Il soggetto sarebbe infatti costretto a scegliere se autoaccusarsi o accusare l'altra persona.
Il Giudice di Pace di Modena condannava l'imputata per il reato di lesioni colposelievi per aver determinato, alla guida di un'autovettura, la caduta a terra di un motociclista. La controversia giunge in Cassazione, dove l'imputata lamenta che nell'atto di querela la persona offesa aveva indicato come...
Svolgimento del processo
1.11 giudice di pace di Modena il 20 giugno 2019 ha riconosciuto A.M.D. responsabile del reato di lesioni colpose lievi, in conseguenza condannando la stessa, riconosciute le attenuanti generiche, alla pena pecuniaria di giustizia.
2. Il giudice di pace ha ritenuto che l'imputata il 31 luglio 2015, essendo alla guida di un'autovettura, abbia imboccato contromano una strada a senso unico, così violando l'art. 143 del d. lgs. n. 285 del 30 aprile 1992, e, in prossimità di una curva destrorsa, abbia creato turbativa alla regolarità della circolazione, in particolare costringendo C.P.B., il quale conduceva una moto sulla stessa strada nel senso corretto di marcia, ad una brusca frenata che ha consentito al motociclista di evitare l'impatto con l'auto ma che ne ha determinato la caduta a terra, con conseguenti lesioni ad una gamba.
3. Proposto tempestivamente appello da parte del difensore dell'imputata, il Tribunale di Modena con ordinanza del 22 maggio 202 ha riqualificato l'impugnazione in ricorso per cassazione, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte di legittimità. Si lamenta sia vizio di motivazione che erronea applicazione di legge. L'impugnazione, sottolineato in primo luogo l'atteggiamento della Difesa della parte civile, che si ritiene non propensa ad una definizione bonaria della controversia, lamenta la mancata assoluzione dell'imputata con la formula "per non avere commesso il fatto" ai sensi del comma 1 ovvero, in subordine, del comma 2 dell'art. 530 cod. proc. pen. Rammenta che nell'atto di querela la persona offesa ha indicato come vi fosse alla guida dell'auto un uomo, R.A., non una donna (l'imputata A.M.D.), donna che aveva visto sul sedile del trasportato anteriore. Si tratta di circostanza che - riferisce la ricorrente - è stata confermata a dibattimento da C.B. (di cui si riferisce una frase alla p. 3 del ricorso) e, sia pure indirettamente, da un testimone - che si stima essere l'unico indifferente - cioè P.T., che ha dichiarato che dalla interlocuzione con il motociclista cui ha assisto sembrava che il conducente dell'auto fosse l'uomo. Ciò posto, il giudice di pace ha - si stima del tutto illegittimamente ed erroneamente - convocato ex art. 507 cod. proc. pen. in qualità di testimone R.A., già compagno dell'imputata, essendosi nel frattempo interrotto il legame, per domandargli se fosse stato lui a commettere il reato di lesioni colpose, ottenendone - ovvia, si sottolinea nel ricorso - risposta negativa. Sulla base della negazione di A. - evidenzia A.M.D. - il giudice di pace ha ritenuto di poter affermare con sicurezza che le affermazioni del querelante circa l'identità del conducente siano mere suggestioni (p. 4 della sentenza). Si sottolinea la illegittimità per violazione del comma 2 dell'art. 198 cod. proc. pen. della introduzione quale testimone, nonostante l'opposizione della difesa, di persona, in realtà, indagata per lo stesso fatto e che non avrebbe potuto rispondere altrimenti, pena auto-accusarsi, con il risultato di una prova chiaramente inutilizzabile, oltre che proveniente da soggetto, per le ragioni esposte, del tutto inattendibile. Si evidenzia anche come la querela fosse espressamente rivolta, appunto, contro R.A. e che ciò avrebbe comportato necessariamente l'iscrizione dello stesso nel registro degli indagati; si assume inoltre che sulla copertina del fascicolo del P.M. si legga il nominativo R.A., benché interlineato, e che nello stesso fascicolo del P.M. si rinvenga una scheda di iscrizione nel modello c.d. 21-bis, firmata dal magistrato, del sig. R.A. quale indagato per il reato di cui all'art. 590 cod. pen., fatto commesso il 31 luglio 2015 (documenti all. nn. 1 e 2 all'impugnazione). La difesa di A.M.D., sul presupposto che una interlineatura non tenga luogo di un provvedimento formale di archiviazione, ritiene essere R.A. ancora formalmente indagato nel fascicolo del P.M.; in ogni caso, evidenzia la vistosa inattendibilità di A. stesso, «inchiodato all'alternativa fra autoaccusarsi ed accusare l'imputata» (così alla p. 6 dell'impugnazione) e ciò a fronte di una deposizione in udienza della persona offesa di segno contrario. Si segnala l'incoerenza motivazionale sia nell'attribuire ad una mera suggestione l'avere la parte lesa indicato come conducente l'uomo, anziché la donna, senza nemmeno ipotizzare una calunnia di B. nei confronti di A., sia nel trascurare che il "testimone/indagato" A. possa avere mentito per difendere sé ovvero per ostilità verso la sua ex compagna. In definitiva, ritenendosi violato il canone codicistico dell' "al di là di ogni ragionevole dubbio", si chiede l'annullamento dell'ordinanza con cui è stato disposto l'esame di R.A. e, in riforma della sentenza impugnata, l'assoluzione dell'imputata.
