
Qualora, peraltro, il provvedimento di rigetto sia stato oggetto di ricorso giurisdizionale, tale termine decorre dal momento in cui il giudizio risulta definito.
La ricorrente agiva nelle vesti di erede del coniuge ai fini dell'accertamento del diritto alla restituzione delle somme versate a titolo di oblazione con riferimento a due pratiche di condono edilizio presentate dal marito defunto.
A tal fine, ella dichiarava che le due domande erano state respinte con determine dirigenziali e che, dopo avere impugnato entrambi i provvedimenti di rigetto dinanzi al TAR, provvedeva alla demolizione dei manufatti ritenuti insanabili dal Comune, rinunciando all'impugnativa giurisdizionale proposta.
Infine, come anticipato, ella domandava la restituzione delle somme versate a titolo di oblazione, oltre agli interessi, sostenendo che alla fattispecie in esame si applicasse il termine di prescrizione decennale.
Con la sentenza n. 682 del 20 gennaio 2022, il TAR Lazio dichiara il ricorso fondato, rilevando innanzitutto come alla fattispecie in esame si applichi il termine di prescrizione ordinario e non quello triennale invocato dall'Amministrazione resistente. Tale termine triennale, infatti, si applica solo nei casi espressamente disciplinati, cioè quelli delle somme dovute a conguaglio derivanti dal silenzio-assenso sulla domanda di sanatoria.
Da ciò discende l'inapplicabilità del termine breve nelle ipotesi in cui il procedimento di condono sia stato definito con provvedimento di rigetto, come nel caso di specie. In tali casi, l'azione per la ripetizione di quanto versato si prescrive entro 10 anni, i quali decorrono dal momento in cui l'Amministrazione adotta il provvedimento di rigetto del condono.
Tuttavia, se, come nel caso in esame, il suddetto provvedimento sia stato oggetto di ricorso giurisdizionale, il termine comincerà a decorrere dal momento in cui il giudizio risulta definito.
Per le ragioni esposte, la ricorrente ha diritto ad ottenere la restituzione di quanto versato a titolo di oblazione, mentre in relazione agli interessi legali, il TAR ribadisce quanto già affermato dalla Corte di Cassazione: «nell'ipotesi d'azione di ripetizione d'indebito oggettivo,
TAR Lazio, sez. II, sentenza (ud. 11 gennaio 2022) 20 gennaio 2022, n. 682
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
La signora Silvana Terracciano, odierna ricorrente, agisce per l’accertamento del diritto alla restituzione delle somme da essa versate, quale erede del coniuge, a titolo di oblazione in relazione a due pratiche di condono edilizio presentate dal defunto marito.
A tal fine rappresenta che le due domande, n. 196080 di protocollo del 27 settembre 1986 e n. 88271 di protocollo del 3 marzo 2004, sono state, rispettivamente, respinte con determine dirigenziali n. 92 e n. 87 del 21 marzo 2005.
La ricorrente evidenzia poi come, dopo aver impugnato i due provvedimento di rigetto di condono davanti al Tar, in seguito demoliva i manufatti ritenuti non sanabili dal Comune e rinunciava all’impugnativa giurisdizionale proposta.
Da ultimo espone di aver domandato, con lettera raccomandata inviata il 16 maggio del 2014, la restituzione delle somme versate a titolo di oblazione, oltre interessi da calcolarsi dalla data dei singoli pagamenti al saldo, e di aver reiterato la richiesta in data 22 maggio 2015.
Nel merito la ricorrente sostiene che alla fattispecie in esame si applichi il termine decennale di prescrizione anziché quello triennale, di cui all’art. 35 L. n. 47/1985, che trova, invece, applicazione esclusivamente nelle ipotesi di silenzio-assenso formatosi sulla domanda di sanatoria edilizia e non, come nel caso di specie, nelle ipotesi di diniego espresso sulle istanze di condono.
L’Agenzia delle entrate, costituita in giudizio, ha chiesto il rigetto del ricorso.
All’udienza dell’1 gennaio 2022, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Il ricorso è fondato e va accolto.
In primo luogo occorre rilevare come alla fattispecie in esame si applichi il termine ordinario decennale di prescrizione e non quello triennale, previsto dall’art. 35, co. 17, della l. n. 47/1985, invocato dall’Amministrazione resistente nei suoi scritti difensivi.
La disposizione richiamata, infatti, stabilisce che “decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest’ultima si intende accolta ove l’interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all’accatastamento. Trascorsi trentasei mesi si prescrive l’eventuale diritto al conguaglio o al rimborso spettanti”.
