Non c'è alcun dubbio sulla legittimità costituzionale della norma con riferimento agli artt. 3, 25 e 111 Cost., in quanto la previsione di un regime transitorio è funzionale all'esigenza di coordinamento con la riforma introdotta dalla L. n. 3/2019.
La Corte d'Appello di Torino respingeva il gravame proposto dall'imputato contro la sentenza di primo grado che lo aveva condannato per concorso in cessione di sostanze stupefacenti.
Contro tale decisione, l'imputato propone ricorso per cassazione, censurando la decisione nella parte relativa alla valutazione dell'attendibilità e della credibilità dei collaboratori, oltre alla...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 29 gennaio 2019 la Corte d'appello di Torino, ha respinto l'impugnazione proposta da F.I. nei confronti della sentenza del 25 novembre 2010 del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Ivrea, con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, lo stesso era stato condannato alla pena di quattro anni e otto mesi di reclusione e 24.000,00 euro di multa, in relazione al reato di cui all'art. 73 d.P.R. 309/90 (ascrittogli per avere, in concorso con F.S., ceduto a R.V. 1.100,00 grammi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, confezionata in fogli o foglie, dietro corrispettivo di euro 43,00 al grammo; in Cuorgné e altrove in epoca prossima al 20 - 25 gennaio 2006; capo 3 della rubrica).
2. Avverso tale sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. In primo luogo, ha lamentato l'errata applicazione degli artt. 192, commi 2, 3 e 4, e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., e un vizio della motivazione, nella parte relativa alla valutazione delle chiamate di correo e della rilevanza di tali dichiarazioni. Dopo aver ricordato i criteri da seguire nella valutazione delle chiamate in correità, costituiti dalla necessità di verificare la credibilità del dichiarante, la consistenza intrinseca delle sue dichiarazioni e i riscontri esterni e individualizzanti della chiamata, evidenziando l'ulteriore necessità, nel caso di plurime dichiarazioni accusatorie, che queste siano convergenti, indipendenti e specifiche, ha affermato la illogicità del rilievo attribuito dalla Corte d'appello al fatto che il V. (sulle cui dichiarazioni era stata fondata l'affermazione di responsabilità del ricorrente) si era autoaccusato anche di delitti non noti agli inquirenti e aveva rivelato i nomi dei soggetti con i quali aveva trattato affari illeciti, in quanto tale giudizio non poteva sostituire la valutazione di attendibilità da compiere in relazione ai fatti denunciati nel procedimento penale nei confronti del ricorrente, anche in considerazione della pluralità di altri reati in materia di stupefacenti commessi dallo stesso V.; ha lamentato anche l'insufficiente verifica del possibile carattere artificioso della consonanza tra le dichiarazioni del G. e del V., in quanto il primo aveva reso le dichiarazioni indizianti (tra l'altro giudicate insufficienti a sostenere l'accusa, tanto da condurre alla archiviazione del procedimento nei confronti dello I., poi riaperto proprio a seguito delle dichiarazioni del V.) nel giugno 2006, mentre V. aveva iniziato la propria collaborazione il 3 novembre 2006, riferendo negli interrogatori del 8 novembre 2006 e del 4 aprile 2007, di essere stato contattato da F.I. tra il 20 e il 25 gennaio 2006, che gli aveva proposto l'acquisto di circa un chilogrammo di cocaina in foglie (offerta alla quale il V. aveva aderito), cosicché il V. poteva essere a conoscenza delle dichiarazioni precedentemente rese da G. e poteva averle utilizzate a proprio vantaggio, allo scopo di rendere più ampia la propria collaborazione, in quanto all'epoca dei fatti egli frequentava il locale gestito dallo I.; ha censurato anche il rilievo attribuito all'inserimento del V. nella ndrangheta e nel traffico di stupefacenti, risultando illogica la deduzione che ne era stata tratta circa l'attendibilità delle sue dichiarazioni in ordine allo specifico episodio delittuoso contestato al ricorrente; ha censurato anche l'affermazione, pure contenuta nella sentenza impugnata, circa l'insussistenza di sentimenti di astio o rancore del V. nei confronti dello I., posto