Gli amministratori ed i soci di persona giuridica destinataria di interdittiva antimafia non sono titolari di legittimazione attiva all'impugnazione di tale provvedimento. Ai fini di tale legittimazione processuale non appare infatti possibile «argomentare in termini di “bilanciamento” del “sacrificio delle garanzie procedimentali” ovvero di “compensazione” della “omessa garanzia del contraddittorio endoprocedimentale” per il tramite di un riconoscimento di legittimazione ad agire».
Questo è quanto ha pronunciato l'Adunanza Plenaria con la sentenza n. 3 del 28 gennaio 2022, a seguito di rimessione da parte del CGA che ha domandato se amministratori e soci sono legittimati ad impugnare l'interdittiva antimafia emessa nei confronti di persona giuridica.
Ai fini della soluzione del quesito sottoposto all'Adunanza Plenaria, è dirimente l'individuazione della sussistenza di una situazione soggettiva in capo a soci e amministratori, con la conseguenza che, laddove la situazione abbia la consistenza di interesse legittimo, su di essa potrà fondarsi la legittimazione ad agire in giudizio a tutela della posizione medesima. In caso contrario, viceversa, non sussiste né la legittimazione ad agire in giudizio né quella a partecipare al procedimento.
L'Autorità ha argomentato che il giudizio amministrativo, nella sua forma impugnatoria, tende ad assicurare al soggetto che si ritiene leso un vantaggio, che, attraverso l'eliminazione del provvedimento, consiste nel recuperare la pienezza del proprio patrimonio giuridico o nel conseguirne un ampliamento. Gli effetti che dunque si producono con la sentenza costitutiva di annullamento dell'atto creano una particolare relazione tra l'individuo e la P.A..
Alla luce di ciò si può affermare che
«le peculiarità di “personale” e “diretto”, che devono assistere l'interesse legittimo, definiscono sostanzialmente anche l'ambito della titolarità della posizione giuridica, e il riconoscimento e tutela della medesima da parte dell'ordinamento giuridico». All'interno di tale contesto l'interesse è quindi “personale” in quanto si appunta solo in capo al soggetto che si rappresenta come titolare, ma anche “diretto”, in quanto il suo titolare è posto in una relazione di immediata inerenza con l'esercizio del potere amministrativo. Da ciò discende l'instaurazione di un rapporto giuridico con la P.A., un rapporto giuridico, per di più, non potenziale, ma che si instaura al momento stesso dell'insorgenza della posizione.
Laddove gli attributi di “personale” e “diretto” attengono all'interesse legittimo in quanto posizione sostanziale, e consentono di circoscriverne la titolarità,
«l'ulteriore attributo di “attuale”, attiene alla proiezione processuale della posizione sostanziale, alla emersione della esigenza di tutela per effetto di un atto concreto e sincronicamente appezzabile di esercizio di potere, che renda dunque necessaria l'azione in giudizio, onde ottenere tutela, e quindi “utile”, a tali fini, la pronuncia del giudice».
Al contrario, qualora tale condizione non sia individuabile, ma siano enucleabili solo generiche posizioni di interesse, queste ultime, seppur possono ricevere indirettamente e/o di riflesso un “pregiudizio”, «legittimano i loro titolari a spiegare intervento in giudizio, ma non già ad impugnare autonomamente il provvedimento lesivo della sfera giuridica del soggetto con il quale intrattengono a diverso titolo rapporti giuridici».
Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza (ud. 17 novembre 2021) 28 gennaio 2022, n. 3
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza non definitiva 19 luglio 2021 n. 726, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha rimesso a questa Adunanza Plenaria la causa in esame, perché la stessa, salva la facoltà di decidere la causa nel merito, esprima il proprio avviso in ordine a seguenti quesiti:
a) se in materia di impugnazione di interdittive antimafia vada, o meno, riconosciuta, in capo ad ex amministratori e soci della società attinta, autonoma legittimazione a ricorrere, avuto riguardo alla situazione giuridica dedotta in giudizio, e se gli stessi vadano ritenuti soggetti che patiscano “effetti diretti” dall’adozione di provvedimenti di siffatta natura;
b) in caso di soluzione positiva al primo quesito, se l’effetto devolutivo proprio dell’appello si estenda anche al caso in cui il ricorso in primo grado non sia stato riunito a ricorsi aventi ad oggetto l’impugnazione del medesimo provvedimento da parte degli stessi ovvero da diversi ricorrenti.