Come costantemente rilevato in giurisprudenza, dunque, il detto termine triennale di prescrizione trova applicazione nel solo caso ivi espressamente disciplinato, ossia quello di somme dovute a conguaglio, scaturenti dal silenzio-assenso sulla domanda di sanatoria
Ne discende, attesa la sostanziale specialità della norma, l’inapplicabilità del termine breve ai casi in cui, come quello in esame, il procedimento di condono si sia definiti con provvedimento di rigetto.
In tali ipotesi, in cui il diniego importa l’insorgere di un diritto al rimborso di oneri indebitamente versati, l’azione per la ripetizione di quanto versato si prescrive nell’ordinario termine decennale (cfr. (cfr., ex multis, Tar Sicilia, Catania, 30 novembre 2021, n. 3581, Tar Puglia, Bari, sez. I, 24 maggio 2018, n. 753, Tar Lazio, Roma, sez. II, 5 maggio 2014, n.4629).
Tale termine decorre, ordinariamente, dal momento in cui l’Amministrazione adotta il provvedimento di rigetto del condono.
Laddove tuttavia, come nel caso in esame, il provvedimento di diniego sia fatto oggetto di ricorso giurisdizionale, il termine, come sostenuto dalla ricorrente con memoria depositata in data 9 dicembre 2021, comincerà a decorrere dal momento in cui il giudizio risulti definito, ciò che nel caso in esame è avvenuto il 13 dicembre 2011, a mezzo di notifica, da parte della signora Terracciano, della rinuncia al ricorso, a cui è conseguita l’estinzione del giudizio.
Come già osservato in giurisprudenza, infatti, in caso di contestazione del provvedimento di diniego di condono in sede giurisdizionale, il termine di prescrizione del diritto al rimborso, in applicazione del noto principio “Contra non valentem agere non currit praescriptio”, comincia a decorrere solo dal momento della definizione del giudizio intrapreso (cfr. Tar Campania, Salerno, 25 marzo 2010, n. 2338).
E infatti, sino alla definizione, ancorché in rito, del ricorso avverso il diniego di condono, persiste una oggettiva incertezza in ordine alla spettanza o meno, al ricorrente, del diritto di rimborso, diritto che, in caso di accoglimento del ricorso, potrebbe risultare non sussistente o ricorrente in misura minore.
L’eventuale presentazione di una domanda di restituzione dell’oblazione in pendenza di gravame, inoltre, potrebbe essere interpretata come una sostanziale acquiscenza al diniego di condono, influendo sulla stessa procedibilità dell’azione di annullamento pendente davanti al giudice amministrativo.
Il termine di prescrizione decennale, che aveva quindi cominciato a decorrere dal marzo 2011, non era evidentemente decorso al momento della presentazione della relativa domanda all’Agenzia delle Entrate, avvenuta in data 22 maggio 2015.
La ricorrente ha dunque diritto ad ottenere la restituzione di quanto versato a titolo di oblazione.
Circa la data di decorrenza degli interessi legali sulle somme a restituirsi va rimarcato, come chiarito dalla Suprema Corte, che: “nell'ipotesi d'azione di ripetizione d'indebito oggettivo, ex art. 2033 c.c., il debito dell'accipiens, a meno che egli non sia in mala fede, produce interessi solo a seguito della proposizione di un’apposita domanda giudiziale, non essendo sufficiente un qualsiasi atto di costituzione in mora del debitore, atteso che all'indebito si applica la tutela prevista per il possessore in buona fede - in senso soggettivo - dall'art. 1148 c.c., a norma del quale questi è obbligato a restituire i frutti soltanto dalla domanda giudiziale, secondo il principio per il quale gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della proposizione della domanda. Sicché l'art. 2033 c.c., applicabile anche nel caso in cui sia sopravvenuta la causa che renda indebito il pagamento, esclude che la decorrenza degli interessi possa essere anticipata rispetto al momento della proposizione della domanda giudiziale” (cfr. Cass. S.U. 25 giugno 2009, n. 14886).
L’Amministrazione deve quindi essere condannata alla restituzione in favore del ricorrente dell’importo, illegittimamente denegato, oltre interessi legali dalla data della domanda giudiziale (da intendersi come data di notificazione del ricorso introduttivo) al saldo, in applicazione dell'art. 2033 del codice civile, in materia di indebito oggettivo di buona fede.
La peculiarità della vicenda giustifica la compensazione tra le parti delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto condanna l'amministrazione finanziaria intimata al rimborso della somma di cui all'istanza di restituzione avanzata dalla ricorrente unitamente agli interessi legali dalla data della notifica del ricorso introduttivo e sino al soddisfo.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.