Il professionista che, nonostante la sospensione, firma il verbale di conciliazione è perseguile per il reato di esercizio abusivo della professione.
Nel giudizio di merito l'avvocato veniva condannato per aver esercitato la professione, in qualità di procuratore in un procedimento di conciliazione giudiziale, pur essendo stato sospeso dal COA di appartenenza.
Ricorrendo per cassazione, il legale chiede l'annullamento della pronuncia evidenziando come può essere considerata abusiva solo...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bari, ha confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Foggia a R.F. ex art. 348 cod. pen. per avere esercitato la professione di avvocato, pur essendo stata sospesa il 14 luglio 2013 dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Perugia, assistendo come procuratore costituito, R.P. in un procedimento di conciliazione giudiziale davanti al Tribunale di Foggia.
2. Nel ricorso presentato dal difensore di F. si chiede l'annullamento della sentenza per i seguenti motivi riportati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.). Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza perché priva della sottoscrizione del Giudice relatore. Con il secondo motivo si deduce erronea applicazione dell'art. 60 legge 31 dicembre 2012, n. 347 e dell'art. 348 cod. pen., per l'insussistenza dell'elemento psicologico del reato, per avere escluso che fosse già vigente l'art. 61, comma 3, legge 31 dicembre 2012, n. 347, per il quale «La proposizione del ricorso sospende l'esecuzione del provvedimento», mentre, al contrario, l'art. 50, comma 5, della legge 31 dicembre 2012, n. 347 richiede, per la vigenza della legge, l'approvazione di un regolamento solo relativamente al procedimento davanti ai Consiglio Distrettuale di disciplina. Si assume che, pertanto, fondatamente l'avvocato F. ritenne che il provvedimento cautelare adottato nei suoi confronti fosse sospeso. Con il terzo motivo di ricorso si deducono violazione dell'art. 348 cod. pen. e vizio di motivazione evidenziando che nel processo del lavoro non è necessaria la presenza dei difensori delle parti in occasione della redazione del verbale di conciliazione (artt. 185 cod. proc. civ. e 88 disp. att. cod. proc. civ.). Si osserva come, nell'argomentare che l'assistenza fornita dalla ricorrente sia distintamente considerata nelle tariffe professionali forensi, la Corte di appello ha trascurato che, quando sono compiuti atti non attribuibili specificamente a una determinata professione, la condotta costituisce esercizio abusivo della professione solo se continuativamente attuata con le oggettive apparenze di una legittima attività professionale, mentre nella fattispecie l'imputata si è limitata ad assistere alla ( conciliazione davanti al Giudice del lavoro. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione dell'art. 131-bis cod. pen. nel disconoscere la particolare tenuità del fatto consistito nell'avere partecipato a una attività per la quale non è necessaria la presenza di un avvocato difensore.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Deve registrarsi che la sentenza risulta sottoscritta dal Giudice estensore dott. F.C., il quale già risultava relatore dal verbale di udienza del 23 novembre 2011 e ancora componete del collegio dell'udienza del 23 aprile 2021 come risulta dal verbale di udienza e dalla stessa intestazione (come corretta a penna) della sentenza emessa nella stessa data. Va rilevato, inoltre, che il nome del dott. F.C. come consigliere relatore era già presente anche nella intestazione della sentenza scritta a macchina che è stata poi corretta per inserirvi il nominativo del nuovo presidente (quello che, come tale, ha per sua parte regolante sottoscritto la sentenza). Deve concludersi, pertanto, che vi è corrispondenza tra il nominativo del giudice relatore ed estensore indicato nel frontespizio e quello del relatore ed estensore che ha scritto la sentenza, corrispondenza la cui eventualità avrebbe, in ogni caso, determinato soltanto una mera irregolarità della sentenza (Sez. 6, n. 4945 del 30/01/2020, F., Rv. 278119; Sez. 2, n. 8273 del 17/01/2018, C., Rv. 272271).
2. Il secondo motivo di ricorso è infondato. L'esercizio della professione è abusivo se l'atto professionale è stato compiuto nonostante la sottoposizione alla sanzione disciplinare della sospensione dell'esercizio della professione (Sez. 6, n. 4456 del 16 ottobre 2018, dep. 2019, F., n. 274982) e deve ribadirsi che la data di entrata in vigore del Regolamento CNF 21 febbraio 2014 n. 2 è il 1° gennaio 2015 perché la regola transitoria dettata dall'art. 65, comma 1, della citata legge inibisce l'immediata applicazione delle disposizioni processuali sino al verificarsi dell'evento assunto dalla norma come rilevante, e cioè sino all'entrata in vigore dei previsti regolamenti (Cass. civ. Sez. U, n. 32360 del 13/12/2018, S., Rv. 651821; Cass. civ. Sez. U, n. 19653 del 24/07/2018, C., Rv. 649977)
3. Il terzo motivo di ricorso è infondato. Nella sentenza impugnata si osserva che sebbene la firma della conciliazione da parte degli avvocati difensori non sia necessaria, perché si tratta di un atto negoziale che comunque produrrà i suoi effetti (p. 7), l'assistenza prestata dal difensore è stata considerata nelle previgenti tariffe professionali dei diritti e degli onorari di procuratore e, attualmente, rientra nelle tabelle dei parametri per compensare l'attività dei procuratori. Con specifico riferimento al caso in esame ha evidenziato che l'avvocato F. ha in concreto firmato il verbale di conciliazione assieme al suo assistito, all'altra parte e al difensore di questa così creando l'oggettiva apparenza di un'attività professionale svolta da un soggetto regolarmente abilitato (Sez. U, n. 11545 del 15 dicembre 2011, dep. 2012, C., Rv. 251820; Sez. 6, n. 12282 del 12 febbraio 2020, M., non mass.). Anche in questo caso si ha un "esercizio della professione", per il quale è richiesta l'iscrizione nel relativo albo, perché ricorre allo stesso modo la necessità (che giustifica l'incriminazione) di tutelare le persone dal rischio di affidarsi a soggetti inesperti della professione o indegni di esercitarla.
4. Posto quanto precede deve registrarsi che il reato si è prescritto successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Ne deriva quanto in dispositivo oltre alla sopravvenuta irrilevanza del quarto motivo di ricorso (peraltro non precedentemente proposto con i motivi di appello, né con i motivi aggiunti di appello).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.