La Corte d'Appello confermava le due sentenza emesse dal Tribunale e riuniva, ai sensi dell'
Svolgimento del processo
1. Il difensore di C.W. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 3649/19, emessa dalla Corte d'appello di Venezia in data 4/10/2019, depositata in Cancelleria in data 28/10/2019, con la quale veniva confermata la penale responsabilità dell'imputato per i reati di cui, previa riunione ai sensi dell'art. 12 cod. proc. pen., alle seguenti due sentenze del Tribunale di Treviso:
- sentenza emessa in data 11/05/2018 nel proc.to penale n. 5875/18 R.G. APP. di condanna alla pena di mesi 6 di reclusione per il delitto di insolvenza fraudolenta commesso in danno di G.C., in quanto, contratta l'obbligazione di acquisto di una marmitta per il tramite del sito Internet (omissis), dopo aver ricevuto il bene, non aveva provveduto al pagamento;
- sentenza emessa in data 4/10/2018 nel processo penale n. 1186/19 R.G. APP. di condanna, applicata la contestata recidiva, alle pene dli anni 1 e mesi 6 di reclusione per il delitto di violenza privata, così derubricata l'originaria imputazione di estorsione, di cui al capo.
A) della rubrica, e di mesi 1 e giorni 15 di reclusione per il delitto di appropriazione indebita, così derubricata l'originaria imputazione di truffa, di cui al capo B) della rubrica, in quanto, acquistato e ricevuto un motociclo messo in vendita sul sito Internet (omissis) da A.V., aveva consegnato in pagamento un assegno bancario, risultato scoperto, del pattuito importo di euro 700 e, alla richiesta del venditore, che si era recato presso la sua abitazione dopo accertamenti personali sulle sue identità e dimora, di avere il pagamento o la restituzione del mezzo, lo aveva minacciato affinché rinunciasse alla proprie pretese, utilizzando allo scopo anche due coltelli da cucina e facendo riferimento alla propria qualità di 'zingaro'.
2. Il ricorso è affidato ad un unico complesso motivo denunciante violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., per erronea applicazione della legge penale, nonché difetto, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in riferimento al mancato riconoscimento della continuazione tra tutti i reati di entrambi i procedimenti riuniti.
2.1. Ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata merita censura in quanto, a fronte di due reati di insolvenza fraudolenta, commessi a circa sette mesi di distanza, a mezzo di Internet, e quindi con un iter di conclusione delle trattative non immediato, inspiegabilmente la Corte d'appello ha escluso la continuazione con una motivazione "stringata" e "vuota", oltreché illogica, richiamando "il 'solito' concetto contrapposto all'art. 81 cpv. [cod. pen.,] ossia lo stile dì vita che cozzerebbe con l'applicazione del cumulo giuridico invocato".
2.2. Rileva il ricorrente che la Corte d'appello scredita "il tipo dì mezzo utilizzato in entrambi i reati quale fattore sintomatico dì una programmazione unica dell'agente", giungendo paradossalmente ad affermare che "proprio l'uso di Internet non conduce a destinatari predeterminati perché lo stesso mezzo sì presta a colpire soggetti a caso e questo sarebbe sintomatico dì uno stile di vita".
2.3. L'illogicità - prosegue il ricorrente - emerge con evidenza proprio in ragione dell'essere i fatti compiuti mediante Internet, addirittura sul medesimo sito, in riferimento ad oggetti dello stesso tipo (una marmitta ed una moto), con modalità analoghe: tipici indici della sussistenza dei presupposti della continuazione.
2.4. Sotto altro profilo, la denunciata illogicità sussiste anche per quanto riguarda il mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra i capi A) e B) del secondo procedimento riunito. Invero, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte d'appello, affinché potesse riconoscersi la continuazione non era indispensabile che l'imputato prevedesse sin dall'inizio l'incontro con la persona offesa, essendo invece sufficiente che egli si sia rappresentata "la necessità dì dover proteggere il proprio acquisto ad ogni costo e quindi anche confrontandosi duramente con il venditore della moto". La Corte d'appello ha travisato il contenuto della doglianza sul punto devolutale, nella misura in cui ha affermato essere contraddittoria l'invocazione del riconoscimento della continuazione a fronte della contemporanea deduzione dell'insussistenza del fatto di truffa riqualificato in insolvenza fraudolenta per il rilievo meramente civilistico della debenza non assolta.
