L'opera infatti non rientra nella c.d. “edilizia libera” e pertanto non può essere realizzata in assenza di titolo edilizio.
Solo gli interventi di edilizia libera possono essere realizzati in assenza di titolo edilizio. E fra tali interventi, individuati dall'art. 6 del
È questo il principio che emerge dalla sentenza n. 467 del 24 gennaio 2022 resa dal Consiglio di Stato.
La Terza Sezione ha confermato l'annullamento della SCIA presentata da un cittadino, poiché il suo intervento edilizio, qualificato erroneamente nella dichiarazione come “opera minore”, è stato realizzato in zona soggetta a vincolo paesaggistico e idrogeologico.
Ha argomentato l'Autorità che il concetto di volume tecnico corrisponde «a un'opera priva di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative e, comunque, per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali di essa; i volumi tecnici degli edifici sono esclusi dal calcolo della volumetria a condizione che non assumano le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità». Ne consegue che l'intervento che per altezza e volume può essere destinato a locale abitabile, ancorché designato in progetto come volume tecnico, deve essere computato a ogni effetto, sia ai fini della cubatura autorizzabile, sia ai fini del calcolo dell'altezza e delle distanze ragguagliate all'altezza.
Se è, poi, vero che gli interventi volti all'eliminazione delle barriere architettoniche, come la realizzazione di ascensori interni, montacarichi, servoscala e rampe rientrano tra i lavori di edilizia libera è peraltro evidente che la pertinente normativa va raccordata con quella che disciplina gli interventi edilizi in zona sismica. A tal proposito vengono in considerazione gli artt. 94 e segg. del d.P.R. n. 380 del 2001 che impongono, a prescindere dal titolo edilizio necessario, che gli interventi da realizzarsi in zona sismica siano sempre preventivamente autorizzati dal competente ufficio tecnico della Regione.
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza (ud. 18 novembre 2021) 24 gennaio 2022, n. 467
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. La signora A. C., proprietaria in Comune di Vibo Valentia dell’immobile censito all’NCEU al Foglio (omissis), il 13 marzo 2018 presentava un SCIA avente ad oggetto opere di ordinaria e straordinaria manutenzione nonché un “modesto ampliamento” di un locale sito al piano superiore, il tutto da realizzarsi ai sensi delle norme della L.R. Calabria n. 21/2010 (Piano Casa).
2. Nel luglio 2018 perveniva dall’Ufficio Tecnico la richiesta di alcuni chiarimenti, che veniva prontamente evasa dal professionista incaricato dalla signora A. C..
3. In mancanza di ulteriori riscontri da parte del Comune i lavori proseguivano.
4. Il 4 febbraio 2019, tuttavia, i tecnici del Comune effettuavano un sopralluogo, rilevando la realizzazione di opere in difformità rispetto alla SCIA: seguiva, il 20 febbraio 2019, l’ordinanza di sospensione dei lavori.
5. Nel frattempo la signora A. C. presentava, il 7 febbraio 2019, una SCIA in variante.
6. Il Responsabile dell’Ufficio Tecnico l’8 marzo 2019 dichiarava la SCIA in variante improcedibile, mentre con ordinanza del 20 marzo 2019 disponeva “l’annullamento” della SCIA del 13 marzo 2018 ai sensi dell’art. 21 nonies della L. 241/90.
6.1. Più in dettaglio, il Comune di Vibo Valentia, rilevando che la proprietaria aveva dato corso ad opere integranti sopraelevazione di un fabbricato esistente, con conseguente ampliamento del medesimo, oltre ad una serie di difformità rispetto al progetto presentato in Comune, riteneva che l’intervento edilizio avesse ad oggetto non delle “opere minori”, così come asseverato dal progettista nella dichiarazione allegata alla SCIA, quanto piuttosto un ampliamento, realizzato in zona soggetta a vincolo paesaggistico nonché idrogeologico, trattandosi tra l’altro di area classificata di massima pericolosità idraulica, nella quale l’edificazione è soggetta a gravi limitazioni; per tale ragione ha annullato la SCIA, presentata il 13 marzo 2018 al n. prot.. 12977.
