La Cassazione ha chiarito in quali ipotesi vi è una deroga all'inutilizzabilità, sancita dall'art. 270 c.p.p., delle conversazioni acquisite contro l'indagato in procedimenti diversi.
L'imputato veniva condannato per aver costituito, diretto ed organizzato un'associazione di stampo transnazionale dedita al traffico di eroina nel territorio italiano, fatto aggravato dall'ingente quantità di concorrenti convolti nell'azione delittuosa.
Avverso la pronuncia l'incolpato ricorre per cassazione, lamentando, tra più motivi, che le...
Svolgimento del processo
1.Con sentenza in data 4.6.2020 la Corte di Appello di Milano ha confermato la penale responsabilità di B.H. per il reato di cui all'art. 74 d.P.R. 309/1990 per aver costituito, diretto ed organizzato un'associazione volta all'importazione dall'Albania e alla successiva rivendita sul mercato lombardo di eroina nonché di quattro reati-fine, tutti aggravati in ragione dell'ingente quantitativo e del numero dei concorrenti, ed avvinti tra loro dal vincolo della continuazione, pur avendo ridotto, per effetto del mutato arco edittale dell'art. 73 T.U. Stup. a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 40/2019, il trattamento sanzionatorio inflittogli all'esito del primo grado di giudizio dal Tribunale della stessa città a 23 anni di reclusione ed € 110.000,00 di multa.
2. Avverso il suddetto provvedimento l'imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando cinque motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp.att. cod.proc.pen ..
2.1. Con il primo motivo lamenta l'inadeguatezza della motivazione resa in ordine al rigetto dell'eccezione di difetto di giurisdizione formulata con l'atto di appello per essersi la Corte distrettuale riportata per relationem all'ordinanza pronunciata dal Tribunale in data 20.11.2015, senza conseguentemente aver effettuato alcun vaglio analitico né tantomeno critico delle censure dispiegate dalla difesa.
2.2. Con il secondo motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge processuale e al vizio motivazionale, che le contestazioni dispiegate in ordine all'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche fossero state anch'esse rigettate dalla Corte di appello mediante il mero rinvio alla decisione assunta sul punto dai giudici di primo grado. Nel premettere che il presente procedimento si era svolto in assenza dell'imputato negli anni 2007/2008, assume che l'eccepita inutilizzabilità, deducibile in ogni stato e grado del processo, derivi sia dal fatto che i decreti autorizzativi delle intercettazioni fossero stati prodotti solo in data 17.6.2016 senza che prima di tale data la difesa avesse mai avuto la possibilità di prenderne visione, sia dal fatto che trattavasi di intercettazioni disposte nell'ambito di un diverso procedimento in mancanza di un provvedimento di acquisizione delle medesime, nonché dei decreti di proroga, sia dalla mancata iscrizione del prevenuto nel registro degli indagati all'epoca in cui erano state effettuate: doglianze cui la Corte di appello, nell'affermare che i decreti autorizzativi delle intercettazioni eseguite nel periodo tra il 5 e il 10 aprile 2005 erano stati depositati dalla pubblica accusa, non aveva risposto.
2.3. Con il terzo motivo si duole, invocando il vizio di illogicità motivazionale, della mancata effettuazione di una perizia fonica, necessaria all'identificazione dell'imputato, contestando che a tal fine potesse farsi riferimento alla comparazione vocale basata su atti di un altro procedimento, in quanto contrastato dai testi escussi nel corso dell'istruttoria dibattimen ad una conversazione intercorsa tra costui e il suo avvocato in relazione' 11 divieto è comminato ex lege.
2.4. Con il quarto motivo contesta che l'affermazione di responsabilità possa fondarsi sulla sola valutazione del compendio intercettato, peraltro come già eccepito, inutilizzabile. In particolare, deduce la mancanza di prove in ordine al reato associativo, e di conseguenza anche in relazione al ruolo di vertice attribuito al prevenuto, per essersi la Corte di appello limitata a riprodurre le medesime argomentazioni spese sul punto dal giudice di primo grado.
2.5. Con il quinto motivo lamenta l'eccessiva severità del trattamento sanzionatorio malgrado l'evidenza di dubbi non dissipati in ordine alla colpevolezza del prevenuto, e comunque senza la doverosa valutazione dei parametri relativi alla gravità del reato e alla capacità a delinquere del reo espressamente invocati dalla difesa, in assenza di alcuna adeguata motivazione che dia conto del mancato contenimento della pena nei limiti del minimo edittale.
