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Imporre il rilascio senza alcun termine, vale a dire il giorno dopo la fine del periodo contrattualmente pattuito, non è compatibile con il paradigma normativo.
La società conduttrice di un immobile destinato ad uso commerciale riceveva dalla locatrice un'intimazione per finita locazione dinanzi al Tribunale di Venezia. Nello specifico, il contratto di locazione stipulato tra le parti era stato rinnovato 2 volte e aveva quale scadenza il 28.02.2018, mentre la disdetta per finita locazione era già stata notificata il 15.05.2015. ...
Svolgimento del processo
) C. S.p.a. conduttrice, in forza di contratto di locazione stipulato nell'anno 2000, di un immobile destinato a uso commerciale (vendita di articoli alimentari e non) sito in Venezia (omissis) e di proprietà della D. S.r.l., la cui scadenza, dopo due rinnovi, era prevista per il 28/02/2018, successivamente alla disdetta per finita locazione (per il 28/02/2018) notificatale dalla locatrice in data 15/05/2015, ricevette, in data 26/06/2015, intimazione per finita locazione, dinanzi al Tribunale di Venezia, per l'udienza del 24/07/2015.
) Il detto Tribunale, in composizione monocratica, con ordinanza del 29/07/2015, assunta a seguito di scioglimento della riserva, convalidava l'intimata licenza e fissava il rilascio dell'immobile per il 01/03/2018, giorno successivo alla scadenza contrattuale del 28/02/2018.
) A seguito dell'esito infruttuoso delle trattative per un'intesa sul rinnovo, C. S.p.a. proponeva l'opposizione prevista dall'art. 56, comma 3, della legge 27 luglio 1978, n. 392.
) Il Tribunale di Venezia, in composizione collegiale, nel contraddittorio con D. S.r.l., con sentenza n. 777 del 11/04/2018, ha rigettato l'opposizione, con condanna di C. S.p.a. al pagamento delle spese di lite.
) Avverso la sentenza del Tribunale di Venezia ricorre, con atto affidato a un unico motivo, C. S.p.a.
) Resiste con controricorso D. S.r.l.
) Per l'adunanza camerale del 20/10/2021, fissata ai sensi dell'art. 380 bis.1 cod. proc. civ. [come inserito dal comma 1, lett. f), dell'art.1 bis d.l. 31 agosto 2016, n. 168, conv. con modif. dalla I. 25 ottobre 2016, n. 197], il Pubblico Ministero non deposita conclusioni scritte ed entrambe le parti depositano memoria.
Motivi della decisione
) L'unico, complesso, motivo di ricorso (esteso da pag. 6 a pag. 22) censura come segue la sentenza del Tribunale, in composizione collegiale, di Venezia: violazione e falsa applicazione dell'art. 56, comi 1 e 3, della legge n. 392 del 1978.
) Il fulcro delle censure è incentrato sulla mancata valutazione delle esigenze della società conduttrice, che, dovendo approntare lo sgombero dell'immobile di Venezia (omissis), ai fini del rilascio, per il giorno successivo alla scadenza contrattuale del 28/02/2018, avrebbe in concreto perso la disponibilità effettiva dell'immobile molto prima di quanto sarebbe stato possibile prevedere, tenuto conto della previsione di legge che consente un termine da sei mesi a un anno.
) Le censure si appuntano, in particolare, sull'avere, i giudici di merito, ancorato la valutazione di congruità del decorso del termine per il rilascio alla data della convalida e non a quella di scadenza del contratto.
