Home
Network ALL-IN
Quotidiano
Specializzazioni
Rubriche
Strumenti
Fonti
29 dicembre 2021
Regolamento privacy: per la Consulta è illegittima l’interruzione ex lege della prescrizione

Secondo la Corte Costituzionale, la disciplina prevista dalla normativa nazionale per l'adeguamento alle disposizioni del GDPR in materia di sospensione del termine di prescrizione dei procedimenti sanzionatori soggetti al D.Lgs. n. 196/2003, viola il principio di ragionevolezza e il canone di proporzionalità.

La Redazione

Con la sentenza 260 del 28 dicembre 2021, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, c. 5, del D.Lgs. n. 101 del 10 agosto 2018, recante «Disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)».

Nello specifico, la Consulta accoglie la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Verona limitatamente alla violazione, da parte della norma censurata, del principio di ragionevolezza e del canone di proporzionalità di cui all'art. 3 della Costituzione.
L'art. 18, c. 5, D.Lgs. n. 101/2018 prevede con decorrenza dalla sua entrata in vigore, l'interruzione ex lege del termine di prescrizione, relativamente ai procedimenti sanzionatori – soggetti alla disciplina, antecedente alla riforma del 2018, del D.Lgs. n. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali) - che, alla data di applicazione del regolamento n. 679/2016/UE, siano stati avviati, ma non ancora definiti con l'adozione dell'ordinanza-ingiunzione.
Sulla questione, la Corte Costituzionale ha dichiarato che «se è vero (…) che la prescrizione è (…) anche strumentale ad assicurare il diritto di difendersi in giudizio da parte dell'obbligato, in quanto, decorso un certo lasso di tempo dalla data del fatto generatore del diritto, può essere difficile o impossibile per la parte formulare i mezzi di prova a sostegno delle proprie tesi difensive, è evidente che l'interruzione automatica del termine di prescrizione quinquennale, che già di per sé rende eccessivamente squilibrato il rapporto fra privato e pubblica amministrazione, si traduca in una intollerabile compressione delle ragioni di tutela del privato». Prosegue la Consulta: «L'amministrazione può attivarsi per la riscossione delle somme dovute in base all'ordinanza-ingiunzione prodottasi ope legis, oppure, nell'ipotesi in cui il privato presenti nuove memorie difensive ai sensi dell'art. 18, comma 4, del d.lgs. n. 101 del 2018, può emettere l'ordinanza-ingiunzione, anche oltre un quinquennio dall'unico atto che è stato notificato all'interessato: grazie all'interruzione, si sommano infatti altri cinque anni al tempo già trascorso dalla notifica della contestazione alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 101 del 2018. Per converso, il privato, dopo aver rispettato il termine di trenta giorni per opporsi alla contestazione della sanzione amministrativa, può doversi difendere, sempre entro trenta giorni dalla notifica della cartella o dalla notifica dell'ordinanza-ingiunzione, a distanza di oltre cinque anni dalla notifica dell'atto con il quale gli era stata contestata la violazione. Nessun'altra comunicazione, infatti, è tenuta a effettuare l'amministrazione medio tempore, neppure con riferimento alle facoltà concesse ai privati dai primi commi dell'art. 18 e alle conseguenze derivanti a carico di coloro che non si avvalgano di tali facoltà».

Documenti correlati