7. Tutti i provvedimenti dianzi indicati venivano impugnati dalla signora A. C. innanzi al TAR per la Calabria, che respingeva il ricorso con la seguente motivazione:
“ Il ricorso è infondato e va respinto, posto che:
- la predisposizione dell’ascensore interno mediante bucature nei solai, potendo compromettere la staticità del fabbricato, è sottoposto ad autorizzazione del genio civile (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. II-bis, 28 novembre 2018, n. 11553), la cui assenza nel caso concreto ha impedito la procedibilità della SCIA;
- la struttura sorretta da pilastrini in ferro e rivestita con cartongesso per esterno (che determina la creazione di un nuovo vano) e la predisposizione del bagno non sono coperte dalla SCIA, che indica come interventi da eseguire una struttura in legno per tenda parasole ed un locale tecnico;
- l’apertura delle portefinestre (che la parte sostiene essere avvenuta intervenendo su finestre già esistenti) non risulta nella SCIA.
Trattandosi pertanto di opere edilizie senza titolo, sussiste l’interesse pubblico, concreto ed attuale, alla loro repressione senza vincoli temporali e senza necessità di comparazione con l’interesse privato alla conservazione del manufatto abusivo (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 2 maggio 2019, n. 2336).
Stante la particolarità della vicenda, le spese di lite possono essere compensate.”.
8. Con il ricorso in epigrafe indicato la signora A. C. ha impugnato l’indicata sentenza.
8.1. Con un primo motivo essa ha dedotto che l’installazione dell’ascensore, in concreto finalizzato all’abbattimento di barriere architettoniche, non necessitava di titolo edilizio e neppure del parere del Genio Civile, non essendo state intaccate, per realizzarlo, le nervature del solaio e le relative travi portanti.
8.2. Con il secondo motivo d’appello si deduce che la realizzazione, al primo piano, della struttura in pilastrini in ferro e cartongesso, in sostituzione di quella in legno preesistente, non avrebbe creato un nuovo vano, ma avrebbe dato luogo ad un ampliamento consentito, e peraltro previsto nella SCIA originaria, nei limiti di cubatura consentiti dal Piano Casa. Tale locale, inoltre, non era destinato ad ospitare una stanza da bagno, ma solo il locale tecnico per l’ascensore, e l’allocazione in esso di condutture non determinava un mutamento di destinazione residenziale dell’immobile e variazione essenziale. Nell’ambito di tale doglianza l’appellante ha inoltre dedotto che la trasformazione di due finestre in porte-finestre, non segnalate nella SCIA originaria, non costituirebbe variazione di sagoma e prospetto né avrebbe interessato pareti portanti: quindi non si tratterebbe di una ristrutturazione edilizia “pesante”, come si assume nella appellata sentenza.
8.3. Quindi l’appellante ha riproposto le doglianze già formulate in primo grado, deducendo la tardività dell’annullamento della SCIA, di cui all’ordinanza del 20 marzo 201, in ragione della insussistenza di falsità tali da giustificare il ricorso alla revoca ex art. 21 nonies della L. 241/90. Ha inoltre dedotto che il provvedimento impugnato, integrando un atto di autotutela adottato quando ormai si era formato un affidamento sulla legittimità della SCIA, avrebbe dovuto motivare in ordine all’interesse pubblico alla rimozione dell’atto, interesse che secondo la signora A. C. sarebbe assolutamente inesistente, in ragione della portata modesta delle opere realizzate. L’ordinanza del 20 marzo 2019, infine, non avrebbe specificato quali sarebbero le false rappresentazioni che giustificavano il ricorso all’art. 21 nonies.
