L'intervento aveva finito, infatti, per gravare la corte comune di una servitù carraia a vantaggio della proprietà esclusiva del suo autore, comportando l'eliminazione dei posti auto che erano posti a ridosso del muro.
La Corte d'Appello di Venezia confermava la sentenza di primo grado, con la quale era stato accertato quanto segue:
- Che la corte era di proprietà comune sia agli attori sia ai convenuti, poiché accessoria alle loro proprietà e utile non solo per le unità che avevano accesso diretto alla stessa e che la usavano quale parcheggio, ma anche per quelle che...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
A. T., E. K., S. P., M. T., A. M. e L. K. hanno proposto ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza n. 1362/2016 della Corte d'Appello di Venezia, pubblicata in data 14 giugno 2016.
La M.G. di M. G. e C. s.a.s., F. B., G. R., A. F., J. V. e C. M. hanno notificato controricorso avverso il ricorso principale, contenente altresì ricorso incidentale articolato in un unico motivo. Per resistere al ricorso incidentale hanno notificato distinti controricorsi A. T., E. K., S. P., M. T., A. M. e L. K.; E. M. ed E. O.; F. Z. e L. Z..
F. s.r.l. (già N. s.r.l.) resiste con controricorso avverso entrambi i ricorsi principale ed incidentale.
Tutti gli altri intimati non hanno svolto attività difensive.
La Corte d'appello di Venezia, rigettando i contrapposti gravami, ha confermato la sentenza n. 791/2010 del Tribunale di Venezia, depositata il 12 aprile 2010, con la quale il giudice di primo grado aveva accertato: 1) che la corte individuata nel NCEU di Verona, (omissis), è di proprietà comune sia agli attori (omissis) che ai convenuti (omissis), in quanto accessoria alle loro proprietà, constatando come tale corte servisse indistintamente non solo le unità che alla medesima avevano accesso diretto, ma anche quelle che dalla stessa ricavavano luce ed aria, disattendendo così la domanda attorea volta ad ottenere l'accertamento della comproprietà per quote diverse tra alcuni soltanto dei soggetti in giudizio (in particolare: demanio militare al 45%; B.e BE. al 15%; M.G. di M. G. s.a.s. al 15%; G. unitamente a Y. s.r.l. al 18%; K. SA unitamente ai coniugi C. e K. al 7%); 2) l'illegittimità dell'abbattimento del muro che divideva la suddetta corte dalla proprietà esclusiva di K. SA (dante causa degli attuali ricorrenti e autrice dell'abbattimento) sul confine fra mappali 192, 191 e 556, conseguentemente condannando la K. SA ed suoi aventi causa alla rimessione in pristino.
La Corte d'appello di Venezia, nel respingere sia l'appello principale che gli appelli incidentali, ha rilevato che: 1) la decisione del Tribunale inerente alla illegittimità dell'abbattimento del muro si fondava non sulla presunzione di comproprietà del muro medesimo ai sensi dell'articolo 881 c.c., bensì sulla constatazione che l'intervento finiva per gravare la corte comune di una servitù carraia a vantaggio della proprietà esclusiva K. SA (in luogo di quella esclusivamente pedonale preesistente) e aveva comportato l'eliminazione dei posti auto a ridosso del muro; pertanto, l'accertamento della comproprietà del muro, passaggio logico incidentale ed imprescindibile, doveva ritenersi comunque "irrilevante, poiché K. e i suoi aventi causa sono stati condannati a ripristinare il muro non in quanto la prima ha demolito una cosa appartenente anche ad altri, ma in quanto ha modificato radicalmente lo stato dei luoghi confondendo proprietà esclusiva e proprietà comune sulla corte a proprio vantaggio";
2) la corte era stata correttamente ritenuta comune a tutte le parti, non avendo gli attori in primo grado prodotto titolo idoneo a superare la presunzione dell'articolo 1117 c.c. e non essendo possibile distinguere tra chi usava la corte come parcheggio, avendo alla medesima accesso diretto, e chi, invece, della corte faceva un uso solo mediato come spazio da cui ricavare luce ed aria.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, e 380 bis.1, c.p.c.