che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d'appello nel provvedimento impugnato, dalla corrispondenza tra V. e I. successiva all'arresto del V. e prodotta dalla difesa trasparirebbero chiari ed evidenti sentimenti di rabbia, ripensamento e rancore nei confronti di tutti i frequentatori del locale di P. gestito proprio dallo I., sentimenti tali da fa dubitare del disinteresse della chiamata in correità di V. nei confronti di I., sulla quale era stata fondata l'affermazione di responsabilità di quest'ultimo. Ha censurato anche l'interpretazione data dalla Corte territoriale ai rapporti di dare e avere tra gli stessi V. e I., ricondotti alla fornitura di droga, benché fossero da ricondurre a debiti dello stesso V. per consumazioni effettuate nel locale dello I. (come riferito dal G., che tra l'altro aveva dichiarato di ignorare chi fosse l'acquirente della droga che egli aveva importato dal Brasile e consegnato a I.), e anche la confutazione della stessa Corte d'appello della spiegazione alternativa fornita dallo I. delle accuse mossegli da V. (spiegate con la volontà di tenere nascoste alle moglie e alla famiglia la vera origine della emissione degli assegni a favore dello I. e la sua relazione con tale V.). Analoghi rilievi sono stati sollevati a proposito delle dichiarazioni del coimputato G., essendo contraddittoria la motivazione nella parte in cui era stato escluso il valore delle dichiarazioni del G. relative al fatto di essere stato incaricato da I. di recuperare da V. un credito per consumazioni nel locale dello stesso I. e, allo stesso tempo, il medesimo G. era stato giudicato attendibile quanto alle accuse rivolte allo I. (per la cessione di droga al V.). Ha censurato anche la valutazione dei risconti esterni delle chiamate in correità da parte di V. e G., riscontri costituiti dai numerosi contatti telefonici intercorsi tra il primo febbraio 2006 e il 20 febbraio 2006 tra i suddetti collaboratori e il ricorrente, ritenuti elementi individualizzanti per il contenuto, i rapporti e la vicinanza temporale rispetto ai fatti narrati, pur essendo del tutto neutro il contenuto delle conversazioni tra I. e V. e criptico il linguaggio utilizzato da V. nelle conversazioni con i terzi acquirenti, in quanto la spiegazione logica delle prime conversazioni era il debito che il V. aveva accumulato per le consumazioni nel locale di I. e il conseguente interesse di quest'ultimo a essere pagato. Anche a proposito dell'epoca di realizzazione della condotta ha sottolineato la discrasia esistente tra le dichiarazioni di V. e quelli di G., posto che il primo aveva collocato la cessione dello stupefacente tra il 20 e il 25 gennaio 2006, mentre il secondo la aveva indicata come avvenuta il primo febbraio 2006, discrasia che non era stata spiegata in modo logico e persuasivo dalla Corte d'appello, che aveva fatto riferimento all'accordo che precede la consegna e alla ampiezza della contestazione, cosicché doveva ritenersi mancante il requisito dei riscontri reciprocamente individualizzanti le due chiamate.
2.2. In secondo luogo, ha lamentato un ulteriore vizio della motivazione nella parte relativa alla esclusione della configurabilità della ipotesi di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 e anche riguardo alla determinazione della pena, non essendo stato considerato adeguatamente il comportamento del ricorrente, che avrebbe, comunque, consentito di mitigare il trattamento sanzionatorio.
3. Il Procuratore Generale nelle sue richieste scritte ha concluso per l'inammissibilità del ricorso, sottolineando la completezza e la piena logicità della motivazione della sentenza impugnata, sia nella parte relativa alla valutazione di attendibilità e credibilità dei collaboratori, evidenziandone la sovrapponibilità e i riscontri (costituiti dalle intercettazioni di conversazioni e dalle dichiarazioni del teste P.), e la adeguatezza della motivazione anche nelle parti relative alla spiegazione delle discrasie di tali dichiarazioni in ordine al tempus commissi delicti e alla individuazione delle ragioni dei rapporti di dare e avere tra I. e V.; sia quanto alla esclusione della configurabilità della ipotesi del fatto di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 e alla adeguatezza del trattamento sanzionatorio.