9. Il Comune di Vibo Valentia si è costituito in giudizio, insistendo per la reiezione dell’appello.
10. La causa è stata infine chiamata alla pubblica udienza del 18 novembre 2021, in occasione della quale è stata trattenuta in decisione.
11. L’appello va respinto, e l’impugnata sentenza merita di essere confermata, sia pure con diversa motivazione,.
12. Va premesso, per quanto riguarda il verbale di accesso del 4 febbraio 2019, che esso ha funzione di mero accertamento di fatti, che non sono contestati dalla appellante nella loro materialità, quanto piuttosto per il modo in cui sono stati interpretati e qualificati dal Comune: esso, pertanto, di per sé non è idoneo ad esplicare efficacia lesiva. Per quanto riguarda, invece, l’ordinanza di sospensione dei lavori n. 2 del 20 febbraio 2019 e l’atto dell’ 8 marzo 2019, con cui il Comune di Vibo Valentia ha dichiarato improcedibile la SCIA in variante, così come il provvedimento del 20 marzo 2019, con cui è stato disposto “l’annullamento” della SCIA presentata il 18 marzo 2018, se ne ravvisa l’interesse alla impugnazione, contenendo tali atti, nella sostanza, un accertamento della illegittimità della SCIA e delle opere realizzate dalla ricorrente.
13. Venendo, dunque, alla disamina dei motivi d’appello, il Collegio rileva che il TAR, evidentemente ritenendo di poter prescindere dall’eccezione sollevata dal Comune, di per sé assorbente, secondo cui il fabbricato di proprietà della ricorrente è situato in zona soggetta a vincolo paesaggistico e a vincolo di natura idrogeologica, ragione per cui le opere non avrebbero potuto in ogni caso essere assentite con SCIA, ha respinto il ricorso sul duplice rilievo che le opere realizzate dalla ricorrente erano in parte non comprese nella SCIA, in parte non erano assentibili con SCIA.
13.1. In particolare, il TAR ha ritenuto essere state realizzate fuori dalla SCIA l’apertura di porte finestre: la signora A. C., anche nell’atto d’appello, non nega di aver modificato le finestre preesistenti, mediante rimozione della “veletta” posta sotto il parapetto, né contesta di non averne dato evidenza nella SCIA, ma giustifica il silenzio sull’intervento deducendo che si tratta di opere sostanzialmente invisibili, che non hanno determinato alcuna alterazione della sagoma o nel prospetto del fabbricato, né alcuna delle strutture portanti, concludendo che, in definitiva, non ci si trova di fronte ad una ristrutturazione edilizia “pesante”.
13.1.1. Tale argomento è assolutamente irrilevante, posto che solo gli interventi c.d. di “edilizia libera” possono essere realizzati in assenza di qualsivoglia titolo edilizio, e fra tali interventi – individuati dall’art. 6 del D.P.R. n. 380/2001 nonché dall’art. 3, lett. e.5), non sono riconducibili quelli che si compendiano nella trasformazione di finestre in porte-finestre. Simile intervento, invece. comportando una modifica dei prospetti, é sussumibile tra gli interventi di manutenzione straordinaria di cu all’art. 3, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 380/01, e deve essere segnalato con SCIA (art. 22 lett. b) del D.P.R. 380/2001).
13.1.2. Risulta dunque condivisibile l’affermazione del TAR, che ha implicitamente ritenuto la necessità che le opere in questione fossero denunciate nella SCIA.
13.2. Allo stesso modo il TAR ha ritenuto non comprese nella SCIA del 13 marzo 2018 la realizzazione, al primo piano, di una struttura sorretta da pilastrini in ferro e rivestita con cartongesso per esterno (che determina la creazione di un nuovo vano) e la predisposizione del bagno, stante che la predetta SCIA indica come interventi da eseguire una struttura in legno per tenda parasole ed un locale tecnico.
