La Corte d'Appello rigettava la domanda di riparazione per ingiusta detenzione nonostante il giudice della cognizione avesse messo in discussione l'attendibilità delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari dalla persona offesa, a cui aveva conseguito la pronuncia assolutoria per insussistenza del fatto. La Cassazione accoglie il ricorso affermando un nuovo principio di diritto sul tema.
Con la sentenza n. 482 del 12 gennaio 2022, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e afferma il seguente principio di diritto: «L'autonomia del giudizio di riparazione rispetto a quello di cognizione fa sì che il giudice della riparazione, per apprezzare la sussistenza dei fattori ostativi del dolo o...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Catanzaro, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da A.V. in relazione alla custodia cautelare in carcere subita a seguito di tre ordinanze restrittive emesse in successione a far data dal 24/01/2000, dichiarate inefficaci per motivi di rito. L'istante era indagato per il delitto di cui all'art.629 cod. pen. in relazione all'art. 628, comma 3 n.1, prima e terza ipotesi, e n.3 cod. pen. nonché art.7 legge 12 luglio 1991, n.203, e per i delitti di cui agli artt. 605,610, comma 2, cod. pen. nonché 10, 12 e 14 legge 14 ottobre 1974, n.497 e 7 I. n.203/91.
2. La Corte territoriale, premesso che le ordinanze erano state emesse sulla scorta delle propalazioni accusatorie rese dalla persona offesa, e che la pronuncia assolutoria per insussistenza del fatto emessa dal Tribunale di V.V. aveva preso atto dell'atteggiamento processuale costantemente reticente della medesima persona offesa, ha equiparato tale situazione a quella in cui la persona offesa si sottragga all'esame dibattimentale, valutando attendibili le dichiarazioni rese nella fase investigativa circa l'ascrivibilità al richiedente delle condotte di estorsione, sequestro di persona, violenza privata nonché detenzione e porto illegale di armi.
3. Vincenzo A. ha proposto ricorso per cassazione censurando l'ordinanza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 125, comma 3, cod. proc. pen. Secondo la difesa, la Corte distrettuale avrebbe dovuto tenere in considerazione il dato processuale costituito dalle dichiarazioni imprecise e palesemente inattendibili, oltre che sprovviste di riscontri, della persona offesa. La lacuna motivazionale risiede, si assume, nel non aver approfondito il portato dichiarativo predibattimentale, ritenendo che il richiedente abbia assunto un atteggiamento gravemente colpevole pur in assenza di alcun concreto elemento probatorio di riscontro a tal fine utilizzabile, atteso che nessun contatto o frequentazione censurabile avrebbe dovuto essere ascritta al ricorrente.
4. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha depositato memoria chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso o, in subordine, pronunciarsi il rigetto dello stesso.
5. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
6. Il difensore ha depositato memoria sviluppando gli argomenti a sostegno della fondatezza del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato.
2. Nell'ordinanza impugnata si è dato atto del punto della sentenza assolutoria in cui la pluralità delle contraddizioni rilevabili nel narrato della persona offesa A.O.C. ha indotto il tribunale a ritenere vulnerata «inevitabilmente l'attendibilità dello stesso sia in merito alle circostanze direttamente riferite sia in ordine a quelle per le quali è ravvisabile qualsiasi interferenza logica e fattuale»; si è anche riportato il passo della sentenza in cui il tribunale ha ritenuto «che C. abbia reso dichiarazioni false», disponendo la trasmissione degli atti all'Ufficio di Procura per le determinazioni di sua competenza.
2.1. Data tale premessa, la Corte territoriale ha equiparato la situazione in esame a quella in cui la persona offesa si sottrae all'esame dibattimentale; in quest'ultima ipotesi si è, infatti, affermato che «qualora fra le prove fondanti la misura vi fossero prove utilizzabili al momento dell'adozione del provvedimento cautelare, divenute inutilizzabili, ai sensi dell'art.256 cod. proc. pen., in forza della decisione della persona offesa di sottrarsi all'esame dibattimentale, il vaglio della condotta dell'indagato, in quanto da farsi ex ante, deve essere calato nello scenario legittimamente considerato dal giudice della cautela» (Sez. 4, n. 40281 del 23/05/2019, B., Rv. 278284).