2. La controversia oggetto del presente giudizio riguarda l’impugnazione, da parte dei soci, della certificazione interdittiva, emessa dalla Prefettura di Agrigento nei confronti della società per azioni di riferimento, lamentando la perdita della gestione dell’azienda, nella quale avevano investito ingenti capitali, nonché la preclusione all’esercizio della carica da parte del Presidente del Consiglio di amministrazione e da parte di tutti gli altri consiglieri di amministrazione che erano espressione delle società ricorrenti, detentrici dei pacchetti azionari della società.
In esito al provvedimento impugnato, con determinazione del Presidente n. -omissis-, l’ATI -omissis- ha stabilito la risoluzione della convenzione in essere con la società per la gestione del servizio idrico integrato nella Provincia di Agrigento.
Con successivo decreto n. -omissis- del -omissis-, impugnato con separato ricorso, l’Amministrazione ha disposto la nomina di un Commissario Straordinario con lo scopo di assicurare la prosecuzione delle attività legate alla convenzione, estromettendo gli odierni appellanti dalle cariche occupate in seno al Consiglio di amministrazione e pertanto dalla gestione concreta della società.
Il T.A.R. per la Sicilia, sez. I, con sentenza 29 dicembre 2020 n. 3036, oggetto di impugnazione - previo rigetto la richiesta di riunione del ricorso ad altre cause e dell’eccezione di difetto di giurisdizione (essendo stata prospettata la giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche) - ha ritenuto il ricorso inammissibile per carenza di legittimazione attiva in capo ai ricorrenti, rilevando in particolare l’inammissibilità anche in relazione alla impugnazione della determinazione di risoluzione della convenzione.
La sentenza viene censurata nella parte in cui il ricorso è stato dichiarato inammissibile, non contestandosi la declaratoria in rito riferita all’impugnazione del provvedimento di risoluzione (oggetto di autonomo ricorso).
Più specificamente, si deduce che né l’art. 100 c.p.c., né la più autorevole giurisprudenza amministrativa abbiano mai adottato un criterio formale di individuazione del soggetto titolare dell’interesse alla proposizione dell’impugnazione.
Al contrario, la legittimazione ad agire è riconosciuta in presenza di un interesse connotato dall’attualità e da concretezza.
Nel caso di specie, può inoltre rilevarsi in capo agli odierni appellanti una posizione di vantaggio che attiene ad uno specifico bene della vita.
Difatti, sebbene sia formalmente indirizzata alla società, l’intera motivazione dell’informativa antimafia ruota essenzialmente attorno a presunti condizionamenti a carico delle società ed alle persone fisiche appellanti in quanto socie, e che pertanto sono gravemente pregiudicate dal contenuto di tale provvedimento.
Il Presidente del consiglio di amministrazione della società, inoltre, vede inevitabilmente precluso l’esercizio della sua carica, così come tutti gli altri consiglieri di amministrazione che erano espressione delle società appellanti, detentrici dei pacchetti azionari della società nella quale avevano effettuato investimenti per diversi milioni di euro al fine di ottenere l’affidamento della conduzione e gestione del servizio idrico.
Per effetto dell’emanazione dell’informativa interdittiva impugnata in prime cure gli appellanti sono stati espropriati di gran parte dei loro poteri di soci, in quanto, con propri successivi decreti, la Prefettura di Agrigento ha disposto la nomina di due Commissari Straordinari, che conducono la gestione del rapporto conseguente al contratto legato al servizio idrico (e cioè la parte rilevante delle attività della società) sottraendosi a qualsivoglia controllo o indirizzo da parte dell’Assemblea dei soci, che non può nemmeno effettuare scelte di natura straordinaria, quali investimenti strutturali mirati a consentire il superamento dell’attuale profonda crisi in cui l’azienda versa.
La concreta, materiale impossibilità di gestire la propria impresa ed i propri investimenti di importo così ingente e per un lasso di tempo così lungo, non può non ascriversi al concetto di lesione diretta e personale della sfera giuridica dei soci.
