Con la sentenza in commento, la Cassazione ripercorre i due diversi indirizzi giurisprudenziali in tema di rifusione delle spese processuali della parte civile quando le conclusioni sono rassegnate solo con memoria e senza l'intervento in udienza.
L'imputato propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello con cui era stata confermata la sua condanna per concorso in frode assicurativa. In particolare, al ricorrente veniva contestato di aver concorso nella falsificazione di documenti relativi al passaggio di proprietà di un mezzo con lo scopo di pagare un premio...
Svolgimento del processo
1.La Corte di appello de L'Aquila confermava la condanna dello I. per concorso in frode assicurativa. Si contestava allo stesso di avere concorso a falsificato i documenti relativi al passaggio di proprietà di un mezzo al fine di pagare un premio assicurativo più basso di quello che sarebbe spettato al coimputato D.R. (la cui condanna è passata in giudicato) reale proprietario.
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:
2.1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della condizione di procedibilità: la querela sarebbe tardiva in quanto la Compagnia assicuratrice avrebbe avuto contezza della falsificazione già nel dicembre 2013 (come si ricaverebbe dalla testimonianza della responsabile dell'Ufficio portafoglio della Compagnia assicurativa); secondo il ricorrente il dies a quo per la proposizione della querela decorrerebbe pertanto dal momento di apertura della pratica (19 dicembre 2013).
2.2. violazione di legge e vizio di motivazione: non sarebbe stata dimostrata la sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato, dato che lo I. non era il proprietario del mezzo, sicché non poteva essere il soggetto attivo della frode prevista dall'art. 642 cod. pen. che, configurerebbe una ipotesi di "reato proprio". A ciò si aggiungeva che il contratto era stato annullato, sicché non sussisterebbe un altro presupposto necessario per integrare la fattispecie contestata, ovvero l'esistenza di un rapporto contrattuale valido tra la Compagnia assicurativa e l'autore del reato; mancherebbe inoltre anche la dimostrazione della sussistenza dell'elemento soggettivo dato che, al più, poteva ritenersi che lo I. avesse stipulato il contratto in attesa della definizione del passaggio di proprietà, ma non che avesse posto in essere una truffa nei confronti dell'assicurazione. Si riteneva pertanto che la condotta non andasse inquadrata come "truffa alla assicurazione", ma come "falso" ai sensi dell'art. 485 cod. pen.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione: il concorso contestato allo I. non sussisterebbe, dato che non era emersa la prova di alcun accordo tra lo stesso ed il coimputato D.R., che non risultavano legati da rapporti di amicizia o conoscenza.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche che non erano state concesse, nonostante la scarsa rilevanza della condotta per cui si procede ai fini della valutazione della pericolosità sociale e malgrado la sostanziale incensuratezza dell'imputato al momento del fatto.
3. La parte civile - con memoria - depositava conclusioni e nota spese
Motivi della decisione
1.11 ricorso è inammissibile.
1.1. Con il primo motivo il ricorrente ripropone la questione della tempestività della querela senza confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata dove il tema è stato affrontato: la Corte di appello ha infatti ritenuto che non fosse stata indicata una data certa per la retrodatazione del termine; infatti non era emerso con certezza quando la S., impiegata della agenzia assicurativa, avesse ricevuto la telefonata che avrebbe perfezionato la conoscenza della truffa. Si ribadisce, infatti, che l'onere della prova circa la intempestività della querela è a carico del querelato che la deduce e, nella eventuale situazione di incertezza, va risolta a favore del querelante (Sez. U, Sentenza n. 12213 del 21/12/2017, dep. 2018, Z., Rv. 272170; Sez. 5, Sentenza n. 13335 del 17/01/2013 Moggi, Rv. 255060). A ciò si aggiunge che, nel caso in esame, si deduceva un travisamento del contenuto delle dichiarazioni della responsabile dell'Ufficio portafoglio della Compagnia assicurativa senza allegare la testimonianza in ipotesi decisiva, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso (Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, T., Rv. 276432).
