Gli Ermellini affermano un nuovo principio di diritto stabilendo i limiti della valutazione del giudice del rinvio in una controversia avente ad oggetto l'espropriazione di un fondo e la determinazione dell'indennità dovuta.
Con l'ordinanza n. 2115 del 25 gennaio 2022, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e afferma il seguente principio di diritto: «In materia di espropriazione per pubblica utilità, a seguito della cassazione ad opera del giudice di legittimità del capo della decisione di merito che attiene alla stima del fondo...
Svolgimento del processo
Con atto notificato in data 24/07/2000 I.C. e C.G. convenivano avanti alla Corte d'Appello di Firenze il Comune di Piombino, esponendo di essere proprietari di terreni situati in località Populonia Stazione e censiti nel N.C.T. al foglio 4 part. 6, per i quali detto Comune con Decreto dirigenziale del 15/04/1999 aveva comunicato l'occupazione d'urgenza per la realizzazione di verde pubblico attrezzato, precisando che con successivo decreto dell'11/05/1999 il medesimo Comune aveva offerto un'indennità di lire 23.087.487 elevabile a lire 38.479.145 in caso di cessione bonaria. Chiedevano pertanto, non avendo accettato l'offerta, la determinazione della giusta indennità senza la riduzione del 40%, oltre agli interessi ed al maggior danno ai sensi dell'art. 1224 c.c.. Si costituiva in giudizio il Comune il quale, dopo aver osservato che il terreno era stato espropriato successivamente all'instaurazione del presente giudizio, chiedeva il rigetto delle domande, ritenendo adeguata all'effettivo valore la stima del terreno operata, tenuto conto della notevole compromissione del suo utilizzo a causa delle ridotte dimensioni dell'area e sostenendo che, in ogni caso, l'ammontare dell'indennità dovesse ridursi al valore dichiarato ai fini ICI prima dell'occupazione d'urgenza. All'esito del giudizio, nel quale veniva espletata consulenza tecnica d'ufficio, la Corte d'Appello determinava in lire 204.000.000 l'indennità di esproprio e in lire 6.930.410 l'indennità di occupazione, ordinando al Comune il deposito presso la Cassa DD.PP. della differenza fra quanto dovuto e quanto eventualmente già depositato, oltre agli interessi dal 24/07/2000. Avverso tale sentenza il Comune di Piombino ha proposto un primo ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura. Il giudice di legittimità (Cass., Sez. 1, n. 10867 dell'11/05/2007) ha accolto il primo motivo di impugnazione e, assorbito il secondo e rigettato il terzo, ha cassato con rinvio la decisione della Corte d'appello. Con il motivo di ricorso accolto, il Comune aveva denunciato l'insufficiente e contraddittoria motivazione della decisione, lamentando che la Corte d'appello, nell'aderire alla valutazione del bene operata dal CTU, non avesse considerato che erano stati combinati due parametri fra loro inconciliabili in quanto, da un lato, era stato applicato l'elevato indice di fabbricabilità (1,5 mc/mq) previsto mediamente nella zona e, dall'altro, erano stati presi a riferimento i prezzi di vendita degli appartamenti realizzati nell'area vicina, il cui indice era più basso (0,44 mc/mq). Nel ritenere fondata la censura, questa Corte ha rilevato che il giudice di merito, «ai fini della valutazione del terreno di natura edificabile e della conseguente determinazione delle richieste indennità», aveva seguito il criterio adottato dal CTU - il quale, in primo luogo, con metodo analitico aveva calcolato il valore del terreno limitrofo su cui erano state realizzate delle unità abitative e, successivamente, si era avvalso del valore ottenuto per determinare con metodo comparativo quello del terreno espropriato - facendosi poi carico delle obiezioni del Comune, il quale aveva sostenuto l'impossibilità, in presenza di terreni aventi diversi indici territoriali (1,5 mc/mq del terreno espropriato a fronte dello 0,44 mc/mq del terreno limitrofo), di operare una comparazione senza un'adeguata riduzione, in considerazione della minore incidenza, in tal caso, del valore dell'area espropriata rispetto a quella limitrofa. La Corte d'appello aveva così implicitamente riconosciuto in astratto la correttezza delle critiche del Comune, che ha, poi, disatteso solo perché aveva erroneamente ritenuto che detta riduzione fosse stata effettivamente operata, in quanto il valore degli appartamenti realizzabili sul terreno espropriato (€ 1.962,54 al mq.) era stato determinato in misura inferiore rispetto ai prezzi praticati per le unità abitative costruite sul terreno limitrofo (€ 2.685,58-2.995, 45 al mq), mentre invece dalla CTU si evinceva che i prezzi di vendita delle vicine unità abitative erano stati indicati nel minore (e non maggiore) importo di lire 3.800.000 al mq. Riscontrato il dedotto vizio di motivazione, questa Corte ha, dunque, cassato la decisione impugnata, spiegando che il giudice avrebbe dovuto procedere ad una nuova valutazione del terreno espropriato anche