4. Con memoria del 7 dicembre 2021 il ricorrente ha insistito per l'accoglimento di entrambi i motivi di ricorso e, in via di subordine, ha prospettato l'illegittimità costituzionale dell'art. 344 bis cod. proc. pen., introdotto dall'art. 2 I. 134/2021, nella parte in cui limita l'improcedibilità conseguente alla mancata definizione dei giudizi di legittimità nel termine di un anno ai soli procedimenti che hanno a oggetto reati commessi dal primo gennaio 2020, trattandosi di previsione contrastante con il disposto degli artt. 3, 25 e 111 Cost., da considerare disposizione di carattere sostanziale e non processuale, da applicare retroattivamente in quanto più favorevole, ai sensi dell'art. 2, comma 4, cod. pen., con la conseguente irragionevolezza della limitazione della sua applicabilità.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Il primo motivo, mediante il quale sono state denunciate errate applicazioni di disposizioni di legge penale e processuale e vizi della motivazione, con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni accusatorie rese da R.V. e A.G., è manifestamente infondato, in quanto la Corte territoriale, nel disattendere le analoghe censure formulate dall'imputato con l'atto d'appello, ha compiuto in modo approfondito la prescritta analisi in ordine alla credibilità dei dichiaranti, alla consistenza intrinseca delle loro dichiarazioni e ai relativi riscontri esterni e individualizzanti, illustrando analiticamente i plurimi aspetti considerati per addivenire al giudizio positivo in ordine alla credibilità del V. e anche del G., nonché riguardo alla coerenza, precisione, coerenza e spontaneità delle loro dichiarazioni, e anche in ordine alla valenza dei riscontri estrinseci acquisiti. Non v'è, anzitutto, nessuna illogicità, tantomeno manifesta, nel rilievo attribuito al fatto che il V. si sia autoaccusato anche di delitti non conosciuti dagli inquirenti, in quanto tale rilevanza non è stata considerata al fine della prova della condotta contestata al ricorrente, ma nell'ambito della valutazione di attendibilità soggettiva del V., conclusasi positivamente proprio in considerazione del fatto che le sue dichiarazioni hanno consentito di ricostruire l'operatività della ndrangheta (di cui lo stesso V. aveva ammesso di far parte) in Piemonte e anche proprio in virtù del fatto che lo stesso si è autoaccusato di delitti non noti agli inquirenti e ha rivelato i nomi di soggetti con cui aveva trattato affari illeciti, cosicché il rilievo attribuito dalla Corte d'appello a tali aspetti non risulta né illogico, né in contrasto con i criteri stabiliti per la valutazione delle dichiarazioni accusatorie rese da coimputati, ma, anzi, conforme ai principi stabiliti per valutare la attendibilità soggettiva del dichiarante, essendo strumentale alla valutazione della personalità e della condotta del dichiarante nella prospettiva dell'accertamento della sua credibilità. La Corte d'appello ha, poi, altrettanto logicamente, escluso che le dichiarazioni del V. siano frutto di accordi con G. o, comunque, strutturate a fini strumentali o di convenienza su queste, sottolineando come dagli atti non risulti che vi siano stati contatti tra V. e G. dopo l'arresto di quest'ultimo e che V. abbia avuto modo di conoscere il contenuto delle dichiarazioni rese da G. nel giugno 2006, ma solamente, semmai, le notizie riguardanti il suo arresto (dovuto al diverso fatto della detenzione di una partita di cocaina nella sua abitazione), e anche che V. aveva riferito circostanze, tra cui l'acquisto della cocaina in fogli, che non erano noti a G.. Nel ribadire la spontaneità e il disinteresse delle dichiarazioni accusatorie di V., che avrebbe egualmente conseguito i benefici derivanti dalla collaborazione anche in mancanza delle dichiarazioni accusatorie a carico di I., la Corte d'appello ha anche escluso l'esistenza di sentimenti di astio o rancore nei confronti di I. (che, invece, ad avviso del ricorrente, sarebbero all'origine delle dichiarazioni accusatorie nei propri confronti), escludendo che ne emergano dalla corrispondenza dal carcere tra lo stesso V. e lo I. prodotta dalla difesa, che ne propone una rilettura da contrapporre a quella dei giudici di merito, fondata su una non consentita interpretazione alternativa di tali missive, poste che quella dei giudici di merito, che ne ha spiegato il contenuto con la delusione per l'abbandono da parte degli amici e della fidanzata V. dopo la sua