La Cassazione afferma un nuovo principio di diritto stabilendo l'idoneità della sentenza di patteggiamento a carico di uno dei coniugi ai fini della valutazione della sussistenza dei presupposti della separazione nel rispettivo giudizio.
Con l'ordinanza n. 40796 del 20 dicembre 2021, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e afferma il seguente principio di diritto: «Nel giudizio civile di separazione fra i coniugi, vertente sulla domanda di addebito della stessa, la sentenza di patteggiamento a carico di uno di essi può costituire, quale fatto storico...
Svolgimento del processo
È proposto ricorso avverso la sentenza del 23 luglio 2018 della Corte d'appello di Bologna, la quale, per quanto ancora rileva, in parziale accoglimento dell'appello principale di F. R. e respinto l'appello incidentale di L. V., ha disposto sull'affidamento del minore e sulle videochiamate settimanali tra padre e figlio, disponendo l'assegno di mantenimento di € 600,00 in favore della moglie ed aumentando ad € 800,00 quello in favore del figlio, con condanna del marito alle spese di lite del doppio grado.
Si difende con controricorso l'intimata.
Motivi della decisione
1. - Il ricorso propone sette motivi, come di seguito riassunti:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 132 cod. proc. civ., 445, comma 1-bis, e 652 cod. proc. pen., perché la corte territoriale ha attribuito il valore di ammissione di colpevolezza alla sentenza di patteggiamento emessa in sede penale a carico del ricorrente, per i reati di minaccia aggravata ed introduzione e detenzione illegale di arma da fuoco; al contrario, la sentenza di patteggiamento non ha efficacia nei giudizi civili, in modo assoluto;
2) violazione e falsa applicazione degli artt. 132 cod. proc. civ., 445, comma 1-bis, e 652 cod. proc. pen., perché la corte territoriale ha attribuito il valore di ammissione di colpevolezza alla predetta sentenza di patteggiamento, in particolare nel giudizio di separazione fra i coniugi;
3) violazione e falsa applicazione dell'art. 132 cod. proc. civ., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, consistente negli atti del giudizio penale e nella c.t.u. espletata nel primo grado della causa civile di separazione, da cui sarebbe emersa una diversa ricostruzione dei fatti, come risulta chiaramente dai brani di tali documenti, riportati nel ricorso;
4) violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 151 cod. civ., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, per non avere la corte territoriale ritenuto provati presupposti per l'addebito della separazione alla moglie ed averli ritenuti provati a carico del marito, contrariamente a quanto emergeva, invece, dalle testimonianze e dalla c.t.u., riportati in ricorso;
5) violazione e falsa applicazione dell'art. 337-ter cod. civ., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, con riguardo alla minor frequenza delle videochiamate previste tra padre e figlio;
6) violazione e falsa applicazione dell'art. 156 cod. civ., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, con riguardo alla misura dell'assegno attribuito in favore della moglie e del figlio minorenne, laddove una migliore valutazione aveva, al riguardo, compiuto il giudice di primo grado: infatti, la nuova misura è eccessiva, sproporzionata e vessatoria, con riguardo alle reali condizioni economiche delle parti; la moglie ha un contratto di lavoro di un anno rinnovabile e dipese dalla sua scelta spontanea l'abbandono della precedente professione di grafica, mentre ella è titolare di immobili, gestisce un importante portale sul mondo del cavallo, riceve aiuti dalla famiglia ed il matrimonio è durato solo cinque anni;
7) violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., oltre che delle tariffe forensi, ed omessa motivazione, non avendo la sentenza impugnata compensato le spese di lite, sebbene non tutte le domande dell'appellante siano state accolte, ed avendo superato il massimo delle tariffe per le cause di valore indeterminabile, che avrebbe condotto a liquidare non la somma di € 6.000,00, invece liquidata dalla corte territoriale per il grado di appello, ma la minor somma di€ 5.958,00.
2. - La corte territoriale, con la decisione impugnata, ha ritenuto che: a) la domanda di addebito della separazione al marito sia fondata, essendo, invece, risultata infondata la pari domanda proposta di addebito alla moglie: ciò emerge, secondo la corte del merito, dalle dichiarazioni della F. R., col riscontro degli indizi tratti dalla sentenza penale ex art. 444 cod. proc. pen., pronunciata a carico del marito per i reati di minaccia aggravata ed introduzione e detenzione illegale di arma da fuoco; al contrario, sia la dedotta infedeltà della moglie, sia il suo disinteresse in occasione di un ricovero del marito non sono stati dimostrati in giudizio; b) le videochiamate con il figlio devono avvenire con cadenza di due a settimana, essendo eccessive quelle quotidiane, fermo che è rimesso ai genitori di accordarsi circa gli orari delle medesime; e) l'assegno di mantenimento è dovuto per la moglie e per il figlio, attesi i redditi assai superiori accertati in capo al marito, e tenuto conto, comunque, del lavoro di 12 mesi svolto dalla medesima, della sua decisione unilaterale di abbandono dell'attività di grafica, della somma ricevuta mensilmente dai propri genitori e di ogni altra circostanza di fatto, in modo da assicurare a lei ed al figlio un tenore di vita uguale a quello in precedenza goduto.
3. - Il primo ed il secondo motivo, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati.
3.1. - Esclusa la forza di giudicato degli accertamenti resi in sede penale ex artt. 651 ss. cod. proc. pen. nei giudizi civili di risarcimento del danno alla persona offesa per quegli stessi fatti, non è, invece, precluso che la sentenza penale fornisca indizi, ai fini della prova presuntiva, che il giudice civile di merito valuta secondo il suo prudente apprezzamento, ai sensi degli artt. 2727 ss. cod. civ. e 115 cod. proc. civ.