) In via preliminare il Collegio ritiene che l'impugnazione di legittimità sia stata ritualmente proposta e la stessa non incorra in inammissibilità, non potendosi escludere l'applicazione della sospensione feriale dei termini alla materia in esame, posto che quella oggetto del contendere non è un'opposizione esecutiva in senso tecnico, e pertanto non è suscettibile di rientrare nell'ambito di cui all'art. 3 della legge n. 742 del 07/10/1969, che, per l'individuazione delle cause civili, rinvia all'art. 92 del r.d. n. 12 del 30/01/1941, dovendosi ritenere che l'indicazione delle controversie in materia esecutiva debba essere restrittivamente interpretata. L'articolo 56, terzo comma, legge n. 392 del 1978 come novellato dal d.l. n. 240 del 13/09/2004, convertito, con modifiche, in legge n. 269 del 12/11/2004, costituisce un istituto del tutto particolare in ordine alle modalità del rilascio, che si rapporta alla natura parallelamente particolare del contratto locatizio. La presenza di elementi riconducibili al genus esecuzione/opposizione agli atti esecutivi non conduce a sussumere questo istituto nella relativa normativa, essendo disciplinato, al contrario, in modo specifico per tutelare la sua peculiare ratio. La giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 12814 del 23 luglio 2012 Rv. 623420-01) lo ha da tempo affermato, senza dar luogo, per quanto ad oggi consti, a contrasti. In tema di sospensione feriale dei termini nei processi governati dal cd. rito locatizio la giurisprudenza di questa Corte (si veda Cass. n. 23193 del 12/11/2015 Rv. 637867 - 01) ha concluso che essa trova applicazione generalizzata, salva la fase urgente del procedimento per convalida: «La sospensione dei termini durante il periodo feriale trova applicazione anche nelle controversie in materia di locazione, salvo che per la fase sommaria dei procedimenti di sfratto, il cui carattere d'urgenza giustifica l'applicabilità della deroga contenuta nell'art. 3 della legge n. 742 del 1969, in relazione all'art. 92 del r.d. n.12 del 1941». L'impugnabilità per cassazione della sentenza deriva dal richiamo all'art. 618 cod. proc. civ., che, sulla base della già richiamata giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 12814 del 2018, cit.) deve intendersi «fisso» e non avendo la giurisprudenza di legittimità da tempo più dubitato dell'impugnabilità diretta in cassazione delle sentenze pronunciate in unico grado di merito. L'unico, complesso motivo di ricorso di C. S.p.a. può essere pertanto, compiutamente scrutinato. La sentenza impugnata, dopo avere speso effettivamente un ampio spazio sulla questione relativa alla qualificazione dell'opposizione e alla disciplina ad essa applicabile dedica in sostanza poco più di una sola pagina (l'ultimo capoverso della pagina 5 e poi la pagina 6) per affrontare il nucleo della causa, che è dunque diventato l'oggetto anche dell'unico motivo del ricorso. Si tratta dell'interpretazione del comma primo dell'invocato articolo 56 della legge n. 392 del 1978, il quale così stabilisce: «Con il provvedimento che dispone il rilascio, il giudice, previa motivazione che tenga conto anche delle condizioni del conduttore comparate a quelle del locatore nonché delle ragioni per le quali viene disposto il rilascio stesso e, nei casi di finita locazione, del tempo trascorso dalla disdetta, fissa la data dell'esecuzione entro il termine massimo di sei mesi ovvero, in casi eccezionali, di dodici mesi dalla data del provvedimento». Il giudice territoriale risolve rapidamente nel modo seguente la questione: in primo luogo, dichiara che la norma fa decorrere il termine dalla data del provvedimento di rilascio anziché dalla scadenza del contratto; in secondo luogo, afferma, la norma «conferma che il termine di rilascio non costituisce una forma di proroga del contratto, ma solo uno strumento per contemperare - in relazione ad un contratto avente i contenuti consapevolmente ad esso dati dalle parti - i rispettivi interessi delle parti stesse». Nel caso, allora, in cui si tratti «di fine di contratto a seguito di disdetta» il giudice dovrà valutare il «tempo trascorso dalla disdetta» accanto alle «"condizioni" comparate dalle parti»; e l'indicazione