2.2. Simile equiparazione, nella sua assolutezza, è errata in diritto, posto che le dichiarazioni predibattimentali rese da chi si sia sottratto all'esame dibattimentale, non essendo utilizzabili per fondare un giudizio di colpevolezza, ai sensi dell'art.526 cod. proc. pen., possono essere liberamente valutate dal giudice della riparazione in quanto sul narrato del dichiarante non vi potrà essere pronuncia del giudice della cognizione; al contrario, le dichiarazioni predibattimentali rese dalla persona offesa che in sede dibattimentale abbia assunto un comportamento reticente o abbia ritrattato quanto in precedenza flarrato, vengono introdotte nel giudizio di cognizione per il tramite delle contestazioni ai sensi dell'art.500 cod. proc. pen. e possono condurre il giudice del merito ad una valutazione di inattendibilità del dichiarante, con conseguente giudizio di insufficienza della prova circa i fatti narrati.
3. E considerato che, nel caso in esame, la Corte territoriale aveva constatato che con la sentenza assolutoria si era accertata l'inattendibilità del dichiarante, il Collegio avrebbe dovuto concentrare la sua attenzione sull'idoneità delle predette dichiarazioni a mantenere la loro autonoma valenza dimostrativa nel giudizio di riparazione. La Corte di cassazione ha, infatti, più volte affermato che l'autonomia del giudizio di riparazione rispetto a quello di cognizione fa sì che il giudice della riparazione, per apprezzare la sussistenza dei fattori ostativi del dolo o della colpa grave, possa utilizzare anche le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da soggetti che, poi, in dibattimento si sono sottratti all'esame o hanno ritrattato, ma è pur sempre necessaria una valutazione specifica della genuinità di queste ultime condotte (Sez. 4, n. 39748 del 19/07/2018, D.F., Rv. 273832).
3.1. Tale specifica valutazione s'impone a maggior ragione quando, a seguito della condotta dibattimentale del dichiarante, il giudice della cognizione ne abbia messo in discussione l'attendibilità giungendo, in assenza di diversi elementi istruttori, ad un giudizio dubitativo circa l'effettivo verificarsi dei fatti narrati. E', infatti, altresì consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità il principio per cui «nella valutazione del dolo o della colpa grave ostativi al riconoscimento del diritto alla riparazione, il giudice non può attribuire importanza decisiva a condotte escluse o ritenute non sufficientemente provate dal giudice della cognizione» (Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, D.b., in motiv.; Sez. 4 , n. 46469 del 14/09/2018 , C., Rv. 274350; Sez. 4, n.11150 del 19/12/2014, dep. 2015, P., Rv. 262957).
3.2. A tali rilievi va aggiunto che, nel caso concreto, la Corte territoriale ha del tutto tralasciato di esaminare, esclusa la possibilità di ascrivere rilevanza decisiva alle propalazioni della persona offesa, quali eventuali riscontri a tali dichiarazioni fossero stati sottoposti all'esame del giudice della cautela.
4. Le considerazioni che precedono comportano l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Catanzaro per nuovo giudizio, alla luce del seguente principio di diritto: « L'autonomia del giudizio di riparazione rispetto a quello di cognizione fa sì che il giudice della riparazione, per apprezzare la sussistenza dei fattori ostativi del dolo o della colpa grave, possa utilizzare anche le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da soggetti che, poi, in dibattimento si siano sottratti all'esame o abbiano ritrattato, a meno che il giudice della cognizione non abbia escluso o ritenuto non sufficientemente provati i fatti individuabili come fattore ostativo a seguito di una complessiva valutazione di inattendibilità del dichiarante». Al giudice del rinvio viene demandata, altresì, la regolazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Catanzaro cui demanda la regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.