carcerazione, non è manifestamente illogica. Sempre in ordine alla attendibilità soggettiva del V. la Corte d'appello ha sottolineato la costanza e la precisione delle sue dichiarazioni nei vari interrogatori resi al pubblico ministero e le spiegazioni dallo stesso fornite a proposito degli assegni consegnati a I., quale pagamento della cocaina in foglie oggetto della contestazione formulata nei confronti dello stesso I., riscontrate, quanto all'esistenza degli assegni, da quanto dichiarato dal teste P., escludendo, in modo logico, la riconducibilità di tali pagamenti al solo debito per consumazioni di alcolici nel locale notturno dello I. che V. avrebbe maturato nei suoi confronti, concludendo in senso positivo per la attendibilità del V. e per la genuinità delle dichiarazioni accusatorie dallo stesso rese nei confronti del ricorrente I.. Quanto al G. la Corte d'appello ne ha sottolineato la conoscenza con I., il fatto che si sia autoaccusato, senza ricavarne alcuno specifico beneficio ulteriore, anche di un reato non noto (costituito dai fatti relativi alla prima partita di cocaina), l'assenza di elementi di astio nei confronti di I., la coerenza e la precisione delle sue dichiarazioni, la presenza di riscontri rappresentati dalle intercettazioni. La Corte territoriale ha poi ribadito il giudizio di primo grado in ordine alla sostanziale convergenza delle dichiarazioni di G. e V. in ordine all'acquisto della cocaina in fogli da parte di I., nonostante le discrasie su circostanze marginali, mentre quella sulla data del commesso reato, e cioè della consegna a V. della partita di cocaina in foglie, è stata ritenuta non incidente sul nucleo essenziale delle dichiarazioni, trattandosi di date assai prossime tra loro (quelle indicate da V. e G.) ed essendovi totale sovrapponibilità tra il fatto storico che I. acquistò da G. cocaina da rivendere, e il fatto storico che la cedette a V.. Si tratta di motivazione certamente idonea, essendo stati indicati gli elementi a sostegno della conferma delle valutazioni di credibilità di entrambi i dichiaranti, di coerenza e attendibilità intrinseca delle loro dichiarazioni accusatorie e di rilevanza e idoneità degli elementi di riscontro acquisiti, che resiste alle censure del ricorrente, che costituiscono riproposizione di quelle già esaminate e disattese con ampia e analitica motivazione da parte della Corte d'appello e sono volte, in realtà, a conseguire una non consentita rilettura di tutti gli elementi disponibili, sia in ordine alla credibilità di entrambi i dichiaranti (in particolare di V.), sia a proposito della genuinità delle loro dichiarazioni (di cui è stato sottolineato il disinteresse e illustrata la coerenza), sia quanto alla rilevanza degli elementi di riscontro; la discrasia in ordine alla data di consumazione del reato, indicata nel periodo compreso tra il 20 e il 25 gennaio 2006 da V. e in data successiva al primo febbraio 2006 da G. è stata spiegata, in modo non manifestamente illogico, con la possibile confusione di V. (spiegando che questi aveva riferito di numerosi episodi analoghi), sottolineando la prossimità di tali date e, soprattutto, la concordanza del fatto storico riferito da entrambi i dichiaranti, costituito dalla importazione in Italia da parte del G. della partita di cocaina ceduta allo I. e da questi rivenduta al V.. Deve, in definitiva, concludersi per la manifesta infondatezza dei rilievi sollevati dal ricorrente con il primo motivo di ricorso, che non consentono di ravvisare una errata applicazione delle disposizioni di legge processuale da applicare nella valutazione delle dichiarazioni accusatorie di cui all'art. 192, commi 2, 3 e 4, cod. proc. pen., o illogicità manifeste o contraddittorietà (ossia proposizioni tra loro logicamente incompatibili), ma sono in realtà volte a conseguire una non consentita rivisitazione delle risultanze istruttorie allo scopo di pervenire a una loro lettura alternativa, da contrapporre a quella dei giudici di merito, che non è manifestamente illogica né fondata su travisamenti delle prove, e dunque non può essere oggetto di rivisitazione in sede di legittimità (v., tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, R., Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, C., Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, e.e. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, M., Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, M. ed altro, Rv. 235716).