13.2.1. Anche in questo caso la ricorrente non nega la difformità dell’opera realizzata rispetto a quella indicata nella SCIA., ma oppone che si tratterebbe di una variante non essenziale, che avrebbe potuto essere legittimata anche presentando una variante in corso d’opera, anche perché non sarebbe stata impressa una modificazione alla destinazione d’uso urbanisticamente rilevante.
13.2.2.Il Collegio osserva che dagli atti allegati alla SCIA si evidenzia che al piano superiore, ove in precedenza esisteva un locale tecnico, la SCIA ha previsto la demolizione di quest’ultimo e la contestuale realizzazione, dal lato opposto dell’edificio, del vano ascensore, di un vano tecnico non meglio definito – ma comunque non indicato come bagno – nonché una struttura in legno di sostegno di una tenda parasole. Nei fatti è stato accertato che il vano ascensore risulta spostato rispetto alla posizione indicata negli allegati alla SCIA, che il vano tecnico è stato equipaggiato di tutti gli attacchi necessari ad equipaggiarlo come sala da bagno, essendo già stata allocata la cassetta di scarico del WC, , e, infine, che, al posto di quella che avrebbe dovuto essere una struttura lignea di sostegno ad una tenda, è stata realizzata una parete in pilastrini di ferro ricoperti di cartongesso, intonacata, a chiusura del vano scala, a distanza di meno di 10 metri da un fabbricato confinante.
13.2.3. Ciò premesso il Collegio condivide l’assunto del primo giudice, secondo cui le opere in concreto realizzate al primo piano non possono ricondursi a quelle indicate nella SCIA del marzo 2018, determinando uno stato dei luoghi comunque diverso da quello prospettato nello stato di progetto della SCIA. Va al proposito rammentato che “La nozione di volume tecnico corrisponde a un'opera priva di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative e, comunque, per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali di essa; i volumi tecnici degli edifici sono esclusi dal calcolo della volumetria a condizione che non assumano le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità; ne consegue che nel caso in cui un intervento edilizio sia di altezza e volume tale da poter essere destinato a locale abitabile, ancorché designato in progetto come volume tecnico, deve essere computato a ogni effetto, sia ai fini della cubatura autorizzabile, sia ai fini del calcolo dell'altezza e delle distanze ragguagliate all'altezza.” (Cons. Stato, Sez. II, sent. n. 8835 del 27 dicembre 2019), per cui risulta assolutamente rilevante il fatto che quello che era stato indicato come “locale tecnico” nella SCIA risulti, invece, essere un locale agibile anche come sala da bagno/servizi. Allo stesso modo la realizzazione di una parete a chiusura del vano scala realizza una volumetria rilevante per il rispetto di alcuni parametri urbanistici, e comunque non può in nessun caso essere equiparata ad una struttura lignea di sostegno di una tenda.
13.2.4. Le opere realizzate al primo piano, in definitiva, risultano abusive, in quanto non assistite da titolo edilizio, ed il fatto che siano – secondo la tesi dell’appellante – astrattamente assentibili non cambia al fatto che fintanto che non siano regolarizzate mediante sanatoria, esse debbono considerarsi, appunto, abusive.
13.3. Sotto altro profilo il TAR ha ritenuto che la bucatura del solaio di divisione tra il primo e secondo piano, realizzata per consentire l’allocazione del vano ascensore, non poteva essere assentita con SCIA, in difetto di autorizzazione del genio civile, trattandosi di opere in grado di compromettere la staticità del fabbricato: secondo il primo giudice, proprio la mancanza della preventiva autorizzazione del genio civile ha, in concreto, determinato l’improcedibilità della SCIA, ragione per cui tutte le opere ivi contemplate sono, in definitiva, abusive.
