Il Giudice Amministrativo ha chiarito che nel valutare la legittimazione a proporre intervento direttamente in appello occorre far riferimento alla posizione (dipendente o autonoma) che l'interveniente avrebbe assunto partecipando al giudizio di primo grado.
Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 8425 del dicembre 2021, si è pronunciato sulla legittimazione del soggetto a proporre intervento, nel processo amministrativo, per la prima volta nel giudizio di appello.
La Sezione Quarta, investita della questione, ha dapprima ricordato che per valutare detta legittimazione occorre far riferimento alla posizione che il soggetto avrebbe assunto se avesse proposto lo stesso intervento in primo grado. Di conseguenza « rispetto all'appello proposto dall'Amministrazione, ovvero come in questo caso dal controinteressato, l'intervento in appello incontra gli stessi limiti di un intervento ad adiuvandum del ricorrente proposto nel primo grado di giudizio ».
La partecipazione al primo grado, come ampiamente condiviso, presuppone la titolarità di una posizione giuridica dipendente e accessoria rispetto a quella dedotta dal ricorrente, e non di una posizione autonoma. In conseguenza di ciò, l'interveniente ad adiuvandum , titolare di posizione autonoma, deve impugnare il provvedimento considerato lesivo con un ricorso autonomo, da proporre entro i termini di decadenza. Alternativamente, qualora non si proceda con la proposizione di tale ricorso rispettando i termini, lo stesso non può essere riproposto in una fase successiva del giudizio.
Detto principio vale anche per « l'intervento ad opponendum nel secondo grado di giudizio rispetto all'appello dell'Amministrazione o del controinteressato, intervento che corrisponde appunto al non consentito intervento ad adiuvandum in primo grado per il soggetto titolare di posizione autonoma ».
In definitiva, secondo questa Autorità, l'intervento direttamente in appello del soggetto, titolare di una posizione giuridica dipendente e accessoria rispetto a quella dedotta dal ricorrente, incontra gli stessi limiti dell'intervento ad adiuvandum proposto nel primo grado di giudizio. Viceversa, nelle ipotesi in cui l'interessato sia titolare di una posizione autonoma, il provvedimento ritenuto lesivo deve essere impugnato con apposito atto, da proporre entro i termini di decadenza, pena l'impossibilità di agire in una fase successiva del giudizio.
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza (ud. 28 ottobre 2021) 20 dicembre 2021, n. 8425
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. I ricorrenti appellati sono tutti imprenditori del settore, e gestiscono in Comune di (omissis) altrettanti distributori di carburante (fatto pacifico in causa).
2. Come tali, hanno impugnato in primo grado gli atti meglio indicati in epigrafe, con i quali il Comune ha autorizzato la costruzione di un nuovo distributore, gestito dalla controinteressata appellata (doc. 1 appellante, provvedimento 17 febbraio 2020, n. 79, che cita gli altri atti indicati).
3. Le vicende che hanno portato ad autorizzare l’impianto in questione vanno riassunte per chiarezza, così come segue.
3.1. Il terreno di proprietà della controinteressata appellante sul quale l’impianto dovrebbe essere realizzato si trova nella zona commerciale di (omissis), ed è classificato come terreno a rischio idrogeologico dal Piano stralcio redatto dall’Autorità di bacino del fiume Magra, ora Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino settentrionale. Per la precisione, gran parte dell'area del nuovo distributore è classificata come PI4A (allagamenti con tempo di ritorno – Tr = 30 anni), una piccola striscia è classificata come PI3A (allagamenti per Tr = 200 anni a maggiore pericolosità relativa), mentre la parte più a nord risulta essere PI3B (allagamenti per Tr = 200 anni a minore pericolosità relativa). In particolare ricade in area PI3B gran parte del fabbricato denominato “box gestore”, mentre tutto il resto delle opere ricade in area PI4A e PI3A (doc. 4 appellante, verificazione disposta nel precedente giudizio n. 4145/2017 R.G. di questo Giudice; si tratta comunque di fatti storici non contestati).
3.2. Il regime urbanistico-edilizio delle zone classificate come si è detto è poi previsto dal Piano stralcio di assetto idrogeologico, e in particolare dall’art. 19 delle norme tecniche di attuazione - NTA di esso, trattandosi (fatto non contestato) di “porzioni di territorio nelle quali siano stati perimetrati gli ambiti normativi delle aree inondabili”, di cui al precedente art. 14, comma 3, delle NTA in questione.