3. Il secondo motivo, relativo alla esclusione della configurabilità della ipotesi del fatto di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 e alla determinazione della misura della pena, è inammissibile a causa della sua genericità, oltre che per essere, comunque, volto, a censurare sul piano del merito le valutazioni della Corte d'appello in ordine alla gravità del fatto e alla personalità dell'imputato, posto che a sostegno delle censure in ordine alla esclusione della configurabilità della suddetta ipotesi di lieve entità e alla eccessività della pena non sono state prospettate violazioni di disposizioni di legge penale o processuale o vizi della motivazione, ma solo lamentate, in modo sostanzialmente assertivo, l'esclusione di detta ipotesi e l'eccessività della pena (lamentando solo e genericamente il mancato accertamento del grado di purezza della sostanza stupefacente, peraltro desumibile dal corrispettivo pattuito, e l'eccessività della pena, nonostante il comportamento collaborativo dell'imputato, sostanziatosi nel rispondere agli interrogatori), senza reale confronto critico con la motivazione del provvedimento impugnato, né analisi della vicenda e della personalità del ricorrente; ne deriva che tale motivo risulta inidoneo a costituire valido elemento di censura alla struttura argomentativa e giustificativa della motivazione nella parte relativa alla qualificazione della condotta e dalla determinazione del trattamento sanzionatorio, posto che nella sentenza impugnata la configurabilità di detta ipotesi è stata, correttamente, esclusa in considerazione del dato ponderale e del prezzo della cessione, non modesti, oltre che delle modalità del fatto, come descritto dal G. (caratterizzato dalla trattazione della sostanza stupefacente, lavorata per essere resa in fogli), e la misura della pena è stata confermata in considerazione della gravità del fatto e della personalità dello I., evidenziando il modesto scostamento dal minimo edittale.
4. La questione di legittimità costituzionale dell'art. 344 bis cod. proc. pen., nella parte in cui limita ai soli procedimenti relativi a reati commessi dal primo gennaio 2020 l'improcedibilità conseguente al decorso del termine di durata massima del giudizio di legittimità, è manifestamente infondata, trattandosi di scelta che rientra nella discrezionalità del legislatore e che non comporta alcuna violazione dei parametri indicati dal ricorrente, in quanto la limitazione cronologica della applicazione di detta causa di improcedibilità delle impugnazioni (cui consegue la non punibilità delle condotte) riguarda situazioni diverse, anche quanto alla disciplina sostanziale applicabile, e risulta coerente con la riforma introdotta dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, in materia di sospensione del termine di prescrizione nei giudizi di impugnazione, anch'essa applicabile ai reati commessi dal 1 gennaio 2020; in proposito questa Corte già affermato (v. Sez. 7, Ordinanza n. 43883 del 19/11/2021, C.P., non massimata), e si tratta di principio che il Collegio condivide e ribadisce, che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 3, legge 134/2021, in relazione agli artt. 3, 25 e 111 Cost., nella parte in cui prevede che le disposizioni relative al nuovo istituto si applichino ai soli procedimenti di impugnazione aventi ad oggetto reati commessi a far data dal 1 gennaio 2020, in quanto la previsione di un regime transitorio è funzionale all'esigenza di coordinamento con la suddetta riforma introdotta dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, essendo ragionevole la graduale introduzione dell'istituto per consentire un'adeguata organizzazione degli uffici giudiziari.
5. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, state la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata, nonché del primo motivo di ricorso e l'inammissibilità del secondo motivo. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.