Hanno depositato memorie: A. T.i , E. K., S. P., M. T., A. M. e L. K.; la M.G. M. G. e C. s.a.s., F. B., G. R., A. F., J. V. e C. M.; F. Z. e L. Z.; la F. s.r.l.
1)11 primo motivo del ricorso principale denuncia la nullità della sentenza per vizio di motivazione ex art. 132 n. 4 c.p.c., in relazione all'art. 111 Cost. I ricorrenti principali lamentano il fatto che, pur avendo i giudici dell'appello ammesso il mancato accertamento della (com)proprietà del muro, gli stessi abbiano tuttavia ritenuto tale circostanza inidonea a modificare nella sostanza la decisione relativa al ripristino, posto a carico di chi il muro aveva illegittimamente abbattuto. Secondo i ricorrenti principali sarebbe stata proprio l'asserita comproprietà del muro ex art. 881 c.c. a fondare la decisione del Tribunale circa l'illegittimità dell'abbattimento e la condanna alla rimessione in pristino dei convenuti in primo grado. Il primo motivo del ricorso principale denuncia plurime contraddittorietà che emergerebbero dalla sentenza impugnata (pagine da 15 a 26). La censura denuncia, infine, l'errata applicazione degli articoli 1102 e 1120 c.c., nonché dell'articolo 1118 c.c., in quanto il pregiudizio arrecato alla corte comune doveva essere accertato in concreto e non desunto dal mero rilievo della eliminazione di alcuni posti auto a ridosso del muro abbattuto. Tale pregiudizio avrebbe dovuto quindi valutarsi a prescindere dalla legittimità dell'abbattimento del muro, con esclusivo riguardo all'uso più o meno intenso che i comproprietari potevano fare della corte comune. I giudici di appello hanno poi ritenuto che dall'abbattimento del muro sia derivata la costituzione di una servitù di passo carraio, mentre il Tribunale aveva espressamente escluso che tra proprietà esclusiva e la proprietà comune confinante potesse sussistere una relazione di servitù.
Il secondo motivo del ricorso principale allega nuovamente la violazione degli articoli 1102, 1120 e 1118 c.c. per il rigetto del terzo motivo di appello. La sentenza impugnata avrebbe mancato di considerare che al singolo partecipante alla comunione spetta il diritto di servirsi della cosa comune anche a fini esclusivamente personali, traendone ogni possibile utilità, non comportando il maggior uso della res comune alcuna imposizione di servitù sulla medesima, dal momento che "il vantaggio della cosa propria rientra nei poteri di godimento inerenti al dominio". Su queste premesse, i ricorrenti principali affermano che la Corte di Venezia avrebbe dovuto valutare nel merito la legittimità dell'abbattimento del muro.
II. L'unico motivo del ricorso incidentale ha ad oggetto la falsa applicazione dell'articolo 1117 c.c. e censura la sentenza d'appello nella parte in cui ha confermato quanto statuito dal Tribunale in merito alla proprietà della corte per cui è causa, ritenendola comune a tutte le parti in giudizio. I ricorrenti incidentali lamentano che la Corte di Venezia abbia dato rilievo ai soli elementi catastali rilevati dal CTU e non anche agli atti di trasferimento delle proprietà che lo stesso ausiliario aveva indicato nel dettaglio, partendo dal 1922. La sentenza di appello si è limitata a ribadire che nel Catasto Austriaco la corte in questione veniva descritta come "priva di rendita e priva di possessore" e che in nessuno dei passaggi di proprietà che avevano interessato gli edifici circostanti la medesima corte fosse stata menzionata come appartenente all'uno o all'altro. I ricorrenti incidentali richiamano così gli atti di compravendita attestanti i vari passaggi di proprietà, inerenti agli edifici circostanti la corte ed esaminati dal CTU, per concludere che, dall'analisi dei titoli e dalle stesse risultanze peritali, rispecchiate perfettamente da quanto attestato dall'UTE, i giudici del merito avrebbero dovuto rilevare come la corte in questione fosse di proprietà comune non a tutte le parti in causa, ma ai soli soggetti specificati dai titoli di acquisto.