avvalendosi delle risultanze già acquisite purché, in tal caso, desse una logica e corretta motivazione dell'applicazione del metodo comparativo in presenza di fondi aventi distinti indici territoriali. Riassunto il giudizio dagli attuali ricorrenti, la Corte d'appello ha disposto una nuova CTU su un iniziale quesito («determini l'indennità di occupazione e di esproprio, anche sulla scorta di quanto già accertato nella relazione Ing. G.S.S., depositata 1.08.02.2002, procedendo ad una nuova valutazione al fine di accertare in che misura il valore assunto quale parametro di comparazione (prezzo degli appartamenti realizzati sula vicina area della Soc. Lo Scalo) debba essere ridotto in relazione all'indice di edificabilità ed in rapporto al reale prezzo di compravendita degli appartamenti stessi»), successivamente integrato («valuti comunque alla stregua della reale situazione di fatto ed in conseguenza della decisione della Corte costituzionale quale sia il valore venale del medesimo»). All'udienza dell'11/11/2014, i ricorrenti hanno eccepito la nullità della CTU, chiedendone la rinnovazione, e il Collegio ha stabilito che le parti articolassero in comparsa conclusionale i loro argomenti, trattenendo la causa in decisione. Con la sentenza in questa sede impugnata, la Corte d'appello ha determinato complessivamente in € 31.405,00 le somme dovute per l'occupazione d'urgenza e per l'esproprio, condannando gli espropriati alla restituzione delle somme incassate in eccedenza. Avverso tale statuizione, C.I. e C.C. (in qualità di erede di C.G.) hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. L'intimato, nonostante la ritualità della notifica, non si è difeso con controricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell'art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., in riferimento all'art. 384 c.p.c., per avere la Corte d'appello violato i limiti propri del giudizio di rinvio, chiedendo al CTU di effettuare nuovi e diversi accertamenti, mentre il giudice di legittimità, aveva chiesto, in forma neutra, una nuova valutazione del terreno espropriato, precisando che il giudice del rinvio avrebbe potuto avvalersi anche delle risultanze già acquisite purché, in tal caso, desse una logica e corretta motivazione nell'applicazione del metodo comparativo in presenza di fondi aventi distinti indici territoriali. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell'art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., in relazione agli artt. 324, 329, comma 2, e 384 c.p.c., per avere la Corte d'appello violato il giudicato interno formatosi sulla vocazione edificatoria dell'area espropriata, che non è stata messa in discussione con il ricorso per cassazione, riguardante solo i criteri di valutazione dell'area, integrando il mandato conferito al CTU con la richiesta di valutazione del valore venale del fondo ed affermando espressamente nella sentenza impugnata che «Quella dell'edificabilità del terreno non è questione che possa ritenersi coperta da giudicato... ». Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell'art. 360, comma 1, n. 3) e n. 4) c.p.c., in relazione all'art. 2697 c.c., agli artt. 101, 163, 167, 183 e 210 c.p.c. ed anche all'art. 111 Cast., per non avere la Corte d'appello accolto l'eccezione di nullità della CTU, in ragione della mancata risposta ai quesiti formulati, né tantomeno a quelli che sarebbero stati necessari per il giudizio di rinvio, invadendo un campo che non le competeva, che comprendeva il giudicato civile (riferito all'edificabilità del terreno oggetto di esproprio), con successiva illustrazione di plurime violazioni asseritamente commesse dal CTU. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione dell'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., in relazione agli artt. 132, n. 4), c.p.c., 17 I. n. 1150 del 1942, 7 D.M. n. 1444 del 1968 e I. n. 765 del 1967, per non avere la Corte d'appello tenuto a mente la normativa sopra menzionata ai fini della valutazione del fondo.
2. Il primo e il secondo motivo sono fondati, sia pure nei limiti di seguito evidenziati, e il loro accoglimento rende superfluo l'esame di tutti gli altri, che devono ritenersi assorbiti.
2.1. Si deve subito rilevare che il mancato rispetto da parte del giudice di rinvio del decisum della sentenza di cassazione configura un errar in procedendo (v. da ultimo Cass., Sez. L. n. 6344 del 05/03/2019), come è anche la violazione del giudicato interno (cfr. Cass., Sez. 2, n. 155 dell'08/01/2014). Nel caso di specie, parte ricorrente, formulando tali censure nel primo e nel secondo motivo di ricorso, ha richiamato il disposto dell'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c. invece che quello del successivo n. 4), ma ciò non incide sull'ammissibilità dell'impugnazione, essendo chiara la denuncia della violazione di norme che attengono al processo (Cass., Sez. 5, n. 23381 del 06/10/2017; Cass., Sez. 2, n. 1370 del 21/01/2013).
