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31 gennaio 2022
Soci e amministratori non possono impugnare l’interdittiva antimafia emessa nei confronti della persona giuridica
Secondo l'Adunanza Plenaria i soci e gli amministratori non sono legittimati ad impugnare tale provvedimento, poiché non sono titolari di interesse legittimo.
La Redazione

Gli amministratori ed i soci di persona giuridica destinataria di interdittiva antimafia non sono titolari di legittimazione attiva all'impugnazione di tale provvedimento. Ai fini di tale legittimazione processuale non appare infatti possibile «argomentare in termini di “bilanciamento” del “sacrificio delle garanzie procedimentali” ovvero di “compensazione” della “omessa garanzia del contraddittorio endoprocedimentale” per il tramite di un riconoscimento di legittimazione ad agire».

Questo è quanto ha pronunciato l'Adunanza Plenaria con la sentenza n. 3 del 28 gennaio 2022, a seguito di rimessione da parte del CGA che ha domandato se amministratori e soci sono legittimati ad impugnare l'interdittiva antimafia emessa nei confronti di persona giuridica.

Ai fini della soluzione del quesito sottoposto all'Adunanza Plenaria, è dirimente l'individuazione della sussistenza di una situazione soggettiva in capo a soci e amministratori, con la conseguenza che, laddove la situazione abbia la consistenza di interesse legittimo, su di essa potrà fondarsi la legittimazione ad agire in giudizio a tutela della posizione medesima. In caso contrario, viceversa, non sussiste né la legittimazione ad agire in giudizio né quella a partecipare al procedimento.

L'Autorità ha argomentato che il giudizio amministrativo, nella sua forma impugnatoria, tende ad assicurare al soggetto che si ritiene leso un vantaggio, che, attraverso l'eliminazione del provvedimento, consiste nel recuperare la pienezza del proprio patrimonio giuridico o nel conseguirne un ampliamento. Gli effetti che dunque si producono con la sentenza costitutiva di annullamento dell'atto creano una particolare relazione tra l'individuo e la P.A..
Alla luce di ciò si può affermare che  «le peculiarità di “personale” e “diretto”, che devono assistere l'interesse legittimo, definiscono sostanzialmente anche l'ambito della titolarità della posizione giuridica, e il riconoscimento e tutela della medesima da parte dell'ordinamento giuridico». All'interno di tale contesto l'interesse è quindi “personale” in quanto si appunta solo in capo al soggetto che si rappresenta come titolare, ma anche “diretto”, in quanto il suo titolare è posto in una relazione di immediata inerenza con l'esercizio del potere amministrativo. Da ciò discende l'instaurazione di un rapporto giuridico con la P.A., un rapporto giuridico, per di più, non potenziale, ma che si instaura al momento stesso dell'insorgenza della posizione.
Laddove gli attributi di “personale” e “diretto” attengono all'interesse legittimo in quanto posizione sostanziale, e consentono di circoscriverne la titolarità,  «l'ulteriore attributo di “attuale”, attiene alla proiezione processuale della posizione sostanziale, alla emersione della esigenza di tutela per effetto di un atto concreto e sincronicamente appezzabile di esercizio di potere, che renda dunque necessaria l'azione in giudizio, onde ottenere tutela, e quindi “utile”, a tali fini, la pronuncia del giudice».

Al contrario, qualora tale condizione non sia individuabile, ma siano enucleabili solo generiche posizioni di interesse, queste ultime, seppur possono ricevere indirettamente e/o di riflesso un “pregiudizio”,  «legittimano i loro titolari a spiegare intervento in giudizio, ma non già ad impugnare autonomamente il provvedimento lesivo della sfera giuridica del soggetto con il quale intrattengono a diverso titolo rapporti giuridici».