Sbaglia il Tribunale ad escludere il sequestro preventivo sui beni della società poiché precedentemente dichiarata fallita. Per la Cassazione, l'unico limite all'operatività del provvedimento ablatorio è soltanto l'eventuale appartenenza del bene a persona estranea al reato.
Con sentenza
Svolgimento del processo
1. Con sentenza ex art. 444 cod. proc. pen., emessa in data 10/01/2019, il Tribunale di Trapani, condannava D.B. alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione per il reato di cui all'art. 4, d.lgs. 74 del 2000, omettendo di disporre la confisca per equivalente dei beni nella disponibilità dell'imputato per un valore corrispondente al prezzo o al profitto del reato, prevista ex lege dall'art. 12-bis, d.lgs. 74 del 2000. A seguito di ricorso proposto dal pubblico ministero, la Terza sezione penale della Corte di cassazione annullava la citata sentenza, limitatamente alla omessa confisca, con rinvio al Tribunale di Trapani per nuovo esame.
2. Il Tribunale di Trapani, con sentenza del 20/11/2020, rigettava la richiesta di confisca rilevando che D.B., con sentenza del 11/01/2018, e dunque, in epoca antecedente alla sentenza di primo grado, era stato dichiarato fallito e, di conseguenza, il provvedimento ablatorio non poteva essere adottato in applicazione di un recente orientamento di legittimità che ha escluso la possibilità di eseguire il sequestro diretto dei beni caso di dichiarazione di fallimento in quanto quest'ultima determina lo spossessamento ed il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito, attribuendo, invece, al curatore il compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento. La peculiare natura dell'attivo fallimentare derivante da tale spossessamento sarebbe, pertanto, di ostacolo all'applicabilità dell'art.12-bis del d.lgs n.74/2000, che individua, quale limite all'operatività della confisca, l'appartenenza dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato a soggetti terzi estranei allo stesso.
3. Avverso tale sentenza, propone ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Palermo, deducendo, con un unico motivo, violazione di legge per avere il giudice rigettato la richiesta di confisca per equivalente esclusivamente sul presupposto della intervenuta dichiarazione di fallimento in ossequio alla citata pronuncia della Corte di cassazione, senza tenere in conto ulteriori rilevanti orientamenti di legittimità che, in considerazione del differente ambito di operatività tra la procedura concorsuale e la misura cautelare reale, hanno evidenziato come "se è vero che il sequestro penale è destinato a prevalere sugli interessi dei creditori all'integrale salvaguardia dell'attivo fallimentare, è tuttavia altrettanto innegabile che, sul piano pratico, è indispensabile circoscrivere compiutamente l'entità del profitto confiscabile, consentendo di soddisfare le preminenti ragioni di tutela penale, senza però arrecare pregiudizio alle concorrenti pretese creditorie, e tanto, soprattutto, laddove l'attivo fallimentare sia costituito da somme di denaro. In tema di reati tributari, poi, resta ferma l'esigenza di valutare anche se l'Erario abbia già proceduto al recupero delle somme non versate dal contribuente, ciò al fine di evitare un'indebita locupletazione da parte del Fisco, tenuto conto che, ai sensi del comma 2 del citato art. 12-bis, la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'Erario anche in presenza di sequestro". Ad avviso del ricorrente, pertanto, la sentenza impugnata andrebbe annullata avendo il Tribunale rigettato la richiesta solo ed esclusivamente per l'intervenuta sentenza di fallimento in epoca antecedente, omettendo di accertare alcuni aspetti essenziali come la consistenza dell'attivo fallimentare, l'esecuzione o meno della misura e l'eventuale e preventivo soddisfacimento del credito erariale rispetto all'importo suscettibile di confisca, non risultando altresì specificato se e in che termini siano state dedotte dal curatore eventuali pretese creditorie da parte di soggetti in buona fede.
3. Il Sostituto Procuratore Generale con requisitoria scritta ha chiesto che il ricorso venga rigettato.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio.
2. L'art. 12-bis prevede che "nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto". Si tratta, dunque, di una ipotesi di confisca obbligatoria che, in caso di patteggiamento, deve essere disposta dal giudice anche ove non abbia formato oggetto dell'accordo tra le parti ad eccezione dell'ipotesi in cui abbia ad oggetto beni appartenenti a persona estranea al reato.