III. Il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno decisi congiuntamente, in quanto le rispettive censure si pongono in prospettiva diametralmente opposta ed impongono una risposta coordinata.
111.1. Innanzitutto non ricorre la nullità della sentenza, per violazione dell'art. 132, n. 4, c.p.c., ipotizzata nel primo motivo del ricorso principale. La sentenza della Corte d'appello di Venezia contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione. La riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012, rende denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e che si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
La Corte d'appello ha chiarito le ragioni per cui, a suo avviso, l'accertamento della proprietà comune o meno del muro abbattuto non incidesse sulla legittimità dell'ordine di riduzione in pristino, pronunciato sul presupposto che tale abbattimento comportasse un'alterazione della normale destinazione della corte comune. La domanda, di natura reale, azionata in base al disposto dell'art. 1102 c.c., ha quale fine il ripristino dello "status quo ante" della cosa comune illegittimamente alterata. La sentenza impugnata ha così affermato che l'attuazione della tutela reale richiesta vedeva quale legittimata passiva la società K., in quanto autrice dell'opera. Il primo motivo del ricorso principale non contiene, peraltro, una specifica censura che denunci la violazione dell'art. 354 c.p.c. in relazione all'art. 102 c.p.c., né indica altri soggetti che avrebbero dovuto partecipare al giudizio ai fini dell'integrità del contraddittorio, e tanto meno documenta titoli che attribuiscano ai soggetti pretermessi la qualità di litisconsorti.
III.2. Deve poi passarsi all'esame del ricorso incidentale, anch'esso infondato.
III.2.1. Si ha riguardo a complesso condominiale che sembra sorto nella vigenza del Codice civile del 1865 (il CTU sarebbe risalito a titoli del 1922). Ad esso torna applicabile comunque l'art. 1117 c.c. del 1942. Invero, anche secondo il Codice civile del 1865, in forza dell'art 562 (che poneva "a carico di tutti i proprietari" le "riparazioni e ricostruzioni" delle "cose comuni"), nel silenzio dei titoli di proprietà, dovevano presumersi di proprietà comune tutte le entità strutturali e le parti di un edificio in condominio, che fossero destinate all'uso comune (e . Cass. Sez. 2, 09/10/1972, n. 2964; Cass. Sez. 2, 30/01/1969, n. 267). La disciplina della comunione e del condominio negli edifici dettata dal Codice del 1865, in difetto di espressa disposizione transitoria, è da intendere abrogata dal Codice civile del 1942, il quale disciplina compiutamente l'intera materia, sicché l'attribuzione delle parti comuni viene ad essere regolata dall'art. 1117 c.c. vigente, le cui disposizioni, per le ragioni richiamate sopra, si applicano anche agli edifici costruiti prima dell'entrata in vigore del nuovo testo (così Cass. Sez. 2, 15/06/1998, n. 5948).
111.2.2. La causa verte, per quanto accertato in fatto, su di un cortile posto tra i corpi di fabbrica di più edifici.
Per consolidata interpretazione giurisprudenziale, viene inteso, allora, come cortile, ai fini dell'inclusione nelle parti comuni dell'edificio elencate dall'art. 1117 c.c., qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti, o che abbia anche la sola funzione di consentirne l'accesso (Cass. Sez. 2, 15/02/2018, n. 3739; Cass. Sez. 2, 02/08/2010, n. 17993; Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14559; Cass. Sez. 2, 29/10/2003, n. 16241).
La presunzione legale di comunione, stabilita dall'art. 1117 c.c., si reputa inoltre operante anche nel caso di cortile strutturalmente e funzionalmente destinato al servizio di più edifici limitrofi ed autonomi, tra loro non collegati da unitarietà condominiale (così, ad esempio, Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14559; Cass. Sez. 2, 24/05/1972, n. 1619).