3.3. Nelle aree PI4A, “sono consentiti gli interventi di cui all’art. 18 comma 2”, che per quanto qui interessa non comprendono le nuove edificazioni; sono però possibili, in forza del richiamo che l’art. 18, comma 2, fa al precedente art. 17, e senza il parere dell’Autorità di bacino “interventi non qualificabili come volumi edilizi ai fini delle presenti norme, quali recinzioni largamente permeabili, tettoie, pali, tralicci, serre di tipo a ‘tunnel’ senza fondazioni continue”.
3.4. Nelle aree PI3A, sono consentiti, sempre per quanto qui interessa, oltre agli interventi possibili nelle aree PI4A, anche gli interventi di nuova costruzione, ma con tutta una serie di cautele. In primo luogo, le condizioni sono quelle di cui all’art. 18, comma 3, lettera b), ovvero si richiede il “previo parere obbligatorio e vincolante del Comitato tecnico dell’Autorità di bacino” a condizione che gli interventi da realizzare “a seguito di adeguate analisi tecnico-idrauliche: 1) interessino aree classificabili a minor pericolosità in relazione a modesti tiranti idrici e a ridotte velocità di scorrimento rispetto ad eventi con tempi di ritorno T=200 anni, secondo i parametri individuati nell’Allegato n. 8; 2) prevedano le opportune misure od accorgimenti tecnico-costruttivi per la protezione passiva dagli eventi di inondazione finalizzati al non aumento del rischio attuale di cui all’allegato n. 10: 3) non concorrano ad aumentare il livello attuale di pericolosità e di rischio nell’area di interesse né nelle aree limitrofe, a monte e a valle”. In aggiunta, l’art. 19 richiede che si proceda “a seguito di valutazioni di maggior dettaglio, finalizzate a verificare le specifiche condizioni dell’area e la possibilità di adozione di accorgimenti e/o misure per la mitigazione del rischio, eventualmente connessi ad altri interventi locali in grado di riportare le condizioni di pericolosità e di rischio a livelli compatibili con la nuova edificazione, senza aggravio nelle aree limitrofe”.
3.5. Sempre per quanto qui interessa, gli interventi di nuova costruzione sono possibili anche nelle aree PI3B, e in questo caso a condizioni meno rigorose, perché non è richiesto il parere dell’Autorità di bacino. Deve invece attivarsi il Comune, che “nell’ambito dei propri atti istruttori ed autorizzativi, verifica le specifiche condizioni di pericolosità dell’area, attraverso gli studi disponibili presso l’Autorità di bacino e/o valutazioni di maggior dettaglio, anche al fine della definizione degli adeguati misure ed accorgimenti tecnico-costruttivi di cui all’allegato n. 10”.
3.6. Dall’art. 19, si deve infine ritenere richiamata la previsione generale dell’art. 18, comma 1, del Piano, per cui: “Qualsiasi intervento realizzato nelle aree inondabili deve prevedere l’assunzione delle azioni e misure di protezione civile di cui ai Piani comunali di settore, non deve pregiudicare la sistemazione definitiva del corso d’acqua, né aumentare significativamente la pericolosità di inondazione ed il rischio connesso, sia localmente, sia a monte sia valle, e non deve costituire significativo ostacolo al deflusso delle acque di piena o ridurre significativamente la capacità di invaso delle aree stesse” (doc. 5 appellanti, estratto delle NTA di Piano).
3.7. Tutto ciò posto, il Comune aveva rilasciato alla controinteressata appellante un primo permesso di costruire per il distributore in questione, il permesso 5 gennaio 2017, n. 11, impugnato dagli attuali appellati con ricorso di primo grado accolto dal TAR Liguria con sentenza 25 maggio 2017, n. 460. La controinteressata aveva impugnato questa sentenza con l’appello n. 4145/2017 R.G. di questo Consiglio, e nel corso del relativo processo era stata disposta la verificazione sul regime idraulico dei terreni prodotta in questo processo come il doc. 4 appellante citato. Sempre nel corso del procedimento n. 4145/2017, era stato rilasciato il parere favorevole dell’Autorità di bacino di cui in epigrafe, sulla base del quale il Comune aveva rilasciato i titoli autorizzativi impugnati in questa sede. Il procedimento n. 4145/2017 si era quindi concluso con sentenza di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse della Sezione 3 marzo 2020, n. 1556, ed il contenzioso era proseguito con l’impugnazione in primo grado dei nuovi titoli rilasciati, per cui appunto ora è processo.
