Secondo la Cassazione, non si può addebitare una responsabilità «da posizione» al responsabile della contabilità per il solo ruolo formale da lui rivestito, in quanto è necessario specificare la consistenza del contributo concorsuale.
La Corte d'Appello di Milano confermava la decisione di primo grado condannando a due di reclusione l'imputato che, in qualità di responsabile amministrativo e contabile di una società, aveva occultato la documentazione contabile in concorso con l'amministratore.
L'imputato propone ricorso per cassazione,...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa il 12 marzo 2018, la Corte di appello di Milano confermava la decisione del 24 luglio 2015, con la quale il G.i.p. del Tribunale di quella città aveva dichiarato, con rito abbreviato, G.D.M. responsabile del reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 216, primo comma, n. 2, 223, primo comma, R.d. 16 marzo 1942, n. 267, per avere, in concorso con M.I., amministratore della S.r.l. S.I., dichiarata fallita il 16 febbraio 2009, e nella qualità di Responsabile Amministrativo e Contabile della predetta società, occultato la documentazione contabile, e in particolare il libro giornale e le schede contabili riferite al periodo 1° settembre 1998 - 31 dicembre 2003. Il primo Giudice, ritenuta la continuazione tra il fatto giudicando, valutato come più grave, e i fatti giudicati con sentenza resa dal G.i.p. del Tribunale di Milano in data 20 settembre 2007 (irrevocabile il 3 febbraio 2008), concesse le attenuanti generiche e operato l'aumento ex art. 81 cpv. cod. pen., aveva condannato l'imputato, previa riduzione di un terzo per il rito, alla pena finale di due anni e due mesi di reclusione.
2. La Quinta sezione penale di questa Corte, con sentenza n. 33189 del 15 aprile 2019, annullava con rinvio la pronuncia della Corte d'appello per contraddittorietà della motivazione, con riferimento al ruolo svolto dall'imputato. La sentenza della Corte veniva, in particolare, censurata perché, da un lato, sembrava richiamare, in alcuni passaggi argomentativi, gli indici fondanti il ruolo di amministratore di fatto del D.M., in quanto "unico responsabile della contabilità" nella società S.I., oltre che nella S.r.l. T G. del medesimo gruppo, "che di fatto gestiva in maniera simultanea e coordinata"; dall'altro, in successivi brani della motivazione, al fine di ridimensionare la portata argomentativa insita nella circostanza che le irregolarità contabili erano iniziate ben prima (nel 1996) che lo stesso D.M. venisse assunto (nel 1998), con ruolo di mero dipendente, pareva delineare il ruolo dell'imputato in termini di concorso dell'extraneus nel reato dell'amministratore di diritto I.. Rammentava, al riguardo, la pronuncia rescindente che i presupposti ascrittivi della responsabilità, anche sotto il profilo soggettivo, erano diversi nel caso di bancarotta documentale commessa da un amministratore di fatto - occorrendo, oltre alla prova dello svolgimento del ruolo gestorio, il dolo specifico nel caso, come quello di specie, di occultamento delle scritture - dal caso di bancarotta commessa da un extraneus. Restava assorbito il profilo concernente l'illegalità sopravvenuta delle pene accessorie conseguente alla declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza del 5 dicembre 2018, n. 222.