La sentenza impugnata ha confermato la decisione di primo grado affermativa della natura comune della corte per cui è causa in favore di tutte le parti, non avendo gli attori prodotto titolo idoneo a superare la presunzione dell'articolo 1117 c.c. e non essendo possibile distinguere tra chi usava la corte come parcheggio, avendo alla medesima accesso diretto, e chi, invece, della corte faceva un uso solo mediato come spazio da cui ricavare luce ed aria.
Nella specie, giudici del merito hanno quindi svolto l'accertamento preliminare volto, mediante apposito apprezzamento di fatto, a verificare l'obiettiva destinazione primaria del cortile di causa a dare aria, luce ed accesso al servizio delle unità immobiliari dei contendenti. Una volta così verificata, in ragione della relazione di accessorietà tra i beni, l'applicabilità dell'art. 1117 c.c., occorreva individuare, per superare eventualmente la presunzione di condominialità, quel determinato titolo che aveva dato luogo alla formazione del condominio per effetto del primo frazionamento del complesso in proprietà individuali.
111.2.3. La censura contenuta nel ricorso incidentale è articolata come falsa applicazione dell'art. 1117 c.c. ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Questo vizio esige che sia prospettata l'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una determinata previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stesse, oppure la sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perché la fattispecie astratta prevista dalla norma indicata non è idonea a regolarla, oppure l'aver tratto dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione.
In realtà, il motivo di ricorso incidentale, incentrato da pagina 19 a pagina 28 su una minuziosa elencazione delle vicende derivative dominicali attinenti agli immobili che affacciano sul cortile, è volto dichiaratamente a sostenere l'erroneità dell'accertamento di fatto operato dalla Corte d'appello, secondo il quale l'originario unico titolare del compendio non aveva dapprima riservato a sé e poi trasferito soltanto ad alcuni la proprietà dell'area in contesa. In tal modo, i ricorrenti incidentali allegano un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, questione che è esterna all'esatta interpretazione dell'art. 1117 c.c. e inerisce alla tipica valutazione di fatto del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità se non nei limiti dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
Il ricorso incidentale, in ogni caso, esprime critiche anche sprovviste di evidente decisività ai fini della cassazione della sentenza impugnata.
Non è invero dirimente il riferimento ai vari titoli di acquisto fatto nello stesso ricorso incidentale. Per quanto detto, era piuttosto da accertare nel titolo originario una eventuale chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente all'iniziale unico titolare del complesso la proprietà del cortile, di modo che lo stesso avrebbe poi potuto validamente disporre del bene in favore dei propri aventi causa. La mancata prova al riguardo resta a carico di coloro che pretendono l'appartenenza esclusiva del bene compreso tra quelli elencati dall'art. 1117 c.c.: in difetto di tale prova, infatti, deve essere affermata l'appartenenza del suddetto bene indistintamente a tutti i condomini (Cass. Sez. 2, 17/02/2020, n. 3852; Cass. Sez. 2, 07/05/2010, n. 11195; Cass. Sez. 2, 18/04/2002, n. 5633; Cass. Sez. 2, 15/06/2001, n. 8152; Cass. Sez. 2, 04/04/2001, n. 4953).
111.2.4. E' poi infondato altresì il secondo motivo del ricorso principale.
La Corte d'appello di Venezia ha sostenuto che l'abbattimento del muro realizzato dalla condomina K. SA fosse illegittimo perché creava a carico della corte comune un passaggio carrabile a vantaggio della proprietà esclusiva K. in luogo di quello esclusivamente pedonale preesistente e comportava l'eliminazione dei posti auto a ridosso del muro stesso.
Il ragionamento decisorio ha dunque ritenuto che la proprietà K., stando al pregresso stato dei luoghi, potesse utilizzare il cortile unicamente per finalità di accesso pedonale, mentre, in conseguenza della modifica realizzata demolendo il muro, sarebbe risultata alterata l'originaria destinazione, consentendo alla medesima comproprietaria di avvalersi dell'area anche per accedervi mediante veicoli e sacrificando alcuni posti dapprima utilizzati come parcheggio. A tal fine, non rileva decisivamente accertare se il muro di recinzione fosse, o meno, comune, alla stregua dell'art. 881 c.c.