4. Con la sentenza pure indicata in epigrafe, il TAR ha appunto accolto il predetto ricorso contro i nuovi titoli autorizzativi del distributore e annullato gli atti impugnati. In motivazione, ha in sintesi osservato che l’intervento attraverso il quale si intende costruire l’impianto va considerato come un tutto unitario, e non parcellizzato nelle singole strutture di cui esso si compone, e quindi costituisce una nuova costruzione; ciò posto, ha rilevato che esso non è realizzabile come tale perché le nuove costruzioni sul terreno ove esso deve sorgere sono vietate dalla classificazione, come si è visto non controversa in causa, che ne fa il predetto Piano di assetto idrogeologico come zone PI4A, PI3A ovvero PI3B, con le caratteristiche appena descritte.
5. In dettaglio, il TAR in ordine logico ha motivato così come segue.
5.1. In primo luogo, ha ritenuto che l’impianto per cui è causa, in quanto “opera di urbanizzazione secondaria complementare al servizio della circolazione stradale” rappresenti una nuova costruzione ai sensi del T.U. 6 giugno 2001, n. 380.
5.2. Ciò posto, ha richiamato l’art. 5, comma 9, ultima parte, delle NTA di Piano (cfr. sempre doc. 5 appellante), secondo cui “i divieti ed i limiti delle misure stesse vanno riferiti alla natura sostanziale dell’intervento, a prescindere dalla categoria in cui gli stessi sono ascritti in base ai singoli strumenti urbanistici”.
5.3. Su queste premesse, ha ritenuto che l’intervento per cui è causa, unitariamente inteso, non possa essere realizzato anzitutto in base alle prescrizioni della zona PI4A, in cui ricade la maggior parte di esso, prescrizioni che, come si è visto, non ammettono le nuove costruzioni, neanche se si tratti di una nuova costruzione finalizzata ad un servizio di pubblico interesse, perché per i servizi sono consentiti solo “l’adeguamento e la ristrutturazione delle reti dei trasporti e delle reti e degli impianti dei servizi esistenti, pubblici o di interesse pubblico, non delocalizzabili”, come da art. 17 delle NTA, richiamato dall’art. 19 citato.
5.4. Ha poi ritenuto che l’intervento per cui è causa non possa essere realizzato nemmeno in base alle prescrizioni della zona PI3, che consente le nuove costruzioni solo se non aumentino il rischio idraulico. La verificazione citata ha infatti affermato che, ove l’impianto venisse realizzato, il rischio in questione aumenterebbe, dato che il sedime dell’impianto, per forza di cose, verrebbe frequentato da un numero di persone superiore all’attuale.
5.5. Ha quindi considerato illegittimo il parere dell’Autorità di bacino, che considera come nuova costruzione il solo box gestore, isolatamente considerato, e lo considera assentibile perché sito in zona di minore pericolosità; considera poi le residue parti del distributore come opere isolate ammissibili ai sensi dell’art. 17 perché si tratterebbe di “interventi non qualificabili come volumi edilizi”.
5.6. Il TAR ha quindi accolto la domanda di annullamento, e respinto quella risarcitoria, perché generica.
6. Contro questa sentenza, la controinteressata ha proposto impugnazione, con appello che contiene tre censure, riconducibili ad un unico motivo di travisamento del fatto, in cui sostiene, in sintesi estrema, che la parcellizzazione dell’impianto sarebbe ammissibile, e quindi che esso si potrebbe realizzare, dato che le sue singole parti rientrano fra i manufatti consentiti dal Piano nella zona e il ritenuto aumento del rischio idraulico non vi sarebbe, da un lato perché non verrebbe mutata la destinazione di zona, dall’altro perché il progetto prevede misure di mitigazione del rischio stesso, ritenute idonee.
7. I ricorrenti hanno resistito con atto 7 ottobre, ricorso incidentale 8 ottobre e memoria 9 ottobre 2020, in cui ripropongono il motivo di ricorso respinto, secondo il quale essi avrebbero dovuto ricevere l’avviso di inizio procedimento, e chiedono che l’appello sia a sua volta respinto.
8. Con memoria 12 ottobre 2020, la controinteressata appellante ha chiesto la reiezione dell’appello incidentale, e insistito per la tutela cautelare;
9. Con atto 12 ottobre 2020, ha fatto intervento in causa certa S., società che gestisce un distributore di carburante in un comune vicino, ed ha chiesto a sua volta che l’appello sia respinto;
10. Si è costituita con atto 14 ottobre 2020 anche l’Autorità di bacino, ed ha chiesto che l’appello sia accolto, ritenendo, nei termini spiegati, coerenti con il parere in precedenza espresso, che unico manufatto qualificabile come nuova costruzione sia il box gestore, considerato come elemento a sé stante, il quale insiste su un terreno sul quale le nuove costruzioni sono consentite.