Motivi della decisione
1.Il primo motivo incorre nella censura di inammissibilità in ragione della sua stessa formulazione, non venendo neppure indicati gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della eccezione di difetto di giurisdizione, di cui nel ricorso si lamenta la mancanza di adeguata risposta. Se tale carenza è di per sé preclusiva all'ingresso delle dispiegate censure innanzi a questa Corte, deve essere peraltro soggiunto che non è affatto vero che la sentenza impugnata si limiti sul punto ad un mero rinvio alla pronuncia dei giudici di primo grado, costituente soltanto la premessa cui fa seguito la puntuale analisi delle ragioni che consentono di radicare presso l'autorità giurisdizionale nazionale il procedimento de quo, riconducibili al fatto che nel territorio italiano risulta essersi verificata buona parte dell'azione delittuosa essendo stato il carico di stupefacente indirizzato in Italia, da dove era partito lo stesso ordine, e destinato allo spaccio nella zona dell'hinterland milanese.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. Mentre il rilievo svolto dai giudici del gravame, secondo il quale i decreti autorizzativi delle intercettazioni risultano essere stati depositati dal PM prima della decisione da parte del giudice di primo grado, non risulta neppure confutato dalla difesa che si limita a riprodurre la medesima doglianza formulata con l'atto di appello senza indicare per quali ragioni i medesimi sarebbero stati adottati al di fuori dei casi consentiti dalla legge, la contestazione relativa alla loro inutilizzabilità in mancanza di un provvedimento di acquisizione deve ritenersi generica non venendo affrontato il punto centrale, consistente nella connessione intercorrente tra il procedimento in esame e quelli in cui le intercettazioni erano state originariamente disposte, posto dalla Corte di appello a fondamento del rigetto della dispiegata eccezione. Alla luce del principio reiteratamente affermato da questa Corte ed avallato dalle Sezioni Unite nella recente pronuncia n. 51/ 2019; secondo il quale il divieto di cui all'art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate - salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza - non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex art. 12 cod. proc. pen., a quelli in relazione ai quali l'autorizzazione era stata "ab origine" disposta, dirimente risulta la circostanza che le suddette intercettazioni siano state disposte nel corso del separato procedimento n.14350/2005, svoltosi nei confronti degli originari coimputati del B. per i fatti di cui agli odierni capi di imputazione 1, 2, 3, 7 ed 8 (G.., B.F., B.F. ed A.B.) condannati con sentenza diventata irrevocabile, che attesa la sussistenza del vincolo di connessione ex art. 12 lett. a) cod. proc. pen., erano pienamente utilizzabili nel procedimento in esame. In ordine, infine, alla tardiva iscrizione del prevenuto nel registro degli indagati, la contestazione non può, come condivisibilmente osservato dalla Corte meneghina, ritenersi tempestiva in quanto sollevata solo in dibattimento senza essere stata fatta mai valere in sede di udienza preliminare, rilievo con il quale la difesa neppure si confronta. La doglianza è in ogni caso generica: considerato infatti che l'omessa annotazione della "notitia criminis" nel registro previsto dall'art. 335 cod. proc. pen. non determina l'inutilizzabilità degli atti d'indagine compiuti sino al momento dell'effettiva iscrizione nel registro, poiché, in tal caso, il termine di durata massima delle indagini preliminari, previsto dall'art. 407 cod. proc. pen., al cui scadere consegue l'inutilizzabilità degli atti d'indagine successivi, decorre per l'indagato dalla data in cui il nome è effettivamente iscritto nel registro delle notizie di reato, e non dalla presunta data nella quale il pubblico ministero avrebbe dovuto iscriverla (ex multis Sez. 5, Sentenza n. 22340 del 08/04/2008 - dep. 04/06/2008, B., Rv. 240491), osta all'ammissibilità della devoluta censura la mancata individuazione di specifici atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine, peraltro neppure indicata, dai quali derivi l'eccepita inutilizzabilità, così come dell'incidenza che gli stessi abbiano avuto sulla tenuta motivazionale delle sentenze di merito.