3. Decidendo a seguito di rinvio, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rideterminava le pene accessorie della inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e dell'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa nella misura di anni cinque. Confermava, nel resto, la suddetta sentenza. Ribadita l'integrazione della materialità delle condotte di manipolazione e occultamento delle scritture contabili, evincibili dal contenuto della relazione redatta dal curatore fallimentare, dalla due diligence svolta da T.M. e dalle ammissione rese dallo stesso D.M., quanto al ruolo svolto da quest'ultimo, da esaminare alla luce delle censure mosse dal giudice di legittimità, affermava la Corte milanese che l'imputato doveva rispondere del reato nella qualità di concorrente extraneus, in linea con la formulazione del capo d'accusa (che non lo indicava come amministratore di fatto). Secondo gli elementi di prova a disposizione, non era, infatti, possibile sostenere, sulla base della sola qualifica formale dell'imputato, che egli avesse rivestito il ruolo di amministratore, benché circoscritto alla parte contabile. Le attività più strettamente connesse alle movimentazioni finanziarie, volte a creare un'apparente solidità della struttura patrimoniale, venivano, in realtà, svolte dal solo I., fra l'altro amministratore di tutte le società coinvolte. Non vi erano elementi sintomatici di una reale autonomia decisionale in ordine alla gestione da parte del D.M.; che egli potesse decidere, compiere atti di gestione o definire le condotte fraudolente costituiva un dato suffragato dal solo ruolo formale di "Responsabile amministrativo e contabile", ruolo che, tuttavia, non poteva apprezzarsi alla stregua di una presunzione iuris et de iure. Di conseguenza, l'imputato doveva essere considerato un soggetto estraneo all'attività amministrativa, seppure concorrente nel reato proprio dell'I.. A tale riguardo la Corte distrettuale evidenziava: che D.M. aveva rivestito un ruolo formale all'interno della società; che egli sapeva dell'assenza o della parzialità delle scritture contabili per il periodo in cui era stato carica; che era consapevole delle finalità fraudolente sottese alle modalità di tenuta delle scritture contabili, e cioè, non allarmare i terzi e danneggiare i creditori, come da lui stesso dichiarato. A fronte di tali elementi, non poteva prospettarsi l'inconsapevolezza tipica del dipendente, mero esecutore di direttive e incapace di comprendere il portato del proprio agire, come sostenuto dalla difesa. L'imputato, ad avviso della Corte di merito, non poteva non rappresentarsi le conseguenze della sua condotta ed in virtù di tale rappresentazione, ne aveva, comunque, accettato preventivamente il risultato. Pertanto, e in conclusione, andava confermata la sua responsabilità per il reato ascrittogli. Quanto alle pene accessorie di cui all'art. 216, ultimo comma, L.F., tenuto conto della gravità del fatto e della durata della condotta delittuosa perpetrata (oltre cinque anni), nonché dei precedenti a carico dell'imputato, la Corte di appello stimava adeguata l'indicazione di una durata di cinque anni.
4. Ha proposto ricorso per cassazione l'interessato, per il tramite del difensore di fiducia, sulla base dei seguenti motivi.
4.1. Erronea applicazione della legge penale (art. 223, primo comma, L.F.) in relazione alla qualificazione dell'imputato come extraneus con cui l'amministratore di diritto avrebbe concorso nell'elemento oggettivo del reato. Vizio di motivazione in riferimento al motivo d'appello fatto valere sul punto. Nel delineare il ruolo del D.M. come concorrente extraneus nel reato proprio dell'I., il giudice del rinvio palesava la prima contraddizione con la sentenza di primo grado che aveva confermato. A pag. 4 della sentenza n. 2300/2015, il G.i.p. del Tribunale di Milano, lungi dall'accennare alla eventuale adesione dell'imputato alle scelte imprenditoriali fraudolente dell'I., ne aveva elencato le mansioni (l'incarico di tenere la contabilità, di gestire lo scadenziario e di occuparsi personalmente di tutti i pagamenti), ritenendole, di per sé sole, sufficienti a fondare la sua penale responsabilità in ordine al reato ascrittogli. Gli aveva fatto eco la Corte di appello, che, con sentenza n. 1825/2018, aveva riaffermato che il D.M. era stato "il responsabile, con una funzione assorbente e rapportata direttamente con il consiglio di amministrazione delle due società del gruppo, T G. s.r.l. e S.I. s.r.l., della contabilità dell'una e dell'altra, che di fatto gestiva in maniera simultanea e coordinata" e, poco oltre, "da unico responsabile della contabilità, ha alterato la contabilità occultando le scritture contabili". Tali locuzioni, secondo la prospettazione della difesa del ricorrente, integravano la figura dell'amministratore di fatto, la condotta del quale doveva essere animata da dolo specifico. Tanto non constava nel caso di specie.