11. Alla camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2020, la causa è stata rinviata al merio su accordo delle parti.
12. Con atto depositato il giorno 6 novembre 2020, l’Autorità ha proposto appello incidentale, con atto che contiene un unico motivo, di contenuto sostanzialmente identico a quello dedotto con l’appello principale.
13. Con memorie 17 maggio e repliche 27 maggio 2021 per l’appellante e gli appellati, e con replica 26 maggio 2021 per l’interveniente, le parti hanno insistito sulle rispettive loro posizioni. In particolare, l’appellante ha eccepito l’inammissibilità dell’intervento, come proposto da un soggetto che avrebbe a sua volta dovuto impugnare tempestivamente in primo grado gli atti impugnati per cui è causa.
14. Con atto 20 settembre 2021, il Comune si è costituito, chiedendo che l’appello sia accolto.
15. Con memoria 27 settembre 2021, l’appellante ha ribadito ancora una volta le proprie tesi.
16. Alla pubblica udienza del giorno 28 ottobre 2021, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.
17. Preliminarmente, va dichiarato inammissibile l’intervento in causa proposto dalla società S. nei termini di cui sopra.
17.1. In termini generali, come chiarito dalla giurisprudenza di questo Consiglio, per valutare la legittimazione di un dato soggetto a proporre intervento per la prima volta nel giudizio di appello occorre avere riguardo alla posizione che quel soggetto avrebbe assunto se avesse proposto l’intervento stesso in primo grado. Di conseguenza, rispetto all’appello proposto dall’Amministrazione, ovvero come in questo caso dal controinteressato, l’intervento in appello incontra gli stessi limiti di un intervento ad adiuvandum del ricorrente proposto nel primo grado di giudizio.
17.2. Un intervento in primo grado di questo tipo presuppone poi, come è noto, la titolarità di una posizione giuridica dipendente e accessoria rispetto a quella dedotta dal ricorrente, e non una posizione autonoma. L’interveniente ad adiuvandum titolare di posizione autonoma avrebbe infatti dovuto impugnare il provvedimento ritenuto lesivo con un ricorso autonomo, e se non lo ha proposto nel relativo termine di decadenza, non ne può eludere l’inosservanza con l’intervento stesso proposto in un momento successivo.
17.3. Lo stesso principio vale per l’intervento ad opponendum nel secondo grado di giudizio rispetto all’appello dell’Amministrazione o del controinteressato, intervento che corrisponde appunto al non consentito intervento ad adiuvandum in primo grado per il soggetto titolare di posizione autonoma: nei termini, per tutte, C.d.S. sez. III, 9 febbraio 2021, n. 1230, e 14 dicembre 2016, n. 5268.
17.4. Ciò premesso, la posizione fatta valere dalla S. è una posizione autonoma rispetto a quella fatta valere dai ricorrenti in primo grado, e non una posizione in qualche modo da essa dipendente. La S. stessa infatti afferma di essere, così come tutti i ricorrenti in primo grado, gestore di un proprio distributore di carburanti, e di temere, in sintesi, un pregiudizio dall’apertura dell’impianto progettato dalla controinteressata. È quindi del tutto evidente che, per opporvisi, avrebbe dovuto proporre, al pari dei ricorrenti in primo grado, un autonomo ricorso contro i provvedimenti che assentiscono l’impianto da lei avversato.
18. In ordine logico, va poi esaminato l’appello incidentale proposto dai ricorrenti in primo grado, che è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito esposte.
18.1. Come si è detto, i ricorrenti in primo grado appellanti incidentali lamentano il mancato avviso dell’inizio del procedimento, a loro avviso dovuto nei loro confronti sulla base della norma generale dell’art. 7 della l. n. 241/1990, che si riporta per chiarezza: “Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l’avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall’articolo 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l’amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell’inizio del procedimento.” La norma in questione, va premesso, è sempre stata interpretata dalla giurisprudenza di questo Giudice in modo da conciliare la partecipazione degli amministrati con le esigenze di celerità e non aggravamento del procedimento amministrativo, valori che ricevono entrambi tutela costituzionale come aspetti del principio di buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost.
18.2. In questi termini, si è allora ritenuto che l’avviso di inizio del procedimento sia dovuto soltanto ai soggetti rispetto ai quali il provvedimento finale produce effetti diretti, intesi come ampliamento o restrizione rilevante in termini giuridici della propria sfera, e non come effetti di mero fatto; allo stesso modo, il “pregiudizio” considerato dalla seconda parte della norma deve essere un pregiudizio giuridicamente rilevante e in qualche misura certo, non soltanto ipotetico ed eventuale, e ciò va apprezzato prima ancora che si ponga la questione ulteriore della possibilità di individuare gli interessati: così per tutte C.d.S., sez. VI, 15 ottobre 2019, n. 7017, ove riferimenti ulteriori.
