando il seguente principio di diritto:
4. Le ampie deduzioni svolte dalla Associazione M. nel controricorso, concernenti la nullità della notificazione delle cartelle o la prescrizione dei crediti erariali, sono irrilevanti nel presente giudizio di legittimità.
Il Tribunale, infatti, ha accolto l'opposizione non perché ha ritenuto inesistenti o prescritti i crediti in contestazione, ma sul diverso presupposto che:
a) la Equitalia non aveva provato la coincidenza tra gli atti impositivi e il contenuto delle buste spedite alla M.;
b) le fotocopie degli avvisi di ricevimento erano inutilizzabili ai fini del decidere, in mancanza degli originali.
Ogni questione concernente la ritualità della notifica o la prescrizione dei crediti non viene dunque in rilievo nella presente sede; e dovrà essere esaminata ex novo dal giudice del rinvio, nei limiti in cui sia stata ritualmente proposta col ricorso introduttivo (per l'inammissibilità di motivi successivi nelle opposizioni esecutive, ribadita, tra le altre, da Cass. Sez. U 14/12/2020, n. 28387).
5. Nella discussione svoltasi nella pubblica udienza il difensore della Associazione controricorrente ha invocato la sopravvenuta cessazione della materia del contendere, per effetto dell'annullamento di tutti i debiti di importo residuo non eccedente i mille euro, risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2010, disposta dall'art. 4, comma 1, del d.l. 23-10-2018 n. 119 (convertito nella legge 17-12-2018 n. 136).
L'esame della questione non è tuttavia consentito in questa sede, in quanto essa esige l'accertamento di fatti materiali (data di affidamento del carico all'agente della riscossione; numero ed importo dei "carichi" risultanti da ogni cartella; omogeneità od eterogeneità dei carichi inclusi in ciascuna cartella) esulanti dal perimetro del giudizio di legittimità.
6. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
La Corte di cassazione:
(-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Roma, in persona di altro magistrato, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.