4.2. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in riferimento agli artt. 216 e 223 L.F. sotto il profilo della individuazione dell'elemento psicologico. La Corte di merito, descrivendo il ricorrente quale extraneus ed attribuendogli piena consapevolezza della "manomissione della contabilità" da parte dell'I., da cui aveva desunto che il D.M. non potesse "non rappresentarsi le conseguenze della sua condotta", non solo era andata di diverso avviso dal Procuratore generale (che aveva concluso per la conferma della sentenza impugnata in base al ruolo di amministratore di fatto svolto dall'imputato), ma contrastava con l'insegnamento della giurisprudenza in materia di dolo dell'extraneus, che richiede la consapevolezza dei propositi distrattivi dell'imprenditore o dell'amministratore di una società in dissesto e che l'agente fornisca a questi consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori o li assista nella conclusione dei relativi negozi, ovvero svolga un'attività diretta a garantire l'impunità o a rafforzare l'altrui progetto delittuoso (cita Sez. 5, n. 8276/2016). Ed invero, di tale vicinanza comportamentale e psicologica, nel rapporto fra i due coimputati, non solo mancava qualsiasi indizio, ma erano addirittura presenti prove contrarie, messe in luce nella sentenza di primo grado. Che nella decisione impugnata non se ne fosse fatta menzione era irrilevante, posto che l'unico elemento dissonante dalla pronuncia di primo grado era costituito dalle pene accessorie. Il G.i.p. di Milano, per giustificare la frazione di aumento di pena per la continuazione con reati giudicati con la sentenza n. 1841/2007, aveva affermato che la prova della identità del disegno criminoso era "desumibile non solo dal contesto temporale, ma altresì dalla sostanziale omogeneità delle condotte e dal perseguimento dell'unico scopo". La connessione con i fatti del 2007 tornava anche nella sentenza di appello poi annullata, dove assurgeva addirittura ad elemento fondante "la sussistenza dell'elemento materiale del reato nonché la sua attribuibilità all'imputato". Quella decisione, dopo aver indicato la relazione ex art. 33 L.F., aveva valorizzato la confessione resa dal D.M. a proposito di analoghe condotte tenute con riferimento alla società T-G.. Questa dichiarazione del ricorrente veniva richiamata anche nella sentenza ora impugnata, in modo tale che il collegamento tra le due società sarebbe valso a sostenere non solo l'applicabilità della continuazione, ma anche la pronuncia di condanna. Tale elemento, tuttavia, ad avviso della difesa, minerebbe la tenuta della decisione in esame, poiché in essa non si sarebbe dato conto dei seguenti tre elementi processuali con il primo dissonanti: a) la sentenza di "patteggiamento" n. 1841/2007 aveva chiuso a carico del solo D.M. una procedura cominciata da C. (socio di minoranza) contro I. per ammanchi riscontrati in T-G., dove l'ingegnere si era difeso addossando al contabile tutta la responsabilità e con ciò "guadagnandosi" una richiesta di archiviazione; b) la vicenda T-G., in cui D.M. aveva ammesso di essersi appropriato di somme, era ormai definita in modo irrevocabile e il giudicato formatosi denotava una situazione di conflitto di interessi, tra gli amministratori di diritto delle società del gruppo e il contabile, che appariva incompatibile con l'ipotesi del concorso pienamente adesivo del ricorrente nella condotta del Presidente del consiglio di amministrazione; c) in entrambe le società, il contabile era stato sempre alle dipendenze dirette dell'I., senza margini di manovra o autonomia decisionale. Sotto quest'ultimo profilo, la sentenza impugnata era inficiata, come le precedenti, da travisamento del fatto e difetto di motivazione: il ritenuto contributo causale alla realizzazione del fatto, per un mero dipendente sia pure incaricato di tenere la contabilità e i documenti fiscali dell'impresa, doveva considerarsi "pari a zero" nella misura in cui si doveva ammettere che costui non avesse alcun obbligo di segnalare eventuali illeciti e di impedirne la consumazione. Se nei due gradi di merito si era affermato che la sua posizione professionale, in ragione di compiti di collaborazione, provava la piena consapevolezza dei meccanismi illeciti, a prescindere dal fatto che fossero iniziati ben due anni prima della sua assunzione e fossero passati indenni dalle analisi prodromiche alle approvazioni dei bilanci, la Corte di legittimità doveva stigmatizzare l'esistenza di un salto logico tra "consapevolezza delle operazioni" e "concorso nella realizzazione" non solo oggettiva dei meccanismi fraudolenti. Che le società avessero molti rapporti fra loro, anche opachi, che le accomunasse lo stesso consiglio di amministrazione e lo stesso Presidente, e che D.M. si fosse occupato, da un certo momento in poi, della contabilità di entrambe, di per sé erano dati oggettivamente neutri, che non oltrepassavano per loro natura la qualifica di deboli indizi. L'assenza di ulteriori elementi concreti e la compresenza di notevoli fratture logiche andava meglio giustificata dalla Corte del rinvio.