13. 3.1. L’appellante oppone che la realizzazione di un ascensore interno, finalizzato ad abbattere barriere architettoniche, rientrerebbe tra gli interventi di edilizia libera - come anche specificato nel D.M. 2 marzo 2018, emanato in attuazione del D. L.vo n. 222/2016 – quando non incidano sulla struttura portante: l’appellante ne deduce che solo se incida sulla struttura portante la realizzazione di un vano ascensore richiede la preveniva autorizzazione del genio civile e, quindi il preventivo titolo edilizio. L’appellante richiama, poi, la delibera di Giunta Regionale n. 12 del 2013, secondo cui le aperture nelle solette necessarie a realizzare un vano-ascensore, si presumono non incidere sulla struttura portante se non vengano intaccate le nervature del solaio, e dunque le travi portanti la soletta, ciò che nella specie sarebbe stato attestato dal tecnico che ha presentato la SCIA.
13.3.2. Il Collegio rileva che la D.G.R. n. 12/2013 include tra gli interventi che, in zona sismica, si considerano “opere minori non soggette al deposito/autorizzazione da parte del Servizio Tecnico Regionale”: al punto 7 della lista degli interventi su opere esistenti, la “realizzazione di apertura nei solai e nella copertura, senza modifica della falda o alterazione del comportamento strutturale, di superficie inferiore o uguale a 1.00 mq e senza intaccare le nervature”; al punto 10 della medesima lista, la “installazione di montacarichi e piattaforme elevatrici aventi una portata inferiore o uguale a 1.00 Khi dotati di certificato e/o brevetto ministeriale, interni o esterni all’edificio, che non necessitano di aperture nei solai, le cui strutture non modificano significativamente la distribuzione delle azioni orizzontali; sono esclusi gli impianti da cantiere.”
13.3.3. Il Collegio ritiene che la normativa citata non consente affatto, in zona sismica, di installare ascensori interni, in edifici già esistenti, senza il preventivo parere del Servizio Tecnico Regionale in materia antisismica, quando tale intervento richieda di aprire aperture nei solai: è vero che è possibile realizzare aperture nei solai se di superficie non superiore a 1 mq e se non sono intaccate le nervature, tuttavia non se si tratti di installare, nella apertura del solaio, un vano ascensore. Gli impianti assimilabili a montacarichi o piattaforme elevatrici sono invece esonerati, in zona sismica, dal parere del Servizio Tecnico Regionale solo se non superino una certa portata, non richiedano di “bucare” dei solai e non comportino una modifica nella distribuzione delle azioni orizzontali.
13.3.4.Se è, poi, vero, che gli interventi volti all'eliminazione delle barriere architettoniche, come la realizzazione di ascensori interni, montacarichi, servoscala e rampe rientrano tra i lavori di edilizia libera – come specificato anche nel Glossario unico per le opere di edilizia libera di cui DM 2 marzo 2018, emanato in attuazione dalla disciplina sulla S.c.i.a. recata dal D.lgs. 222/2016, è peraltro evidente che tale normativa va raccordata con quella che disciplina gli interventi edilizi in zona sismica: ed a tale proposito vengono in considerazione gli artt. 94 e segg. del D.P.R. n. 380/2001 che impongono, a prescindere dal titolo edilizio necessario, che gli interventi da realizzarsi in zona sismica siano sempre preventivamente autorizzati dal competente ufficio tecnico della Regione.
13.3.5.Dal che consegue che è destituito di fondamento anche il motivo d’appello che contesta il capo della sentenza in esame.
14. Oltre ai motivi d’appello sin qui esaminati la signora A. C. ripropone le censure già proposte in primo grado, senza articolare specifiche censure contro specifici capi della sentenza appellata: le censure proposte in primo grado non possono, pertanto, essere esaminate, onde non incorrere nella violazione del principio di specificità dei motivi d’appello, enunciato all’art. 101, comma 1, c.p.a.
15. Il Comune di Vibo Valentia, dal canto suo, non ha svolto un autonomo appello incidentale, limitandosi a resistere all’appello principale.
16. Essendo, dunque, infondati tutti i motivi d’appello, l’impugnata sentenza, di respingimento del ricorso di primo grado, va confermata.
17. La peculiarità della vicenda giustifica la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto conferma l’appellata sentenza.