2.2. Occorre, a questo proposito, considerare che la presente vertenza torna al vaglio del giudice di legittimità, dopo che questa Corte (Cass., Sez. 1, n. 10867 dell'l1/05/2007), accogliendo un motivo di ricorso del Comune, ha cassato la prima pronuncia della Corte d'appello, in ragione di un riscontrato vizio di motivazione (così come risultante dal testo previgente dell'art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., applicabile ratione temporis). Come pure di recente affermato, i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni. Nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384, comma 1, c.p.c., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l'accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo necessario alla statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi, avendo il solo limite di non incorrere nello stesso errore logico della sentenza cassata. Nella terza, infine, la sua potestas iudicandi, oltre ad estrinsecarsi nell'applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (così da ultimo Cass., Sez. 2, n. 448 del 14/01/2020 e Cass., Sez. L, n. 27337 del 24/10/2019). Il giudizio di rinvio è, tuttavia, un procedimento "chiuso", tendente ad una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, ove non solo è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum, formulando nuove domande e nuove eccezioni, ma operano anche le preclusioni che derivano dal giudicato implicito formatosi con il giudizio di cassazione (v., sia pure con riferimento a fattispecie tra loro estremamente diverse, Cass., Sez. 1, n. 636 del 14/01/2019 e Cass., Sez. 6-5, n. 7656 del 04/04/2011, nonché Cass., Sez. 3, n. 7500 del 27/03/2007 e Cass., Sez. 3, n. 15952 del 13/07/2006). Ciò significa che, anche quando la sentenza è stata cassata per vizio di motivazione, la libertà di valutazione dei fatti acquisiti al processo trova comunque i limiti del giudicato interno eventualmente formatosi su parti della decisione che non siano state impugnate per cassazione. In altre parole, nel caso di cassazione della decisione per vizi di motivazione, il giudice di rinvio viene a trovarsi nella stessa pienezza di poteri che aveva il giudice la cui sentenza e stata cassata e può riesaminare liberamente i fatti di causa già accertati, purché non siano attinenti a questioni definitivamente decise.
2.3. Con particolare riferimento alle controversie in materia di espropriazione per pubblica utilità, deve senza dubbio ritenersi che la statuizione sulla natura edificatoria o meno del fondo espropriato definisca una questione distinta da quella relativa alla quantificazione dell'indennità (di occupazione e di esproprio), di cui costituisce anche il presupposto logico-giuridico. Giova, al riguardo, richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di espropriazione per pubblica utilità, il giudicato formatosi sulla qualificazione del terreno, quale antecedente logico giuridico della statuizione sulla indennità di occupazione legittima, preclude ogni diversa qualificazione e valutazione del terreno medesimo nel giudizio risarcitorio per occupazione appropriativa o accessione invertita, costituendo l'accertamento in fatto del valore del bene il comune punto di partenza per la stima sia dell'indennità di occupazione sia del danno risarcibile (Cass., Sez. 1, n. 9264 del 06/04/2021; Cass., Sez. 1, n. 20234 del 07/10/2016; Cass., Sez. 1, n. 3909 del 17/02/2011). Lo stesso deve dirsi, ovviamente, con riferimento alla determinazione dell'indennità di espropriazione, posto che, anche in questo caso, la qualificazione del terreno costituisce l'antecedente logico della statuizione sull'indennità spettante.
2.4. Nel caso di specie, dalla descrizione dei motivi del primo ricorso per cassazione, sopra riportati, si evince con chiarezza che lo stesso Comune ha presupposto la vocazione edificatoria delle aree in questione, tant'è che le censure formulate attengono tutte al modo in cui è stata operata la stima. Deve pertanto ritenersi che il Comune abbia prestato acquiescenza alla statuizione della Corte d'appello, nella parte in cui ha ritenuto trattarsi di fondo edificabile, censurando solo la motivazione sulla determinazione dell'indennità spettante (art. 329, comma 2, c.p.c.). In sede di rinvio, invece, la Corte d'appello ha ritenuto insussistente il giudicato sulla natura edificatoria del fondo e, seguendo gli argomenti del CTU, l'ha esclusa (p. 5, 6 e 7 della sentenza), sebbene, come sopra evidenziato, il giudizio di rinvio riguardasse soltanto la misura dell'indennità dovuta.
3. L'esame del terzo motivo e del quarto motivo è superfluo all'esito della statuizione appena operata, dovendo pertanto ritenersi assorbito.
4. In conclusione, in accoglimento, nei limiti sopra evidenziati, del primo e del secondo motivo di impugnazione, assorbito il terzo e il quarto, deve essere cassata la decisione impugnata in applicazione del seguente principio: "In materia di espropriazione per pubblica utilità, a seguito della cassazione ad opera del giudice di legittimità del capo della decisione di merito che attiene alla stima del fondo espropriato, ritenuto edificabile, deve ritenersi formato il giudicato interno su quest'ultima qualificazione, che non può più essere messa in discussione dal giudice del rinvio, chiamato solo a rinnovare la stima ai fini della determinazione dell'indennità dovuta". La causa deve pertanto essere rinviata, anche per quanto riguarda le spese del presente grado di giudizio, alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione e, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata, con conseguente rinvio della causa, anche per quanto riguarda le spese del presente grado di giudizio, alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione.