Per la Cassazione, sono responsabili per il furto subìto nell'appartamento, l'impresa appaltatrice e il Condominio rispettivamente per aver omesso la diligenza dovuta nel posizionare l'impalcatura e per omessa custodia. I ladri si erano infatti serviti dell'impalcatura posta a ridosso dell'edificio per raggiungere l'appartamento.
L'attore deduceva dinanzi al Tribunale di Salerno di aver subito un furto di oggetti preziosi nel suo appartamento, agevolato dalla presenza di un'impalcatura posta a ridosso dell'edificio della ditta esecutrice dei lavori di manutenzione straordinaria, di cui i ladri si erano serviti per raggiungere l'appartamento. Chiedeva pertanto la...
Svolgimento del processo
che:
1. F.M.L., con atto di citazione del 23/6/2006, convenne davanti al Tribunale di Salerno il Condominio (omissis) (di seguito il Condominio) e la ditta (omissis) (di seguito (omissis)) deducendo di aver subito, nell'appartamento dei propri genitori presso il quale aveva il domicilio, sito al quinto piano del Condominio, un furto di oggetti preziosi per un valore complessivo di Euro 33.925,00, furto agevolato, a suo dire, dalla presenza di una impalcatura, posta a ridosso dell'edificio dalla ditta (omissis), esecutrice dei lavori di manutenzione straordinaria, di cui i ladri si erano serviti per raggiungere l'appartamento. Chiese, pertanto, la condanna di entrambi i convenuti, in solido, al risarcimento dei danni.
Il Condominio si costituì in giudizio, sollevando una serie di eccezioni preliminari e chiamandosi fuori da ogni responsabilità, mentre la ditta (omissis) rimase contumace.
2. Il Tribunale adito, acquisite prove testimoniali e i verbali di polizia giudiziaria redatti dall'agente che era intervenuto sul posto nell'immediatezza dei fatti, ritenne che entrambi i convenuti fossero responsabili: l'impresa appaltatrice, ai sensi dell'art. 2043 c.c., per aver omesso la dovuta diligenza nel posizionare l'impalcatura, ed il condominio, ai sensi dell'art. 2051 c.c., per omessa custodia. Li condannò, entrambi in solido, a risarcire la somma di Euro 33.925,00 alla luce del preventivo in atti.
3. La Corte d'Appello di Salerno, adita dal Condominio, con sentenza del 18/11/2019, ha, per quanto ancora qui di interesse, confermato che la responsabilità di entrambi gli originari convenuti fosse stata provata, sia a mezzo di prove testimoniali sia con riscontri oggettivi, effettuati dagli agenti di Pubblica Sicurezza del Commissariato di (omissis); ha escluso l'omessa valutazione di un preteso comportamento colp.oso della F. nel custodire i gioielli ed ha accolto soltanto il motivo di appello, relativo al quantum di cui ha ridotto l'importo, in via equitativa, ad Euro 10.000.
4. Avverso la sentenza il Condominio (omissis) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
Ha resistito F.M.L. con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c.. La proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in Camera di consiglio.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
che:
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce " violazione e falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c., e dell'art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avvenuta assunzione di testimonianze de relato actoris, affette da nullità, inutilizzabili ed inidonee a provare il fatto storico del furto, l'utilizzo dell'impalcatura e dei ponteggi da parte dei pretesi ladri nonchè in ordine all'appartenenza all'attrice dei beni presuntivamente oggetto di furto".
La Corte d'Appello avrebbe basato la decisione unicamente su testimonianze de relato actoris, senza che vi fosse la prova diretta del furto, con ciò ponendosi in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte (Cass., n. 12477 del 31/1/2017) secondo la quale le suddette testimonianze sono nulle se non suffragate da ulteriori risultanze probatorie.
2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce "violazione dell'art. 2697 c.c., dell'art. 116 c.p.c., comma 1, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per mancata valutazione di fatti controversi oggetto di discussione nel precedente grado di giudizio, segnatamente in relazione alla conclamata assenza di un quadro indiziario - oltre che probatorio - idoneo a giustificare la pronunzia di soccombenza del condominio".
Il ricorrente insiste nella tesi dell'assenza di riscontri oggettivi del furto, di testimoni oculari e del valore meramente indiziario della testimonianza indiretta dell'Agente di Polizia di Stato in servizio presso il Commissariato di (omissis).
3. Con il terzo motivo - violazione e falsa applicazione dell'art. 2729 c.c., dell'art. 116 c.p.c., e dell'art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, - l'impugnante censura il ragionamento presuntivo svolto dal giudice del merito, contestando che gli indizi presi in considerazione fossero gravi, precisi e concordanti al netto della inutilizzabilità della testimonianza de relato actoris e dell'assenza di testimoni oculari.
4. Con il quarto motivo di ricorso - violazione e falsa applicazione dell'art. 1226 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, - il ricorrente lamenta che la corte di merito abbia fatto ricorso alla valutazione equitativa del danno, essendo la stessa subordinata alla dimostrata esistenza di un danno risarcibile non meramente eventuale ed ipotetico ma certo ed alla circostanza dell'impossibilità o estrema difficoltà di prova nel suo preciso ammontare. L'indimostrata esistenza del fatto storico e degli elementi minimi del danno "risarcibile" avrebbe determinato una violazione e falsa applicazione dell'art. 1226 c.c..
5. Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente prospetta "la violazione dell'art. 1226 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, - illegittimità della motivazione -mancata valutazione di fatti decisivi ai fini della controversia, oggetto di discussione tra le parti- illogicità della motivazione" per avere omesso di illustrare i criteri per la liquidazione equitativa del danno.
6. Il ricorso è inammissibile.
Tutti i motivi sono volti ad evocare un inammissibile riesame degli elementi di prova, elementi che, lungi dall'essere costituiti dalla sola testimonianza de relato actoris, come ritenuto dal ricorrente, sono stati tutti "oggettivamente riscontrati" dall'agente di polizia intervenuto nell'immediatezza del fatto e confermati da altri testi. Tutti gli elementi riscontrati hanno consentito di ricostruire, in modo univoco, il furto, le modalità di accesso all'appartamento, l'assenza di sistemi di allarme e di illuminazione sulle impalcature, la presenza di porta blindata nell'appartamento.
Ciò premesso, si evidenzia che le singole censure sono tutte prive dei requisiti per la formulazione dei vizi di legittimità che pure enunciano in rubrica di voler denunciare.
6.1 La pretesa violazione dell'art. 116 c.p.c., è in palese contrasto con l'insegnamento di questa Corte, secondo il quale "In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell'art. 116 c.p.c., è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione." (Cass., S.U., n. 20867 del 30/9/2020).
6.2 La pretesa violazione dell'art. 2697 c.c., è in palese contrasto con l'insegnamento di questa Corte secondo il quale "La violazione del precetto di cui all'art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest'ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del "nuovo" art. 360 c.p.c., n. 5) (Cass., 3, n. 13395 del 29/5/2018; Cass., 6-3, n. 18092 del 31/8/2020).
6.3 La pretesa violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in più motivi evocata, contrasta palesemente con l'art. 348 ter c.p.c., che preclude, a fronte di una cd. "doppia conforme", il ricorso per cassazione per vizio di motivazione. Esula, peraltro, dal vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, qualsiasi contestazione volta a criticare il "convincimento" che il giudice di merito si è formato, ex art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all'esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità (Cass., 3, n. 15276 dell'1/6/2021).
6.4 La pretesa violazione dell'art. 1226 c.c., è in palese contrasto con l'insegnamento di questa Corte secondo il quale "Il giudice deve, anche d'ufficio, procedere alla liquidazione equitativa dei danni di cui riconosca l'esistenza, tanto nell'ipotesi in cui sia completamente mancata la prova del loro ammontare, a causa dell'impossibilità di fornire congrui ed idonei elementi a riguardo, quanto nell'ipotesi in cui, pur essendosi svolta attività processuale per fornire tali elementi, per la notevole difficoltà di una precisa quantificazione, non siano stati ritenuti di sicura efficacia" (Cass., 3, n. 2745 del 27/3/1997; Cass., 2, n. 15585 dell'11/7/2007).
7. Il ricorso è inammissibile.
Il ricorrente è condannato alle spese.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di una somma a titolo di contributo unificato, corrispondente a quella già versata per il ricorso, se dovuta.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2.200 (oltre Euro 200 per esborsi), accessori e spese generali al 15%.