3. In udienza, il P.G. presso questa Suprema Corte, in persona del Dott. Ettore Pedicini, conclude per l'inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è manifestamente infondato e perciò deve essere dichiarato inammissibile.
2. La Corte d'appello affronta il tema del mancato ,riconoscimento sia della continuazione interna al procedimento di cui alla sentenza del Tribunale di Treviso in data 4/10/2018 sia della continuazione esterna tra detto procedimento e quello di cui alla sentenza del medesimo Tribunale in data 11/05/2018 alla stregua di una motivazione articolata, completa e coerente con i dati di fatto dalla medesima evidenziati e scrutinati.
3. Seguendo l'ordine espositivo della sentenza impugnata, e quindi sovvertendo quello del ricorso, in riferimento al mancato riconoscimento della continuazione interna al procedimento di cui alla sentenza del Tribunale di Treviso in data 4/10/2018, osserva la Corte d'appello che la deduzione difensiva circa la congruità dell'uso della violenza contro la persona offesa rispetto all'intento di portare a termine l'acquisto non pagato - oltreché generica, per contraddittorietà rispetto alla sollecitata assoluzione dell'imputato dal delitto di insolvenza fraudolenta per la natura solo civilistica del rapporto - è inconciliabile altresì con l'ulteriore prospettazione avanzata in appello secondo cui l'uso della violenza avrebbe dovuto essere intesa quale reazione estemporanea dell'imputato per il fastidio dell'inimmaginabile presenza della persona offesa, avanzante pretese, a casa del primo, nonostante la presenza dei figli di costui: una tale prospettazione, infatti rende evidente l'ineluttabile occasionalità della condotta di minaccia". "In ogni caso" - soggiunge detta Corte, condividendo le argomentazioni del giudice di primo grado - "presupposto della sussistenza di un medesimo disegno criminoso è la previa delineazione dei reati [satellite] fin dalla consumazione del primo reato: e nel caso di specie, appunto, è da escludere che C. avesse mai previsto e immaginato di trovarsi davanti, per quell’acquisto\ al venditore".
3.1. La motivazione esibita dalla sentenza impugnata e logica ed ossequiante della giurisprudenza di legittimità.
3.2. Questa Suprema Corte, infatti, è costantemente orientata ad affermare che la medesimezza del disegno criminoso costituente il presupposto del riconoscimento della continuazione esige un coefficiente psicologico anticipato in capo all'agente, che deve essersi previamente rappresentato e, nel frangente, aver unitariamente deliberato, ancorché nei soli tratti essenziali, l'intera serie dei fatti di reato da considerare ricompresi nel vincolo, in guisa da giustificare la sussunzione degli stessi, strutturalmente distinti, in un'unica, continuata, manifestazione funzionale: ragione per cui resta esclusa dalla struttura tipica della continuazione l'opzione del reo a favore della commissione di un numero non predeterminato di reati, che, seppure della stessa indole o finanche identici, non siano identificabili a priori nelle loro coordinate quantomeno essenziali, una tale opzione identificandosi, non già con una precorsa ideazione criminosa, ma semplicemente con una generale propensione alla devianza che viene ad emersione ogniqualvolta all'autore si presenta l'occasione di tornare a delinquere (cfr. da ultimo, in termini generali, Sez. 1, n. 15955 del 08/01/2016 P.M. in proc. E. Rv. 266615-01). Talché, come questa Suprema Corte ha avuto modo di specificare in relazione al tema della configurabilità della continuazione tra reato associativo e reati-fine (cfr. ad es. Sez. 5, n. 44606 del 18/10/2005, T., Rv. 232797-01), con argomentazioni tuttavia estensibili alla continuazione tout court, il problema della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della continuazione finisce per risolversi in una quaestio facti, rimessa alla prudente valutazione del giudice di merito, che, se rispondente agli elementi valutativi emersi in corso di procedimento ed adeguatamente motivata, è insindacabile in sede di legittimità.