Motivi della decisione
1. L'impugnazione, in disparte i tratti derivanti dall'essere stata concepita come atto di appello, è fondata quanto alla questione di diritto che pone: il giudice di merito, infatti (pp. 3-4 della sentenza), ha fondato l'affermazione di penale responsabilità sulla deposizione di persona (R.A.), sentita come testimone e perciò obbligata, sotto comminatoria di sanzioni penali (artt. 372 cod. pen. e 497 cod. proc. pen.), a deporre su fatti dai quali sarebbe potuta però emergere una sua responsabilità penale. Risulta così, in ragione della domanda che - in concreto - è stata posta ad A. all'udienza del 6 giugno 2019, se cioè alla guida dell'auto al momento dell'incidente vi fosse lui o l'imputata, essere stato violato l'art. 198, comma 2, cod. proc. pen., secondo il quale «Il testimone non può essere obbligato a deporre a fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale». A ciò si aggiunga che il decidente non risulta avere tenuto conto che, dagli atti di indagine allegati al ricorso dalla Difesa emerge che, quantomeno in una prima fase, si è ipotizzata da parte del P.M. proprio a carico di R.A. la responsabilità per la violazione dell'art. 590 cod. pen., tema da esplorare opportunamente da parte del giudice di merito onde verificare, ove A. sia stato effettivamente indagato ovvero fosse da considerarsi comunque "indagabile", l'eventuale applicabilità della regola di cui all'art. 63, comma 2, cod. pen. («Se la persona doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate»). Infatti, secondo l'insegnamento - mai smentito - di Sez. U, n. 1282 del 09/10/1996, dep. 1997, Carpanelli ed altri, Rv. 206846, «Le dichiarazioni della persona che fin dall'inizio avrebbe dovuto essere sentita come indagata o imputata sono inutilizzabili anche nei confronti dei terzi, sempre che provengano da soggetto a carico del quale già sussistevano indizi in ordine al medesimo reato ovvero a reato connesso o collegato con quello attribuito al terzo, per cui dette dichiarazioni egli avrebbe avuto il diritto di non rendere se fosse stato sentito come indagato o imputato; restano invece al di fuori della sanzione di inutilizzabilità comminata dal secondo comma dell'art. 63 cod. proc. pen. le dichiarazioni riguardanti persone coinvolte dal dichiarante in reati diversi, non connessi o collegati con quello o quelli in ordine ai quali esistevano fin dall'inizio indizi a suo carico, poiché rispetto a questi egli si trova in una posizione di estraneità ed assume la veste di testimone; restano escluse altresì dalla sanzione di inutilizzabilità, alla stregua della "ratio" della disposizione, ispirata alla tutela del diritto di difesa, le dichiarazioni favorevoli al soggetto che le ha rese ed a terzi, quali che essi siano, non essendovi ragione alcuna di escludere dal materiale probatorio elementi che con quel diritto non collidono. (In motivazione la Corte ha inoltre chiarito che i casi di irregolarità di assunzione delle dichiarazioni di colui che viene sentito come indagato o imputato - omesso avviso al difensore o simili - esulano dalla disciplina dell'art. 63, secondo comma, cod. proc. pen. in quanto rientranti nella sfera delle nullità, riguardanti solo la persona nell'interesse della quale le formalità sono previste)». Le Sezioni semplici della S.C. hanno quindi precisato, prima, che «Le dichiarazioni rese da soggetto che doveva esser come persona sottoposta alle indagini sono inutilizzabili "erga om nes ". Ciò è reso evidente dal testo dell'art. 63 comma secondo cod. proc. pen. che nel sancire la sanzione "de qua" non pone, a differenza del comma primo la limitazione: "contro la persona che le ha rese". Trattasi di un deterrente introdotto dal legislatore contro ipotesi patologiche, in cui deliberatamente o colpevolmente si ignorano i già preesistenti indizi di reità nei riguardi dell'escusso, con periodo di dichiarazioni accusatorie, compiacenti e negoziate, a carico di terzi» (Sez. 5, n. 1892 del 17/12/1996, dep. 1997, B. C. ed altro, Rv. 207521) e, poi, che le dichiarazioni della persona che sin dall'inizio avrebbe dovuto essere sentita come indagata o imputata sono inutilizzabili anche nei confronti di terzi alla condizione che provengano da soggetto a carico del quale già sussistevano indizi in ordine al medesimo reato ovvero a reato connesso o collegato con quello attribuito al terzo (così, tra le numerose, Sez. 5, n. 474 del 26/01/1999, S., Rv. 213518; Sez. 1, n. 14582 del 26/10/1999, G., Rv. 216126; più recentemente, Sez. 2, n. 20936 del 07/04/2017, M., Rv. 270363).
2. Consegue, dunque, non essendo prescritto il reato, l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al giudice di pace di Modena - diversa persona fisica, che nel nuovo giudizio si atterrà ai criteri suindicati, eventualmente esaminando A. nelle forme prescritte e/o acquisendo ulteriori fonti di prova.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, al giudice di pace di Modena in diversa composizione.