18.3. Applicando il principio esposto al caso di specie, è allora evidente che il pregiudizio lamentato dai ricorrenti di primo grado, in sintesi una possibile contrazione del loro giro di affari dovuta all’apertura di un impianto concorrente è anzitutto un pregiudizio di fatto, e non un pregiudizio giuridicamente rilevante, dato che la concorrenza, se attuata in modo legittimo, è del tutto lecita, ed anzi incentivata dall’ordinamento nazionale ed europeo; si tratta poi di un pregiudizio ipotetico, dato che il successo commerciale dell’impianto concorrente, ove autorizzato e reso attivo, non è scontato e dipende da fattori imponderabili. Di conseguenza, l’avviso di inizio del procedimento non era in questo caso dovuto.
19. Sempre in ordine logico, va ora esaminato l’appello principale, che nell’unico motivo di cui consta è a sua volta infondato e va respinto.
19.1. Ad avviso del Collegio, è necessario partire da un dato fondamentale, già correttamente apprezzato dal giudice di primo grado: l’intervento urbanistico edilizio come tale non è parcellizzabile, nel senso che la legittimità di un dato intervento di realizzazione di opere va apprezzata guardandolo nel suo complesso, e non considerando separatamente le singole parti che lo compongono: in tal senso la costante giurisprudenza, per tutte C.d.S., sez. IV, 12 giugno 2020, n. 3433, e sez. VI, 8 maggio 2018, n. 2738. Si noti poi che coerente con questa impostazione è il citato art. 5, comma 9, ultima parte, delle NTA di Piano (doc. 5 appellante cit.), secondo cui come si è visto “i divieti ed i limiti delle misure stesse vanno riferiti alla natura sostanziale dell’intervento” e quindi non ad una sua artificiosa scissione.
19.2. Ne consegue, ai fini del decidere, che nel caso di specie ci si trova di fronte ad una stazione di servizio, intesa come unico impianto, e non, in ipotesi, alla semplice giustapposizione di un box, delle pensiline, delle pompe e delle altre attrezzature che la compongono. Rispetto quindi all’unico manufatto “stazione di servizio” è corretta l’affermazione del giudice di primo grado, ovvero che si tratta di un’opera di urbanizzazione secondaria che integra una nuova costruzione e come tale va assentita con permesso di costruire, dato che essa, con tutta evidenza, incrementa il carico urbanistico sull’area.
19.3. La nuova costruzione in parola, tuttavia, non poteva essere assentita sul terreno per cui è causa, per le ragioni ancora una volta correttamente individuate dal giudice di primo grado e sopra esposte. In primo luogo, e ciò basterebbe, perché la maggior parte dell’impianto vi ricade, nelle zone classificate PI4A le nuove costruzioni non sono in generale ammesse, e un nuovo distributore di carburanti non rientra nel concetto di “adeguamento e … ristrutturazione delle reti” di servizi per cui è possibile la deroga, dato che all’evidenza “adeguare” ovvero “ristrutturare” presuppone che si intervenga su qualcosa che già esiste. In secondo luogo, la costruzione non poteva essere assentita nemmeno nelle zone classificate PI3A ovvero PI3B, in cui le nuove costruzioni sono fra l’altro subordinate al non aumento del rischio idraulico: è altrettanto evidente, come osserva il giudice di primo grado, che se un’area libera viene occupata da un nuovo impianto al servizio del pubblico, il rischio invece aumenta, perché vi è un’aumentata frequentazione dell’area stessa.
20. La reiezione dell’appello principale comporta la reiezione anche dell’appello incidentale proposto dall’Autorità di bacino, che come si è detto ha lo stesso contenuto.
21. La complessità della controversia e la reciproca soccombenza sono giusto motivo per compensare per intero fra tutte le parti le spese di questo grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 7042/2020), così provvede:
a) dichiara inammissibile l’intervento in causa proposto dalla S. S.p.a.;
b) respinge l’appello incidentale proposto dai signori R. B., A. C., A. G., A. F., A. L. e G. L. e dalle società M. di L. T. S.n.c., S. e M. S.n.c. ed E. di M. A. e V. S. S.n.c.:
c) respinge l’appello principale;
d) respinge l’appello incidentale proposto dall’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino settentrionale;
e) compensa per intero fra tutte le parti le spese di questo grado di giudizio.