3. Il terzo motivo è anch'esso inammissibile. Quanto all'identificazione dell'imputato, le doglianze difensive contrastano con gli elementi probatori passati in rassegna dai giudici di merito, costituiti in primis dalle conversazioni intercettate che hanno consentito di risalire alla sua individuazione - essendo stato lui stesso a declinare nel corso di talune di esse le sue generalità, ad essere chiamato per nome dai suoi interlocutori o ad essere apostrofato con il soprannome "B." (in albanese, il pelato) noto ai più, ad aver fatto espresso riferimento a processi che lo vedevano coinvolto personalmente e a servirsi utenze nella sua disponibilità o corrispondenti, quanto al numero fisso, a quella della sua casa di abitazione in Albania -, ma altresì dagli esiti di una capillare ricerca anagrafica che ha consentito di verificare che al medesimo, essendo il timbro di voce, così come riferito dagli agenti di PG incaricati delle indagini, sempre lo stesso, corrispondessero le singole utenze di volta in volta da costui utilizzate, attraverso le cui conversazioni era stato possibile per le forze dell'ordine eseguire i sequestri dello stupefacente riferiti ai singoli reati fine. Priva di fondamento si rivela, perciò, anche la doglianza relativa alla mancanza di una perizia fonica che non solo non risulta essere stata mai chiesta dalla difesa, ma che comunque è stata ampiamente superata dalle deposizioni rese dagli agenti che hanno riferito di aver riconosciuto con chiarezza la voce dell'imputato. Va al riguardo, infatti, ribadito il principio più volte affermato da questa Corte, secondo il quale ai fini dell'identificazione degli interlocutori coinvolti in conversazioni intercettate, il giudice ben può utilizzare le dichiarazioni degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che abbiano asserito di aver riconosciuto le voci di taluni imputati, così come qualsiasi altra circostanza o elemento che suffraghi detto riconoscimento, incombendo sulla parte che lo contesti l'onere di allegare oggettivi elementi sintomatici di segno contrario (così da ultimo Sez. 5, Sentenza n. 20610 del 09/03/2021 - dep. 24/05/2021, Rv. 281265, nonché ex multis Sez. 6, Sentenza n. 13085 del 03/10/2013 - dep. 20/03/2014, Rv. 259478). Per quanto poi concerne l'eccepita inutilizzabilità della conversazione in cui il B. aveva declinato le proprie generalità al difensore, correttamente la contestazione è stata disattesa da parte dei giudici del gravame, non rientrando le dichiarazioni ivi rese nell'ambito del divieto sancito dall'art. 103 cod. proc. pen., il quale, essendo posto a presidio del diritto di difesa, non si estende a tutti i dialoghi intercorsi tra l'avvocato ed il suo assistito, ma esclusivamente a quelli che attengono alla funzione e alla strategia difensiva in relazione al mandato conferito al legale. Peraltro, la contestazione è di per sé priva della decisività che deve necessariamente contraddistinguere il vizio motivazionale, posto che l'imputato risulta aver fornito il proprio nome ed indirizzo, con dati corrispondenti a quelli figuranti sulla scheda anagrafica dell'Interpol, in tutt'altra occasione, ovverosia nel corso di un colloquio intercorso con altra persona che doveva recapitargli un pacco: elemento questo compiutamente evidenziato dalla Corte medicea, con il quale la difesa neppure si confronta.
4. Quanto alle contestazioni relative alla mancanza di prova in ordine alla responsabilità dell'imputato in relazione a tutti i capi di imputazione oggetto del quarto motivo, la censura di inammissibilità interviene ancor più a monte, posto che a fronte della compiuta rassegna ad opera dei giudici distrettuali degli elementi costituitivi del delitto ex art. 74 d.P.R. 309/1990 e della ricorrenza nella fattispecie in esame con riferimento alla condotta del B., nonché dei singoli reati fine, la difesa si limita a doglianze di natura esclusivamente contestativa, e prima ancora generica, non venendo neppure indicati quali siano gli argomenti addotti in sede di appello rimasti privi di risposta da parte della Corte adita.
5. Alla censura di inammissibilità deve pervenirsi anche per il quinto motivo, afferente ad un profilo della rejudicanda, qual è il trattamento sanzionatorio, che, in quanto riservato alla discrezionalità del giudice di merito, non è passibile di censure innanzi a questa Corte, se non nell'ipotesi di motivazione frutto di arbitrio o manifestamente illogica. Evenienza questa di certo non ricorrente nel caso di specie in cui non soltanto la pena si assesta al di sotto della media edittale, con conseguente attenuazione dell'onere motivazionale a carico del giudice, ma che comunque risulta assistito dalla coerente valorizzazione, in relazione alla ritenuta gravità della condotta, dell'entità particolarmente ingente dei quantitativi di stupefacente importato, cui peraltro la difesa non ha opposto alcuno specifico fattore di segno contrastante, indebitamente pretermesso, all'infuori delle censure relative ai non meglio specificati "dubbi non dissipati" sulla responsabilità dell'imputato, di certo non invocabili ai fini della quantificazione del trattamento sanzionatorio che presuppone l'accertamento della colpevolezza. Segue all'esito del ricorso la condanna del ricorrente, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi, alla luce della sentenza del 13 giugno 2000 n.186, per ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente liquidata come da dispositivo
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di€ 3.000 in favore della Cassa delle Ammende