Del pari, si sottolinea come risulti impossibile negare che l’azione proposta dagli odierni appellanti sia realmente animata dal fine di conseguire una “posizione di vantaggio che attiene ad uno specifico bene della vita”, dal momento che la caducazione del provvedimento impugnato in prime cure sortirebbe l’effetto immediato di consentire la reintegra delle società appellanti e dei soci nel concreto ed effettivo esercizio dei poteri inerenti al loro status.
Inoltre l’informativa si traduce in un danno di natura economica diretta sul patrimonio dei soci, in considerazione della pessima gestione da parte dei Commissari.
Infine, si evidenzia il grande risalto mediatico e conseguente discredito che il provvedimento impugnato getta sulle imprese e sull’attività imprenditoriale della famiglia -omissis-.
L’opzione interpretativa seguita dalla sentenza non è, ad avviso degli appellanti, percorribile, in quanto lesiva del diritto di difesa sancito dagli artt. 24 e 113 della Costituzione, nonché dell’art. 6 della CEDU, poiché gli appellanti non disporrebbero di alcun rimedio giurisdizionale per impugnare l’informativa prefettizia ed il conseguente provvedimento di commissariamento.
Costituitasi in giudizio, l’Amministrazione intimata eccepisce l’inammissibilità dell’appello, perché focalizzato esclusivamente (e genericamente) sul profilo dell’interesse a ricorrere, anziché sulla legittimazione ad agire, e comunque l’infondatezza dello stesso in ordine al profilo di rito, alla stregua dell’orientamento della giurisprudenza in materia (in particolare, della sentenza di questo Consiglio di Stato n. 539/2019).
Nel merito, difende la legittimità del provvedimento emesso dalla Prefettura, ampiamente motivato e supportato da congrua istruttoria.
L’A.T.O. -omissis- di Agrigento si è costituita in giudizio al fine di resistere all’appello, insistendo sulla inammissibilità ed infondatezza del ricorso introduttivo del giudizio in primo grado.
In ordine al primo profilo, richiama gli artt. 78 e 81 c.p.c., che prevedono la nomina di un curatore o un institore nelle ipotesi in cui “manca la persona a cui spetta la rappresentanza o l'assistenza, e vi sono ragioni d'urgenza”.
Ripropone l’eccezione rimasta assorbita nella statuizione del primo giudice, secondo la quale in nessun caso può essere “recuperata” l’ammissibilità del ricorso neppure con riferimento alla persona fisica del socio ex amministratore, in quanto le situazioni soggettive quali il diritto alla reputazione, alla dignità, all’immagine etc. non hanno natura di interessi legittimi ma di diritti soggettivi, in ipotesi da azionare innanzi al G.O., con conseguente ulteriore profilo di inammissibilità del gravame per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo adito.
3. La sentenza non definitiva, con contestuale ordinanza di rimessione, ha preliminarmente rigettato le eccezioni proposte dalle amministrazioni (di difetto di giurisdizione e di inammissibilità per incompleta impugnazione della sentenza), ricordando, sul piano generale, che, secondo la giurisprudenza, il ricorso è ammissibile se al momento della sua proposizione sussistono le condizioni dell'azione, cioè il c.d. titolo o possibilità giuridica dell'azione, l'interesse ad agire e la legittimazione attiva; l'interesse a ricorrere consiste nella possibilità per chi agisce di ottenere un risultato favorevole (anche di natura morale) dall'accoglimento del ricorso, e sussiste se ed in quanto la lesione della posizione giuridica, per la tutela della quale si è proposta l'impugnazione, sia concreta e attuale, per cui solamente laddove l'atto amministrativo produca una lesione immediata e diretta alla sfera giuridica del ricorrente, questi ha interesse a promuovere azione di annullamento, perché solamente in questa ipotesi l'eventuale pronuncia giudiziale favorevole gli arreca un'utilità personale concreta e attuale.
Perché un interesse possa essere tutelabile con un'azione giurisdizionale amministrativa, lo stesso deve essere, oltre che attuale, personale, e anche la lesione da cui discende l'interesse al ricorso, oltre che attuale, deve essere diretta, nel senso che deve incidere in maniera immediata sull'interesse legittimo proprio della parte ricorrente. È, quindi, da ritenere inammissibile, per difetto di legittimazione all'azione, il ricorso giurisdizionale proposto in difetto di un interesse giuridicamente protetto in capo al soggetto che propone l'azione giurisdizionale.