normativa della decorrenza del tempo di rilascio «dalla data del provvedimento» dimostrerebbe che l'istituto avrebbe la funzione di mitigare un «effetto sorpresa» al conduttore dell'iniziativa del locatore. Poiché nella specifica vicenda il locatore aveva «manifestato la sua reale effettiva volontà di chiudere la porta alla scadenza procurandosi un titolo per il rilascio addirittura oltre due anni e mezzo dalla scadenza», il conduttore così non sarebbe incorso in nessuna sorpresa: «e comunque la legge, stabilendo il limite dei 12 mesi "dalla data del provvedimento' norma che va naturalmente contemperata con il disposto contrattuale, in particolare quando il locatore agisca in licenza prima della scadenza, non potendo certo il giudice abbreviare la data contrattuale, vieta che il giudice possa addirittura fissare un termine che, come qui invocato, scadrebbe addirittura, non dodici mesi, ma più di tre anni e mezzo dopo il provvedimento che dispone il rilascio"». Il tenore della norma, così interpretato dal Tribunale, condurrebbe, tuttavia, a privare di ogni tutela il conduttore, ovvero a inibire una vera comparazione delle condizioni delle parti, giacché, se il locatore (trattandosi di una licenza per finita locazione e non di uno sfratto per morosità/inadempimento del conduttore), per dir così, si muove con successo alla luce di un calcolo di dodici mesi di massimo termine di rilascio, oltre al presumibile tempo processuale necessario per ottenere il provvedimento del giudice, il conduttore non può avere più neanche un giorno alla scadenza del contratto, perché il giorno di decorrenza (cd dies a quo) si sarebbe concretizzato prima della scadenza stessa, ovvero dalla emissione del provvedimento a questo punto definibile ontologicamente preventivo, che entra come un elemento modificativo nel sinallagma contrattuale originario, che però non ha come presupposto alcuna violazione di legge nel regolamento negoziale originario. La vicenda diverrebbe giuridicamente paradossale, come avvenuto nel caso in esame: scaduto il contratto il 28 febbraio del 2018 il provvedimento ha disposto che il conduttore avrebbe dovuto restituire l'immobile il primo marzo del 2018 (ossia il giorno successivo, non trattandosi di anno bisestile). La comparazione degli interessi è scomparsa, perché, così ragionando, ogni interesse del conduttore sarebbe già stato rispettato con una licenza precoce, quale quella notificata nel 2015. Però, una licenza, precoce anche in massima misura, non può, come di immediata evidenza (ictu oculi) - sarebbe appunto paradossale, per non dir di peggio - incidere sul contenuto, tanto ontologico quanto temporale, del godimento dell'immobile che al conduttore spetta pienamente sino alla fine del periodo locatizio pattuito: essa non può alterare il sinallagma negoziale, che le parti avevano concordato, mediante un'iniziativa potestativa - l'esercizio C precoce dell'azione giudiziaria della licenza per finita locazione - di una di esse. E, infatti, il legislatore ha sempre previsto, cioè anche nell'articolo 56 nella sua stesura «originale», la concessione di tempo ulteriore, che concretizza la «modalità per il rilascio». Quella che viene indicata come «data dell'esecuzione» non è, infatti, da intendersi come data di esecuzione forzata, bensì indica il limite temporale concesso al conduttore per l'adempimento del proprio obbligo di restituzione dell'immobile; sicché soltanto dopo la scadenza di tale termine il locatore può avvalersi del suo titolo esecutivo (come fatto palese dall'ultimo comma dell'articolo 56 della legge n. 392 del 1978). Se il legislatore, allora, appone una, per così dire, legale appendice al tempo contrattuale in cui l'immobile rimane nella disponibilità del conduttore, questo significa che non è compatibile con il paradigma normativo imporre il rilascio senza alcun termine, vale a dire il giorno dopo la fine del periodo contrattualmente pattuito. Il che conduce, naturalmente, ad una interpretazione dell'articolo 56 della legge n. 392 del 1978 radicalmente diversa da quella adottata, nella vicenda in esame, da entrambi i giudici di merito. La ragione di questa protrazione legale della disponibilità al conduttore dell'immobile è agevolmente