La decisione della Corte di Venezia è conforme all'orientamento di questa Corte, secondo il quale la cosa comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c., può essere utilizzata dal condomino anche in modo particolare e diverso dal suo normale uso se ciò non alteri l'equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni attuali o potenziali degli altri e non determini pregiudizievoli invadenze dell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari. Pertanto, la demolizione di un muro volta a facilitare l'accesso sul cortile comune è legittima solo se realizzata in modo da non pregiudicare né la normale funzione del cortile, che è di regola, quella di fornire aria e luce agli immobili circostanti, né le possibilità di utilizzazione particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini (ad esempio, Cass. Sez. 2, 11/01/1993, n. 172; cfr. Cass. Sez. 2, 05/01/2000, n. 42; Cass. Sez. 2, 05/02/1982, n. 674). Trattandosi, nella specie, di accesso creato in favore di fondo collegato ex art. 1117 c.c. alla comproprietà del cortile, è giusto precisare che, proprio perché ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, il condomino che si serve dell'area cortilizia nel rispetto della sua destinazione, per ricavarne maggiore vantaggio nel godimento di un'unità immobiliare già strutturalmente e funzionalmente collegata al bene comune, come presuppone l'art. 1117 c.c., lo fa nell'esercizio del diritto di condominio e non avvalendosi di una servitù. Viceversa, dall'uso della cosa comune a favore del fondo di proprietà esclusiva oltre limiti segnati dall'art. 1102 c.c. può discendere, nel concorso degli altri requisiti di legge, l'usucapione di una servitù a carico della proprietà condominiale (cfr. Cass. Sez. 2, 13/08/1985, n. 4427).
Occorre comunque ribadire che, ove, come nella specie, il cortile comune sia munito di un muro di recinzione che lo separi da una proprietà esclusiva, il condomino proprietario di questa può apportare a tale muro tutte le modifiche che gli consentono di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini e, quindi, procedere anche all'apertura di un più ampio varco di accesso dal cortile condominiale alla sua proprietà esclusiva, purché tale varco non impedisca agli altri condomini di continuare ad utilizzare il cortile come in precedenza.
L'accertamento del superamento dei limiti imposti dall'art. 1102 c.c. al condomino, che si assuma abbia alterato, nell'uso della cosa comune, la destinazione della stessa, ricollegandosi all'entità e alla qualità dell'incidenza del nuovo uso, è comunque riservato al giudice di merito e, come tale, non è censurabile in sede di legittimità.
IV. Consegue il rigetto sia del ricorso principale che del ricorso incidentale.
Le spese del giudizio di cassazione vengono regolate con la compensazione delle stesse nei rapporti fra ricorrenti principali e ricorrenti incidentali, in ragione della reciproca soccombenza; con la condanna in solido dei ricorrenti incidentali a rimborsare le stesse, negli importi liquidati in dispositivo, ai controricorrenti E. M. ed E. O., nonché F. Z. e L. Z.; con la condanna in solido dei ricorrenti principali ed incidentali a rimborsare le spese, nell'importo liquidato in dispositivo, alla controricorrente F. s.r.l.
Non deve provvedersi al riguardo per gli altri intimati che non hanno svolto attività difensive.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - da parte dei ricorrenti principali ed incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per le rispettive impugnazioni, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso ed il ricorso incidentale; compensa le spese del giudizio di cassazione nei rapporti fra i ricorrenti principali ed i ricorrenti incidentali; condanna in solido i ricorrenti incidentali al pagamento in favore dei controricorrenti E. M. ed E. O. delle spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 2.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge; condanna in solido i ricorrenti incidentali al pagamento in favore dei controricorrenti F. Z. e L. Z. delle spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 2.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge; condanna in solido i ricorrenti principali ed i ricorrenti incidentali al pagamento in favore della controricorrente F.
s.r. I. delle spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 2.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali ed incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.