D’altra parte, un soggetto giuridico, pur dotato di interesse di fatto, secondo la giurisprudenza può essere privo di giuridica legittimazione a proporre un'azione giudiziaria, qualora la stessa, sia pure strumentalmente, sia volta a provocare effetti giuridici (ancorché indiretti e mediati) nella sfera di un altro soggetto, in quanto l'esercizio nell'ambito del giudizio amministrativo dell'azione non può essere delegato fuori da una espressa previsione di legge, né surrogato dall'azione sostitutoria di un altro soggetto.
Giova al riguardo richiamare il generale principio di cui all'art. 81 c.p.c. per il quale: "Fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui", applicabile anche nel processo amministrativo in forza del richiamo di cui all'art. 39 c.p.a.”.
4. Sulla specifica questione dei soggetti legittimati ad impugnare le informative prefettizie, la sentenza rileva come non si registri un orientamento univoco nella giurisprudenza del Consiglio di Stato.
Un primo orientamento ha stabilito che il ricorso proposto da soggetti diversi dall’impresa destinataria dell’interdittiva è inammissibile per carenza di legittimazione attiva, in quanto il decreto prefettizio può essere impugnato solo dal soggetto che ne patisce gli effetti diretti sulla sua posizione giuridica di interesse legittimo (in tal senso Cons. Stato, sez. III, 14 ottobre 2020 n. 6205, 22 gennaio 2019 n. 539, 16 maggio 2018 n. 2895, 11 maggio 2018 nn. 2824 e 2829).
Un altro orientamento (Cons. Stato, sez. III, 4 aprile 2017 n. 1559) ha invece riconosciuto la legittimazione ad impugnare l’informativa, a tutela di un proprio interesse morale, in una ipotesi relativa a ricorso proposto da ex amministratori della società, o loro parenti, menzionati nell’interdittiva quali soggetti partecipi degli elementi indiziari da cui viene desunto il pericolo di condizionamento di stampo mafioso, ritenendosi la sussistenza della legittimazione al ricorso, in ragione della lesione concreta ed attuale della situazione professionale e patrimoniale dei soggetti che abbiano dovuto rinunciare all’incarico di amministratori della società, nonché sotto il profilo della potenziale lesione dell’onore e reputazione personale dei soggetti sui quali nel provvedimento venga ipotizzato un condizionamento mafioso.
Nell’ambito di tale secondo orientamento, viene anche ricordato altro precedente (Cons. Stato, sez. III, 7 aprile 2021 n. 2793), sebbene nella diversa fattispecie di scioglimento dell'organo consiliare comunale, ai sensi dell'art. 143 del d.lgs. n. 267/2000.
5. In presenza del richiamato contrasto giurisprudenziale, la sentenza di rimessione intende sottoporre all’Adunanza Plenaria la questione “relativa alla possibilità, o meno, di riconoscere, in capo ad ex amministratori e soci di una società attinta da interdittiva antimafia, autonoma legittimazione a ricorrere, avuto riguardo alla situazione giuridica dedotta in giudizio, che si pretende direttamente ed immediatamente pregiudicata dall’interdittiva (a causa della sostituzione degli organi di gestione, con perdita, da parte degli ex amministratori, delle cariche ricoperte, e quindi pregiudizio professionale; impossibilità di effettuare scelte imprenditoriali strategiche e quindi compromissione degli investimenti economici profusi nell’azienda, quanto ai soci; con lesione della dignità e reputazione, quanto ai soggetti le cui vicende personali e familiari costituiscano diretto oggetto di motivazione)”.
A tal fine, si sottolinea come “la questione postula anche la risoluzione del problema della individuazione dei soggetti che patiscano “effetti diretti” dall’adozione di provvedimenti di siffatta natura”.
6. Il Giudice remittente afferma di condividere il secondo orientamento giurisprudenziale sopra riportato, esponendo a supporto una pluralità di ragioni.