3. La questione posta dal ricorrente è, dunque, volta a stabilire se tale ultima ipotesi contemplata dalla norma, sia configurabile anche in caso di intervenuta dichiarazione di fallimento e di attrazione dei beni della persona giuridica alla massa fallimentare, con conseguente impossibilità di disporre la confisca prevista ex lege dall'art. 12-bis, d.lgs. 74 del 2000.
4. Sul tema, si registrano orientamenti di legittimità non omogenei. Si è infatti affermato che, in caso di intervenuto fallimento della persona giuridica, non può essere disposto il sequestro preventivo in via diretta sui beni della società in quanto, il vincolo apposto a seguito della dichiarazione di fallimento importa lo spossessamento e il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito, attribuendo invece al curatore il compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento. Su tale presupposto, nel caso esaminato, la Corte ha ritenuto ammissibile il sequestro per equivalente sui beni della persona fisica, integrando la non aggredibilità dei beni in via diretta, la condizione per potere operare il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti della persona fisica (Sez. 3, n. 14766 del 26/02/2020, S., Rv. 279382 -01; in termini adesivi, Sez. 3, n. 12125, del 05/02/21, Fallimento A.T. srl, n.m. e, in precedenza, Sez. 3, n. 45574 del 29/05/2018, E, Rv. 273951 - 01). Secondo tale orientamento, la peculiare natura dell'attivo fallimentare derivante dallo spossessamento del fallito sarebbe di ostacolo all'applicabilità dell'art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, che individua, quale limite all'operatività della confisca, l'appartenenza dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato a terzi estranei al reato. Inoltre, la conclusione accolta sarebbe stata implicitamente fatta propria anche da Sez. U, n. 45936 del 26/09/2019, fallimento di M.P. Srl in liquidazione, Rv. 277257, in quanto le Sezioni Unite avrebbero dato per acquisita l'esclusione della possibilità di eseguire il sequestro su beni appartenenti alla massa fallimentare.
5. In senso opposto a tale indirizzo si è pronunciata di recente la sentenza, richiamata dal ricorrente nella quale, viceversa, si è affermata la ammissibilità del provvedimento ablatorio anche a seguito dell'intervenuto fallimento, osservandosi, che "il riconoscimento in capo al curatore della legittimazione all'impugnazione dei provvedimenti impositivi di cautele reali effettuato dalla sentenza delle Sezioni Unite “M.P.” non vale tuttavia ad alterare l'assetto dei rapporti tra procedura fallimentare e sequestro penale, dovendosi cioè ribadire che la misura ablatoria reale, in virtù del suo carattere obbligatorio, da riconoscere sia alla confisca diretta che a quella per equivalente, è destinata a prevalere su eventuali diritti di credito gravanti sul medesimo bene, a prescindere dal momento in cui intervenga la dichiarazione di fallimento, non potendosi attribuire alla procedura concorsuale che intervenga prima del sequestro effetti preclusivi rispetto all'operatività della cautela reale disposta nel rispetto dei requisiti di legge, e ciò a maggior ragione nell'ottica della finalità evidentemente sanzionatoria perseguita dalla confisca espressamente prevista in tema di reati tributari, quale strumento volto a ristabilire l'equilibrio economico alterato dal reato". Si evidenzia quindi che "unico limite all'operatività della confisca diretta o per equivalente, per come desumile dal tenore letterale dell'art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, è dunque soltanto l'eventuale, appartenenza del bene a persona estranea al reato. Ciò comporta, in sede di merito, la necessità di un'attenta verifica da parte del giudice penale, volta, nel solco interpretativo tracciato dalla sentenza "Uniland", in ciò non superata dalla successiva sentenza delle Sezioni Unite n. 45936 del 2019, ad accertare l'eventuale titolarità o meno di diritti di terzi, e, in caso positivo, le modalità della acquisizione del diritto, ciò al fine di valutarne la buona fede" (Sez 3, n. 15776 del 08/01/20, Fallimento B. s.r.l., n.m.).
