La Corte Suprema, decidendo sul ricorso proposto da un Maresciallo dell'Arma, dibatte sul principio della c.d. doppia ingiustizia, richiesto per integrare il reato di abuso d'ufficio.
Il fatto riguardava un Maresciallo dell'Arma dei Carabinieri che aveva indotto i suoi sottoposti ad elevare le contravvenzioni al Codice della Strada comminate ai clienti di un negozio, reo di aver ottenuto la concessione per scarico merci di una parte di suolo appartenente al condominio in cui il pubblico ufficiale abitava. Per tale condotta l'imputato veniva condannato...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bologna ha ribadito la condanna di E.P., pronunciata in primo grado, in ordine al reato di abuso in atti d'ufficio (art. 323 cod. pen.), confermando la condanna alla pena, condizionalmente sospesa, di un anno di reclusione e concedendo all'imputato lo ulteriore beneficio della non menzione di cui all'art. 175 cod. pen. La condanna è stata pronunciata in relazione alla condotta ascritta all'imputato, Maresciallo dell'Arma dei Carabinieri, di avere indotto i sottoposti in servizio presso la Stazione via (omissis) di Ravenna ad elevare reiterate (quasi cinquanta) contravvenzioni al Codice della strada per divieto di sosta nei confronti di clienti del negozio di fiori gestito da C.L., colpevole di avere conseguito dall'autorità comunale la concessione di un'area riservata al carico e allo scarico delle merci, sottraendo in tal modo un posto auto al condominio in cui lo stesso P. abitava.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato che formula due motivi di censura. Erronea applicazione dell'art. 323 cod. pen. in relazione alla mancata assoluzione dal reato ascrittogli, sotto il profilo sia dell'assenza del requisito della doppia ingiustizia, attesa la regolarità delle sanzioni per violazione al codice della strada da lui redatte ed emesse, sia della mancata violazione del dovere di astensione, per avere redatto atti pienamente rientranti nelle competenze di istituto, preceduti dall'esposizione alla titolare dell'esercizio delle modalità di corretto utilizzo dello stallo ottenuto. Erronea applicazione di legge in relazione all'eccessiva onerosità del trattamento sanzionatorio ricevuto.
Motivi della decisione
1. La sentenza deve essere annullata senza rinvio perché il reato in addebito al capo a) dell'imputazione e commesso fino al 2 dicembre 2012 risulta estinto per sopravvenuta prescrizione (2 giugno 2020, oltre alla sospensione di sessantaquattro giorni dovuta a pandemia Covid-19).
2. Il ricorso articolato dall'imputato non è, infatti, manifestamente infondato, ponendo all'attenzione di questa Corte di cassazione temi meritevoli di approfondimento in relazione alla peculiarità della fattispecie e all'attuale stadio di sviluppo dell'elaborazione giurisprudenziale.
2.1. Il ricorrente deduce in primo luogo l'assenza del requisito della cd. doppia ingiustizia riscontrabile nella propria condotta nonché la mancanza di effetti pregiudizievoli, ancorché mediati, in capo alla titolare dell'esercizio commerciale, presunta danneggiata dal reato di abuso di ufficio, allegando che sebbene il Prefetto di Ravenna abbia annullato alcuni verbali di contravvenzione, gran parte degli stessi era stata elevata a termini di legge in relazione all'irregolare uso del posto di carico - scarico merci da parte di clienti e non dell'esercizio commerciale della L.. La Corte di appello ha, invece, argomentato il proprio sostegno alla decisone di primo grado basandolo in larga parte sulla mancata osservanza del dovere di astensione dell'imputato, in quanto portatore di un interesse proprio nella vicenda, essendo condomino dello stabile cui l'attribuzione dell'area di scarico merci aveva sottratto un posto di parcheggio e perseverante nella condotta, anche dopo avere ricevuto l'ordine di desistere dal proprio diretto superiore. Le considerazioni svolte dalla Corte di merito non tengono, tuttavia conto del principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte di cassazione, secondo cui ai fini dell'integrazione del reato di abuso di ufficio, anche nel caso di violazione dell'obbligo di astensione, è necessario che a tale omissione si aggiunga l'ingiustizia del vantaggio patrimoniale deliberato, con conseguente duplice distinta valutazione da parte del giudice che non può far discenderne l'ingiustizia dall'illegittimità del mezzo utilizzato (Sez. 6, n. 26429 del 14/04/2021, R., Rv. 281582; Sez. 6, n. 12075 del 06/02/2020, S., Rv. 278723; Sez. 6, n. 47978 del 27/10/2009, PG in proc. C., Rv. 245447; Sez. 6, n. 26324 del 26/04/2007, PM in proc. B., Rv. 236857; Sez. 6, n. 11415 del 21/02/2003, G., Rv. 224070).
2.2. Sebbene in maniera non del tutto lineare (pagg. 5-7 ricorso) la difesa del ricorrente ha, inoltre, posto l'ulteriore tema della perdurante rilevanza dell'art. 97 Cast. quale parametro normativo di riferimento onde valutare il profilo della imparzialità della condotta del pubblico ufficiale, anche sotto il ricordato profilo della violazione del divieto di astensione che la sentenza àncora espressamente alla previsione costituzionale. Il tema costituisce tuttora occasione di approfondimento nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità, nel cui ambito si confrontano distinti orientamenti di cui costituiscono esempio le seguenti decisioni, tra le più recenti pronunciate in materia. In tema di abuso d'ufficio, l'inosservanza del principio costituzionale di imparzialità della P.A non integra il requisito della violazione di legge, salvo nel caso in cui tale principio si traduca in una regola di comportamento così precisa da risultare di immediata applicazione, fermo restando che la stessa deve comunque attenere all'esercizio dei poteri attribuiti al pubblico ufficiale (Sez. 6, n. 49549 del 12/06/2018, P.G. in proc. L., Rv. 274225). Integra il reato di abuso di ufficio il demansionamento di un dipendente comunale attuato con intento discriminatorio o ritorsivo, atteso che tale condotta determina l'inosservanza dei doveri costituzionali di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione di cui all'art.97 Cast., nonché la violazione del dovere di adempiere con disciplina ed onore all'esercizio di funzioni di pubbliche previsto dall'art. 54 Cast. (Sez. 6, n. 22871 del 21/02/2019, V., Rv. 275985 in fattispecie in cui si è precisato che le suddette norme costituzionali dettano regole di immediata portata precettiva ed esprimono il divieto per i pubblici agenti di comportamenti connotati da ingiustificate preferenze e favoritismi). La perdurante pluralità di indirizzi interpretativi costituisce ovviamente motivo per non ritenere manifestamente infondata la specifica doglianza formulata dal ricorrente sul punto.
P. Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.