È noto, invero, che il processo civile conosce la c.d. prova atipica: vale a dire, quegli elementi in esso introdotti - quali le prove raccolte in altri giudizi, le sentenze civili o penali rese tra altre parti o comunque non aventi forza di giudicato tra quelle in causa, gli scritti di terzi, etc. - che, pur non essendo inquadrabili in nessuno dei mezzi di prova tipici, né vincolando affatto il giudice alla decisione finale, restano, tuttavia, dal medesimo valutabili e liberamente apprezzabili quali elementi di prova.
Ne deriva che il giudice di merito può utilizzare, non sussistendo nessun divieto in tal senso, ma anzi essendo ciò conforme al principio del suo libero convincimento ex art. 116 cod. proc. civ., tutti questi dati, dai quali desumere elementi probatori che - al di fuori dei casi di apponibilità dell'accertamento derivante dal giudicato - sono oggetto di autonoma valutazione, ben potendo integrare la prova piena dei fatti da dimostrare nel giudizio pendente innanzi a sé.
Tale principio, in relazione ai diversi elementi detti, è consolidato presso il giudice di legittimità (cfr., fra le altre: Cass. 15 gennaio 2020, n. 517; Cass. 10 ottobre 2018, n. 25067; Cass. 20 gennaio 2015, n. 840; Cass. 25 febbraio 2011, n. 4652; Cass. 29 marzo 2007, n. 7767).
3.2. - Ancora più specificamente, questa Corte ha affermato che, anche nei casi in cui non possano attribuirsi alla sentenza penale effetti vincolanti nel giudizio civile ai sensi degli artt. 651, 652 e 654 cod. proc. pen., nulla impedisce al giudice civile, tenuto a rivalutare integralmente i fatti di causa, di tener conto delle acquisizioni probatorie del processo penale.
Invero, sebbene la sentenza penale di patteggiamento ex art. 444 cod. proc. pen. non costituisca giudicato nelle controversie civili - né di risarcimento del danno per quello stesso fatto, né tantomeno in altre - tuttavia la celebrazione d'un giudizio penale e la sentenza che lo conclude costituiscono certamente fatti storici: si menzionano la richiesta di rinvio a giudizio dell'imputato del P.M., la decisione di accoglimento del G.i.p., l'esistenza di determinate fonti di prova, ed insomma tutti quegli elementi, che possono essere sottoposti al giudice civile al fine di trarne elementi probatori (cfr. Cass. 21 gennaio 2020, n. 1249, non massimata sul punto; Cass. 4 luglio 2019, n. 18025, non mass.; Cass. 30 luglio 2018, n. 20170; Cass. 27 settembre 2013, n. 22213).
Al giudice civile non è, invero, precluso, ai fini della formazione del proprio convincimento, di autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche la stessa sentenza e le prove raccolte in un processo penale (anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento, in quanto il procedimento penale sia stato definito ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen.) e ciò in ragione dell'assenza nel giudizio civile di un principio di tipicità della prova.
Va, dunque, sul punto enunciato il seguente principio di diritto:
«Nel giudizio civile di separazione fra i coniugi, vertente sulla domanda di addebito della stessa, la sentenza di patteggiamento a carico di uno di essi può costituire, quale fatto storico espressione della sua condotta, idoneo elemento di valutazione in ordine alla dedotta sussistenza di presupposti della separazione medesima, nel contesto degli accertamenti condotti dal giudice civile, secondo il suo prudente apprezzamento».
3.3. - Nella specie, la Corte d'appello ha considerato la sentenza penale di patteggiamento alla stregua di fonte di normali indizi, e l'ha ritenuto dotato dei caratteri di gravità, precisione e concordanza.
Invero, il giudicato penale di patteggiamento è stato apprezzato dal giudice civile come uno degli elementi rilevanti di prova, per la rivelazione del possesso di arma illegale, che ha confortato la credibilità delle riferite minacce ed intimidazioni.
Il principio giuridico applicato è, dunque, corretto; ché poi lo stabilire se effettivamente gli indizi, in tal modo tratti nel giudizio di merito, siano idonei a provare l'assunto resta un accertamento riservato al giudice di merito, insindacabile in questa sede.
4. - Il terzo, quarto e sesto motivo sono inammissibili, in quanto essi, pur sotto l'egida del vizio di violazione di legge, intendono riproporre il giudizio sul fatto.
Il tentativo emerge dalla stessa riproduzione, nel corpo dei motivi, di stralci delle dichiarazioni e della consulenza tecnica d'ufficio, laddove non è ammissibile chiederne il riesame al giudice di legittimità, al fine di ottenere una diversa valutazione.
5. - Il quinto motivo è inammissibile.
Si tratta della regolamentazione delle telefonate tra padre e figlio minore, regolamentate dalle corti del merito, secondo le loro valutazioni, e sempre suscettibili di modifica, in aderenza al mutamento delle condizioni concrete, al fine di operare un regolamento degli interessi quanto più aderente alle esigenze familiari.
Come tali, esse sono statuizioni prive di qualsiasi stabilità, sempre modificabili o revocabili al mutare delle circostanze e che impingono in questioni di puro fatto, dunque inammissibili in sede di ricorso per cassazione.
6. - Il settimo motivo è infondato.
Costituisce principio consolidato (fra le altre, Cass. 26 aprile 2019, n. 11329) che, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l'eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione.
Neppure ha pregio la censura di superamento dei massimi, che in mancanza di un diverso conteggio risulta inammissibile, atteso che la causa non era di valore indeterminabile, al contrario risultando in essa anche pretese di preciso valore economico.
7. - Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della parte controricorrente, liquidate in € 3.000,00, oltre ad € 200,00 per esborsi, alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso.
Dispone, per l'ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi, ai sensi dell'art. 52 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196.