1.2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. Il ricorrente si insta per la qualificazione della condotta contestata nella fattispecie prevista dall'art. 485 cod. pen., rilevando la non attribuibilità del fatto al ricorrente in ragione della assenza di un rapporto valido con la compagnia assicuratrice e deducendo che l'art. 642 cod. pen. prevede un reato "proprio". Sul punto si ribadisce infatti che la fattispecie prevista dall'art. 642 cod. pen. costituisce un'ipotesi speciale di truffa e non integra un reato "proprio" attribuibile esclusivamente al contraente del rapporto assicurativo, ma può essere ravvisata in ogni azione fraudolenta diretta a ledere il patrimonio delle compagnie assicuratrici attraverso la manipolazione illecita del rapporto contrattuale, attuabile anche da soggetti estranei al sinallagma (Sez. 2, Sentenza n. 4389 del 11/10/2018, dep 2019, D., Rv. 274901).
L'art. 642 comma 1 cod. pen. punisce infatti (a) chi distrugge disperde deteriora od occulta "cose di sua proprietà", (b) chi falsifica o altera una polizza o la documentazione richiesta per la stipulazione di un contratto di assicurazione, (c) chi falsifica un sinistro (art. 642, comma 2). Come emerge dalla lettera della norma la condotta di alterazione o falsificazione dei documenti per la stipula del contratto non richiede né che l'autore della manipolazione sia il proprietario del bene da assicurare, né che esista un rapporto contrattuale valido. Nel caso in esame, la condotta contestata allo I. si inquadra pacificamente nella fattispecie prevista dall'art. 642 cod. pen. tenuto conto che è incontestato che lo stesso aveva falsificato la documentazione relativa alla proprietà del mezzo da assicurare per favorire il concorrente nel reato (D.R.), che, all'esito dell'operazione, avrebbe pagato un premio assicurativo inferiore (la condotta è dettagliatamente ricostruita a pag. 5 della sentenza di primo grado). Pertanto, esclusa la riconducibilità dell'art. 642 cod. pen. alla categoria del reato c.d. "proprio", e rilevato l'incontestato concorso dello I. con il proprietario del mezzo nella consumazione della condotta fraudolenta, non vi sono spazi per assegnare alla condotta la diversa qualificazione giuridica invocata dal ricorrente.
1.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato: contrariamente a quanto dedotto la emersione di condotte "concorsuali" non richiede che le stesse siano supportate dalla sussistenza di un provato rapporto amicale o di conoscenza. Si ribadisce cioè che si ha concorso ai sensi dell'art. 110 cod. pen. ogni qualvolta l'agente partecipi in qualsiasi modo alla realizzazione dell'illecito e quindi anche quando con la propria presenza agevoli o rafforzi il proposito criminoso altrui (Sez. 1, n. 1172 del 27/11/1991 - dep.1992, T., Rv. 189075; Sez. 5, n. 21082 del 13/04/2004, T., Rv. 229200; Sez. 4, Sentenza n. 34754 del 20/11/2020, A. Rv. 280244).
1.4. È inammissibile il motivo con il quale si contesta la mancata concessione delle attenuanti generiche. Si ribadisce che l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (Sez. 3, Sentenza n. 24128 del 18/03/2021 D.C., Rv. 281590; Conf. Sez. 1, n. 3529 del 1993, Rv. 195339). Nel caso in esame con motivazione dettagliata e persuasiva la Corte territoriale escludeva la sussistenza di elementi positivi in grado di giustificare la concessione del beneficio sanzionatorio invocato (pag. 8 della sentenza impugnata) offrendo una motivazione coerente con il compendio probatorio raccolto e rispettosa delle indicazioni fornite dalla Corte di legittimità.
2. La Parte civile depositava memoria con la quale analizzava motivi di ricorso rilevandone la inammissibilità ed allegava la nota spese.