3.3. A mente delle superiori considerazioni, la Corte d'appello ha correttamente rilevato, in adesione alla prospettazione del primo giudice, come debba escludersi che, già al momento della rappresentazione e volizione in capo all'imputato della condotta d'acquisto fraudolentemente insolvente del motorino attuata mediante una piattaforma di vendita on fine, egli si sia figurato ed abbia fatto propria la possibilità di aggredire fisicamente il venditore, giacché a priori deve escludersi - per utilizzare le parole della Corte medesima, che egli avesse mai previsto e immaginato di trovarsi davanti, per quell’acquisto, al venditore. La conferma si evince alla luce della ricostruzione del fatto storico esposta nella sentenza impugnata e non avversata dal ricorrente, laddove leggesi che, "anche in questo caso, vi è condotta usuale di un acquisto via Internet, con la richiesta, l'accordo, la ricezione del bene, dopo di che C. si sottrae al contatto con il venditore, che lo ritrova solo a seguito di personali ricerche anche su social network". Le modalità telematiche dell'acquisto avrebbero dovuto mettere l'imputato al riparo dalle legittime pretese del venditore, se solo questi non avesse avuto l'intraprendenza di risalire all'acquirente e presentarglisi a casa per far valere le sue ragioni: ciò che, a prescindere da ogni altra considerazione pure compiuta dalla Corte d'appello in ordine ad una ritenuta incoerenza complessiva del ricorso, rende ragione dell’accidentalità' dell'aggressione perpetrata dall'imputato in danno del venditore, non riconducibile, pertanto, ad un disegno unitario che lo avvinca all'insolvenza fraudolenta.
4. Considerazione analoghe valgono anche per il mancato riconoscimento della continuazione esterna tra i fatti oggetto delle due sentenze di primo grado, con particolare riguardo ai due fatti, ciascuno per sentenza, di insolvenza fraudolenta, su cui si focalizzano le argomentazioni del ricorrente. La motivazione sul punto esibita dalla sentenza impugnata - secondo cui "i due reati sono consumati il 16/06/2015 (proc. 5875) e il 10/11/2014 (proc. 1186). La distanza temporale è elevata e le vicende accessorie dell'episodio del proc. 1186 attestano un vero e proprio stile di vita (acquisire beni a spese altrui), incompatibile con la delineazione, pur a grandi linee, di un disegno criminoso che tuttavia abbia una sua specifica previsione di conclusione" - è coerente con i dati di fatto acquisiti ed è congruente nello sviluppo argomentativo.
4.1. Invero - come correttamente evidenziato subito in appresso dalla Corte d'appello - l'impiego di Internet "per 'frodare' quando capita come capita e nei confronti di chi capita finché capita" costituisce al più indice di uno "stile di vita", ma non anche di un "progetto criminoso specifico che [...] per definizione sistematica deve avere una conclusione".
4.2. In buona sostanza, a mente del rilievo che Internet costituisce una modalità comunicativo-relazionale neutra, finalizzata all'esercizio di attività lecite e solo eventualmente illecite, secondo l'uso che in concreto decide di farne chi, di volta in volta, vi accede, l'impiego di Internet come strumento di perpetrazione di reati pur identici quanto a qualificazione, condotta e bene giuridico violato non comporta, per ciò solo, diversamente da quel che si sostiene in ricorso, l'automatica sussunzione di tutti tali reati in un unico 'pre-determinato' (ossia pur genericamente programmato a priori) disegno criminoso, costituendo di per sé unicamente dimostrazione dello sfruttamento reiterato ed in definitiva specializzato della tecnologia telematica per una riedizione dell'attività criminosa. Anche nel caso di reati commessi in rete, il collante tra gli stessi è, tipicamente, la medesimezza del disegno criminoso, a suggerire la sussistenza della quale può concorrere 'anche' l'impiego di un unico instrumentum criminis, che tuttavia da solo, in difetto di ulteriori specifici elementi di valutazione - l'onere della cui deduzione, ancorché non allegazione in senso stretto, incombe sull'interessato - non assurge a criterio dimostrativo, su un piano strutturalmente eterogeneo, di quel coefficiente psicologico anticipato in capo all'agente che poc'anzi s'è illustrato.
5. La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché - apparendo evidente che il medesimo ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte cast., 13 giugno 2000, n. 186) e tenuto conto dell'entità di detta colpa - al versamento della somma indicata in dispositivo in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.