4.3. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale e assenza di motivazione in ordine alla quantificazione delle pene accessorie. La pena accessoria era stata fissata in cinque anni sulla base di una motivazione apparente. D.M. aveva lavorato alle strette dipendenze dell'ing. I. e del dott. C. per cinque anni e per cinque anni aveva seguito le loro direttive da mero contabile. Il precedente a carico era rappresentato da un patteggiamento in una vicenda in cui aveva funto da capro espiatorio. S. Nella sua requisitoria, fatta pervenire in forma scritta ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Procuratore generale presso questa Corte ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, in quanto fondato su motivi generici e reiterativi di quelli già dedotti in appello e adeguatamente confutati.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.
2. La Corte di appello di Milano, quale giudice del rinvio ex art. 627 cod. proc. pen., era chiamata a sciogliere la contraddizione motivazionale rilevata dalla sentenza rescindente di questa Corte, menzionata in premessa, a proposito del ruolo rivestito dal D.M., in quanto unico responsabile della contabilità nella società S.I., amministrata dal coimputato I. e cioè se integrasse il profilo dell'amministratore di fatto o quello dell'extraneus concorrente nel reato dell'amministratore di diritto. Va ricordato che, secondo la costante lezione di questa Corte di legittimità, la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'art. 2639 cod. civ., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, significatività e continuità non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive - in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare - il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 45134 del 27/6/2019, B., Rv. 277540; Sez. 5, n. 35346 del 20/6/2013, T., Rv. 256534). La Corte di merito, con adeguata motivazione, ha escluso che la condotta del D.M. potesse caratterizzarsi secondo il paradigma appena descritto, osservando che le "attività più strettamente connesse alle movimentazioni finanziarie volte a creare un'apparente solidità della struttura patrimoniale venivano svolte dal solo I., che risultava essere tra l'altro l'amministratore di tutte le società coinvolte" e aggiungendo che mancavano gli elementi per sostenere, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l'imputato avesse reale autonomia decisionale in ordine alla gestione..." (pag. 5 della sentenza impugnata).
3. Dunque, ad avviso del Giudice del rinvio, doveva essere affermata la responsabilità dell'imputato nella sua qualità di extraneus, come responsabile amministrativo e contabile.
3.1. Individuata la qualità di extraneus concorrente nel reato dell'amministratore di diritto a titolo di responsabilità penale, il Giudice a quo non è, tuttavia, riuscito a chiarire in cosa sia consistito lo specifico contributo concorsuale apportato dal D.M. nel reato dell'amministratore I.. La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che concorre, in qualità di extraneus, nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, il legale o il consulente contabile che, consapevole dei propositi distrattivi dell'imprenditore o dell'amministratore di una società in dissesto, fornisca a questi consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori o li assista nella conclusione dei relativi negozi, ovvero svolga un'attività diretta a garantire l'impunità o a rafforzare, con il proprio ausilio e con le proprie preventive assicurazioni, l'altrui progetto delittuoso (Sez. 5, n. 18677 dell'8/2/2021, A., Rv. 281042; Sez. 5, n. 8276 del 6/11/2015, dep. 2016, C. e altro, Rv. 267724).
3.2. La Corte di merito non si è conformata all'insegnamento di questa Corte, addebitando al D.M. una sorta di responsabilità "da posizione" esclusivamente in forza del suo ruolo formale di responsabile amministrativo contabile, senza, tuttavia, specificare la consistenza causale del suo contributo concorsuale, ad esempio, in termini di "consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori" o di "assistenza nella conclusione dei negozi" o, ancora, di rafforzamento, "con il proprio ausilio e con le proprie preventive assicurazioni", dell'altrui progetto delittuoso.
3.2.1. I Giudici dell'appello, in definitiva, si sono limitati a descrivere una condotta oggettiva "staticamente" coincidente con il ruolo formale esercitato dal ricorrente, dalla quale hanno inteso, erroneamente, inferire - e con un salto logico - l'integrazione dell'elemento soggettivo del reato, senza rendersi conto che, in mancanza di una sufficiente specificazione del concreto "dinamico" contributo concorsuale apportato dall'extraneus nel reato dell'amministratore di diritto, la posizione soggettiva dell'imputato non avrebbe potuto in alcun modo travalicare il perimetro della mera connivenza non punibile.
4. Per le esposte ragioni, dovendo reputarsi inutile un (ulteriore) giudizio di rinvio, in mancanza di possibili integrazioni probatorie capaci di dar corpo a condotte mai emerse nei gradi di merito, ritiene il Collegio che debba pervenirsi a decisione di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per non avere l'imputato commesso il fatto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non avere l'imputato commesso il fatto.