2.1. In materia di diritto della parte civile al rimborso delle spese processuali quando le conclusioni sono rassegnate solo con "memoria", senza l'intervento in udienza, la giurisprudenza non è univoca. Da un lato si è affermato che nel giudizio di legittimità l'imputato non è tenuto al rimborso delle spese processuali in favore della parte civile che, dopo avere depositato una memoria con argomentazioni non decisive ai fini dell'esito del ricorso, non sia intervenuta nella discussione in pubblica udienza (Sez. 2, Sentenza n. 36512 del 16/07/2019, S., Rv. 277011; Sez. 5, Sentenza n. 47553 del 18/09/2015, G., Rv. 265918; Sez. 5, Sentenza n. 43484 del 07/04/2014, M., Rv. 261302). Dall'altro si è affermato che ha diritto ad ottenere la liquidazione delle spese processuali la parte civile che, nel giudizio di legittimità, pur non intervenendo alla discussione in pubblica udienza, depositi memorie conclusive e relativa nota spese, sulla base di quanto disposto dall'art. 541 cod. proc. pen., che prevede un obbligo generale di condanna dell'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile - in caso di accoglimento della domanda di restituzione o di risarcimento dei danni - svincolato da qualsiasi riferimento alla discussione in pubblica udienza (Sez. 2 - , Sentenza n. 12784 del 23/01/2020, T., Rv. 278834; Sez. 4, Sentenza n. 38227 del 21/06/2018 A., Rv. 273802; Sez. 5, Sentenza n. 6052 del 30/09/2015 dep. 2016, M., Rv. 266021) Il collegio ritiene, in primo luogo, che l'intervento della parte civile non debba necessariamente esprimersi attraverso l'intervento in udienza, dato che l'art, 614 cod. proc. pen. richiama l'art. 523 cod. proc. pen. (che appunto richiede la partecipazione in udienza della parte civile) solo nella parte in cui lo stesso regolamenta lo svolgimento della discussione, laddove è pacifico che l'udienza in cassazione prevede per tutte le parti private - e dunque anche per quella civile - la facoltà e non l'obbligo di comparire (Sez. 2, Sentenza n. 12784 del 23/01/2020, T., Rv. 278834, § 4.2.1.). In secondo luogo si condivide quanto già osservato dalla Cassazione circa il fatto che «l'art. 168 disp. att. cod. proc. pen. dispone l'applicazione, nel giudizio di cassazione, delle «disposizioni di attuazione relative al giudizio di primo grado» (così, testualmente ed inequivocabilmente, l'art. 168 disp. att. c.p.p.): in virtù di tale rinvio, deve ritenersi senz'altro richiamato anche l'art. 153 disp. att. c.p.p., a norma del quale, «agli effetti dell'articolo 541, comma 1, del codice, le spese sono liquidate dal giudice sulla base della "nota" che la parte civile presenta al più tardi insieme alle conclusioni»: al più tardi insieme alle conclusioni, ma quindi, inequivocabilmente, anche prima (ove si ritenga il contrario, la disposizione resterebbe priva di concreto significato)», in tal caso, senza partecipare alla discussione (Sez. 2, Sentenza n. 12784 del 23/01/2020, T., Rv. 278834, § 4.2.2). In sintesi: (a) la parte civile in cassazione non "deve" partecipare all'udienza, (b) la liquidazione delle spese dalla stessa non dipende dalla sua partecipazione in udienza, ma è correlata al deposito della "nota". Ciò detto, il collegio ritiene che per procedere alla liquidazione delle spese nei casi in cui la parte civile non partecipi all'udienza di discussione, occorre verificare che la stessa abbia dato un contributo effettivo - anche solo con la memoria - allo svolgimento del processo, non potendosi procedere alla liquidazione assenza di qualsivoglia contributo concreto, ovvero sulla base di una richiesta di liquidazione associata ad una memoria che non si confronta in alcun modo con i temi processuali.
2.2. Nel caso in esame la parte civile depositava una memoria con la quale si confrontava puntualmente con tutte le doglianze proposte dal ricorrente, offrendo un concreto contributo al contraddittorio processuale: si ritiene pertanto che l'imputato debba essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile "F. a. d. spa" (ora C. assicurazioni). Queste si liquidano - tenuto conto dei parametri vigenti - in complessivi euro 1500 oltre accessori di legge.
3.. Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in€ 3000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000.00 in favore della Cassa delle ammende. Condanna inoltre l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute, nel presente giudizio, dalla parte civile "F. a. d. spa" (ora C. assicurazioni) che liquida in complessivi euro 1500 oltre accessori di legge.