evincibile dalla natura del contratto. Il contratto locatizio immobiliare, di cui si tratta e a cui è applicabile l'articolo 56 della legge n. 392 del 1978, ha per oggetto appunto l'utilizzazione un immobile, di cui il conduttore può fruire con adeguata diligenza «per l'uso determinato nel contratto o per l'uso che può parimenti presumersi dalle circostanze» (cfr. art. 1587 cod. civ.). Tale «uso» dell'immobile comporta, naturalmente, una certa stabilizzazione e nell'immobile stesso, indispensabile appunto per utilizzarlo e costituente, quindi, il nucleo della fruizione del bene evincibile in un contratto locatizio immobiliare. Il che allora significa che per «uscire» pienamente dalla disponibilità del bene effettuata in conformità al contratto e all'uso che gli spetta per tutta la durata della conduzione, il conduttore ha, alla luce del notorio prima ancora che della logica, necessità di un certo tempo, proporzionale alla realtà delle cose nel caso concreto, e quindi al tipo di «uso», alla conformazione dell'immobile, alla sua ampiezza e così seguitando. Pertanto, occorre un tempo specificamente destinato ad effettuare tutto quanto è necessario per il rilascio inteso in questo senso pregnante che deriva dalla tipicità del contratto. Diversamente opinando, la restituzione, con le sue non poco impegnative modalità, verrebbe a sconfinare nel periodo di godimento dell'immobile - e il godimento è ovviamente cosa diversa dalla restituzione -, obbligando il conduttore a non fruire più dell'immobile per un certo tempo finale della conduzione, così da poterlo restituire pronto a nuova destinazione immediatamente il giorno dopo la fine del contratto. Ma, così opinando, è evidente che una parte della durata del contratto non costituisce godimento del conduttore, bensì è diretta esclusivamente a tutelare un interesse del locatore incompatibile con tale godimento, alterando così la posizione di parità delle parti nel sinallagma. Il conduttore, infatti, è obbligato a pagare il medesimo canone in tale periodo ancora locatizio, anche se, contraddittoriamente, la sua fruizione del bene, in quest'ultimo periodo, si riduce fino ad estinguersi. Il rischio di una siffatta interpretazione, tanto letterale quanto erronea, del primo comma dell'articolo 56 della legge n. 392 del 1978, è stato subito percepito, non solo a livello dottrinale, ma anche nella Relazione ministeriale (prevista con cadenza annuale dall'art. 83 della legge n. 392 del 1978) del 26 luglio 1980, cui la dottrina si è appellata, come correttamente evidenzia la ricorrente nel suo unico motivo. Per evitare, allora, una simile torsione del sinallagma contrattuale nell'ultimo periodo del rapporto è ragionevole ritenere che indicare il dies a quo del termine di rilascio vale - per non apportare devianti incidenze sulla normativa che configura il contratto locativo - dalla data del provvedimento esclusivamente quando questo non si sovrappone alla durata del contratto, bensì è emesso successivamente alla sua conclusione; nel caso, invece, in cui questa intersezione non si verifica, ovvero il provvedimento ai sensi dell'articolo 56, comma 1, viene emesso dopo la conclusione, il dies a quo è proprio l'emissione del provvedimento, e ciò, a ben guardare, conferma la ratio di tutela del conduttore, nel senso di concedergli un termine di rilascio anche qualora il provvedimento che dispone il rilascio stesso sia ben oltre la cessazione della durata del contratto. La sentenza del Tribunale di Venezia non ha adeguatamente motivato sul punto della concessione di un solo ulteriore giorno, dopo la scadenza del contratto, per l'esecuzione del rilascio dell'immobile. Il ricorso di C. S.p.a. deve, pertanto, essere accolto e, risultando necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa deve essere rinviata al Tribunale di Venezia, in diversa composizione collegiale, che nel procedere a nuovo esame sulla base di quanto in questa sede statuito, provvederà alla regolazione delle spese di questo giudizio di legittimità. Il ricorso è stato accolto cosicché non deve darsi atto dei presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1, quater del d.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio di legittimità.