6. Tale conclusione, alla quale il collegio ritiene di dover aderire, si pone nel solco di quanto affermato sul tema dalla sentenza Sez. U, n. 29951 del 24/05/2004, F., che, esaminando il caso di un sequestro preventivo disposto in funzione della confisca facoltativa prevista dall'art. 240, comma primo, cod. pen. sul profitto di delitti tributari e truffe ai danni dello Stato commessi in forma organizzata, e affrontando la questione volta a stabilire se sia consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca facoltativa di beni provento di attività illecita dell'indagato e di pertinenza di impresa dichiarata fallita, ha escluso che il sequestro sia precluso, a condizione che il giudice dia motivatamente conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori. Nello stesso senso, la sentenza Sez. U, n. 45936 del 2019, Uniland, in relazione al rapporto tra il sequestro/confisca ex art. 19, d.lgs. n. 231 del 2001, qualificata come obbligatoria, e la procedura fallimentare, ha evidenziato che le finalità dei due vincoli - quello imposto dall'apertura della procedura fallimentare e quello derivante dal sequestro e/o dalla confisca - sono, invero, del tutto differenti e tra loro non confliggenti. Essendo, dunque, il provvedimento ablatorio posto a tutela dei beni sui quali può essere esercitata la pretesa dello Stato in caso di condanna dell'ente, è ovvio che in nessun caso lo Stato può rinunciare alla apposizione del vincolo, neppure in caso di apertura di una procedura concorsuale.
7. Tali insegnamenti, del resto, non paiono nemmeno essere stati superati dalla sentenza Sez. U, n. 45936 del 26/06/2019, fallimento “M.P.”, Rv. 277257, che ha riconosciuto la legittimazione del curatore ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale quando il vincolo penale sia stato disposto prima della dichiarazione di fallimento. In tale pronuncia, il Supremo consesso ha affermato che, come disposto dall'art. 42, comma 1, legge fall., «la sentenza che dichiara il fallimento priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento». La disponibilità di tali beni, da quel momento, si trasferisce dal fallito agli organi della procedura fallimentare. Di essi, il curatore è incaricato dell'amministrazione della massa attiva nella prospettiva della conservazione della stessa ai fini della tutela dell'interesse dei creditori, come indiscutibilmente affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 17749 del 17/12/2018, dep. 2019, Casa di cura T. S.p.a., Rv. 275453; Sez. 5, n. 48804 del 09/10/2013, Fallimento Infrastrutture e Servizi, Rv. 257553); ed in questa veste, l'art. 43 legge fall. gli attribuisce la rappresentanza in giudizio dei rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento (Sez. 2 civ., n. 11737 del 15/05/2013, Rv. 626734). Sulla scorta di tali argomentazioni le Sezioni Unite hanno, pertanto, risolto la questione sottoposta al loro vaglio, volta stabilire "se il curatore fallimentare sia legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale quando il vincolo penale sia stato disposto prima della dichiarazione di fallimento" nel senso dell'attribuibilità al curatore della legittimazione ad impugnare i provvedimenti cautelari reali adottati sui beni del fallimento, in quanto persona avente diritto alla restituzione di essi in caso di dissequestro, escludendo, nel contempo, che tale legittimazione possa limitarsi ai beni sequestrati successivamente alla dichiarazione di fallimento secondo la soluzione prospettata dall'indirizzo giurisprudenziale formatosi successivamente alla sentenza "Uniland". Con tale pronuncia, pertanto, le Sezioni Unite non hanno escluso, ma anzi, hanno implicitamente confermato - nell'ammettere la legittimazione ad impugnare del curatore - che possa esservi un provvedimento ablatorio successivamente alla dichiarazione di fallimento. Appare, allora, del tutto condivisibile, e maggiormente aderente agli insegnamenti delle Sezioni Unite, l'impostazione ermeneutica seguita dalla indicata pronuncia della Terza sezione, n. 15776 del 2020, che ritiene ammissibile la confisca anche in caso di intervenuto fallimento affinché il giudice penale, proceda alle necessarie verifiche di merito, accertando, soprattutto in presenza di un attivo fallimentare, l'esistenza della somma oggetto della cautela reale, la possibile coesistenza, ove dedotta dal curatore, di diritti di proprietà concernenti gli stessi beni sottoposti a sequestro, consentendo di soddisfare le preminenti ragioni di tutela penale senza però arrecare pregiudizio alle concorrenti pretese creditorie, nonché anche l'eventuale già avvenuto recupero da parte dell'Erario delle somme non versate dal contribuente al fine di evitare un'indebita locupletazione da parte del Fisco.
8. Per quanto sopra, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Trapani per nuovo esame della questione alla luce dei richiamati principi di diritto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Trapani.