In primo luogo, si evidenzia come, dall’analisi degli artt. 84 e 91 d.lgs. n. 159/2011, emerga che l’emanazione dei provvedimenti interdittivi costituisce frutto di un procedimento amministrativo connotato da una natura tendenzialmente cautelare e con finalità preventiva dell’infiltrazione mafiosa, al quale, secondo la giurisprudenza, non possono essere estese le garanzie del contraddittorio di cui alla l. n. 241/1990, e ciò nonostante la decisione prefettizia si basi generalmente su accertamenti di fatto complessi, in qualche caso addirittura di tipo indiziario, nell’ambito dei quali ben possono manifestarsi significativi margini di errore.
E dunque “il sacrificio delle garanzie procedimentali potrebbe essere bilanciato dalla possibilità di far valere le proprie ragioni in sede giurisdizionale anche da parte dei soggetti che sono immediatamente e gravemente incisi dal provvedimento prefettizio, sebbene non formalmente diretti destinatari dello stesso, ove si riguardi, (i) quanto alla posizione dei soci, alla perdita di ogni controllo sulla gestione aziendale ove sovente sono stati investiti ingenti capitali, e (ii) quanto alla posizione degli ex amministratori, alla sostanziale espunzione da un’attività professionale che spesso costituisce l’unica fonte di reddito, senza tralasciare il discredito e la lesione alla reputazione ed onore dei soggetti le cui vicende personali ed i precedenti giudiziari vengono ampiamente richiamati, interpretati ed esternati con grave connotazione negativa negli atti di cui si discute; il tutto senza che questi ultimi, diretti interessati spesso a conoscenza di altri fatti rilevanti e finanche decisivi, abbiano mai potuto interloquire: non in sede procedimentale, fase nella quale il contraddittorio, come visto, è escluso (a maggior ragione con riferimento a soggetti diversi dal destinatario dell’interdittiva), e nemmeno in via giurisdizionale”.
E tale conclusione “sottopone ad evidente tensione l’applicazione dell’istituto con i principi eurounitari (n.d.r.: cioè il principio del contraddittorio prima dell’adozione di provvedimenti che incidono sensibilmente su interessi di soggetti specifici), oltre che con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost.”.
Anche con riferimento al caso oggetto di giudizio, l’atto di rimessione rileva come
“proprio la caratteristica della motivazione di tali provvedimenti evidenzia un irrimediabile vulnus laddove ai soggetti le cui vicende personali, anche molto risalenti e addirittura già oggetto di valutazione favorevole in occasione di precedenti provvedimenti favorevoli, vengano rivisitate in chiave opposta, non venisse consentito di interloquire, avuto riguardo alle conseguenze esiziali che poi derivano dall’interdittiva (anche) per gli stessi sul piano individuale e patrimoniale” e dunque “il riconoscimento della legittimazione al ricorso potrebbe, tra l’altro, compensare l'omessa garanzia del contraddittorio endoprocedimentale”.
Si ricordi, a tal fine, come “nonostante l’invasività degli effetti delle misure in questione, per pervenire alle quali si attinge normalmente a piene mani da atti di procedimenti penali . . . il procedimento in questione, formalmente amministrativo, (non) contempli alcune delle garanzie riconosciute all’indagato e/o all’imputato”, di modo che “la possibilità di ricorrere consentirebbe (a chi si trova definitivamente estromesso da ogni attività economica/professionale) di recuperare, quantomeno a provvedimento emesso, attraverso la tutela giudiziale, parte delle garanzie ordinariamente connesse a provvedimenti di natura gravemente afflittiva”.
7. L’esame nel merito della controversia – che conseguirebbe dall’eventuale accoglimento della soluzione favorevole alla legittimazione degli odierni appellanti, e quindi dalla riforma della decisione di primo grado che ha dichiarato il ricorso inammissibile – comporta, secondo il Giudice rimettente, l’esame di una ulteriore questione (che viene parimenti sottoposta a questa Adunanza Plenaria), preliminare allo scrutinio dei motivi di ricorso non esaminati e per i quali il giudice di primo grado ha consumato il proprio potere.
Nel caso in esame, oggetto del presente giudizio di appello è una sentenza che ha deciso dell’impugnazione di un atto (l’interdittiva antimafia) impugnato anche dalla società destinataria e, inoltre, alcuni dei ricorrenti (ora appellanti) avevano poi impugnato lo stesso atto con successivo ricorso.
Come si è già esposto, il Giudice di primo grado ha negato la pur richiesta riunione.
Orbene, la sentenza di rimessione evidenzia come – se è vero che i provvedimenti circa la riunione di cui all'art. 70 del c.p.a. tradizionalmente vengono ritenuti non sindacabili, posto che l'opportunità della riunione dei giudizi è rimessa alla discrezionalità del giudice innanzi al quale pendono i giudizi stessi, il cui mancato esercizio, sebbene ne sussistano i presupposti, non può di per sé costituire vizio della pronuncia, essendo sindacabile soltanto per manifesta abnormità (Cons. St., sez. III, 30 settembre 2020, n.5746), ma con l'unica eccezione del caso in cui la medesima domanda sia proposta con due distinti ricorsi dinanzi al medesimo giudice – tuttavia, nel caso in cui questo Consiglio dovesse decidere l’appello nel merito, la mancata riunione “comporterebbe la privazione di un grado di giudizio anche a discapito degli altri ricorsi proposti avverso il medesimo provvedimento da soggetti diversi, i quali si troverebbero a vedere deciso in unico grado di appello il ricorso contro il medesimo provvedimento oggetto del loro ricorso al Tar, senza che in questo grado di giudizio possano essere, ovviamente, esaminati i motivi dei loro ricorsi.
E’ infatti evidente che, allorquando venga emessa una decisione in appello sulla questione sostanziale sottoposta da soci ed ex amministratori della società attinta dall’interdittiva, pendente in primo grado il ricorso proposto dall’impresa (che nel caso in questione non risulta nemmeno fissato), l’esito di quest’ultimo verrebbe inevitabilmente pregiudicato dalla decisione, in ipotesi negativa, intervenuta in appello, le cui considerazioni verrebbero, verosimilmente, fatte proprie dal giudice di primo grado, specie a fronte di censure simili. E ciò senza che l’impresa ricorrente abbia potuto in alcun modo esercitare il proprio diritto alla difesa”.
8. In vista dell’udienza innanzi a questa Adunanza Plenaria, le parti hanno depositato memorie. In particolare, l’ATO -omissis- Agrigento ha eccepito l’improcedibilità del ricorso di prime cure e dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse; ciò in quanto “il giudice remittente non ha potuto tenere conto . . . della intervenuta sentenza di fallimento emessa dal Tribunale di Palermo, e quindi della evidenza che al non temuto accoglimento delle richieste avversarie non seguirebbe il preteso reinsediamento nella gestione della società degli stessi appellanti . . . e, nelle more, la gestione del S.I.I. . . . è stata comunque affidata ex novo ad altro e diverso soggetto”.
Dopo il deposito di ulteriori memorie, all’udienza pubblica di trattazione la causa è stata riservata in decisione.
Motivi della decisione
9. L’Adunanza Plenaria ritiene che gli amministratori ed i soci di una società destinataria di interdittiva antimafia non sono titolari di legittimazione attiva all’impugnazione di tale provvedimento.
10. Come è dato rilevare, la sentenza di rimessione, nell’evidenziare la propria tendenziale preferenza per l’orientamento giurisprudenziale volto a riconoscere la legittimazione all’impugnazione dell’interdittiva antimafia in capo ad ex amministratori e a soci della persona giuridica – nel riconoscere che il problema preliminare è costituito dalla “individuazione dei soggetti che patiscano effetti diretti dall’adozione di provvedimenti” di interdittiva antimafia - fonda il riconoscimento di legittimazione attiva su una pluralità di profili di interesse costituiti:
- per gli ex amministratori, dal “pregiudizio professionale” derivante dalla sostituzione degli organi di gestione, e dunque sulla titolarità di una posizione giuridica connessa all’immagine professionale del soggetto (pag. 12), nonché sul fatto (patrimonialmente rilevante) della “espunzione da una attività professionale che spesso costituisce l’unica fonte di reddito” (pag. 17);
- per i soci, su diritti (sostanzialmente) di natura patrimoniale, consistenti nella “impossibilità di effettuare scelte imprenditoriali e quindi compromissione degli investimenti economici profusi nell’azienda” (pag. 12);
- per gli ex amministratori e/o soci, sul diritto alla “dignità e reputazione”, pregiudicati laddove le proprie “vicende personali e familiari costituiscano diretto oggetto di motivazione” (pag. 12 e 17).
A ciò la sentenza parziale aggiunge, argomentando diffusamente (v. pagg. da 15 a 19), la considerazione che “il sacrificio delle garanzie procedimentali potrebbe essere bilanciato dalla possibilità di far valere le proprie ragioni in sede giurisdizionale anche da parte dei soggetti che sono immediatamente e gravemente incisi dal provvedimento prefettizio sebbene non formalmente destinatari dello stesso”.
11.1. Ritiene l’Adunanza Plenaria che tale ultima considerazione non possa assumere rilievo ai fini della soluzione della questione di diritto ad essa sottoposta.
Ed infatti, posta (salvo quanto di seguito precisato) la esclusione della partecipazione dei soggetti interessati al procedimento volto all’emanazione dei provvedimenti intedittivi, desumibile dagli articoli 84 e 91 d. lgs. 6 settembre 2011 n. 159, non appare possibile, onde riconoscere la legittimazione attiva in sede processuale (ai fini del ricorso avverso tale provvedimento), argomentare in termini di “bilanciamento” del “sacrificio delle garanzie procedimentali” ovvero di “compensazione” della “omessa garanzia del contraddittorio endoprocedimentale” per il tramite di un riconoscimento di legittimazione ad agire.
Appare, infatti, evidente che ciò che rileva, ai fini della soluzione del quesito sottoposto all’Adunanza Plenaria, è la individuazione della sussistenza (o meno) di una situazione soggettiva in capo agli amministratori ed ai soci della persona giuridica, con la conseguenza che, laddove tale situazione venga individuata ed abbia, in particolare, la consistenza di interesse legittimo, su di essa potrà fondarsi la legittimazione ad agire in giudizio a tutela della posizione medesima, in piena attuazione degli articoli 24 e 113 Cost. e, non ultimo, la stessa possibilità di partecipazione procedimentale, ai sensi degli artt. 7 ss. della legge n. 241/1990 (salvo verificare la specifica compatibilità degli istituti della l. n. 241/1990 con la disciplina del Codice delle leggi antimafia); non sussistendo, in caso contrario, né la legittimazione ad agire in giudizio né quella a partecipare al procedimento.
Né può essere obliato che, anche in sede di partecipazione procedimentale, la stessa legge n. 241 del 1990 – utilizzando un concetto di “pregiudizio” variamente riferito a diverse tipologie di “interesse” - conosce forme e livelli diversi di partecipazione in funzione di tutela nell’ambito del procedimento, riconoscendo:
- una partecipazione piena – quale forma di tutela “anticipata” in sede procedimentale delle proprie situazioni giuridiche – ai destinatari diretti del provvedimento che l’amministrazione intende assumere a conclusione del procedimento amministrativo, ovvero a coloro che dall’emanazione del medesimo, ancorché non ne siano diretti destinatari, possano subire un pregiudizio (i cd. controinteressati in sede procedimentale):
- una ulteriore forma di partecipazione, riconosciuta a quei soggetti, portatori di interessi pubblici o privati “cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento”
E tali differenti forme di partecipazione procedimentale si riflettono su distinte situazioni in sede processuale, quali quella della legittimazione ad agire o a resistere, per un verso; ovvero dell’intervento (ad adiuvandum o ad opponendum), per altro verso. (Cons. Stato, sez. V, 8 aprile 2021 n. 2836; sez. IV, 16 febbraio 2010 n. 887).
11.2. D’altra parte, il recente d.l. 6 novembre 2021 n. 152, nell’introdurre modifiche agli artt. 92 e 93 del d. lgs. n. 159/2011, prevede forme di partecipazione del soggetto destinatario del provvedimento di informazione antimafia interdittiva, disponendo che allo stesso venga data tempestiva comunicazione, indicando gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa ed assegnandogli un termine (non superiore a venti giorni) per presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da documenti, nonché per richiedere l'audizione.
Tale nuova disciplina per un verso stempera le perplessità espresse dalla sentenza di rimessione in ordine all’adozione di un provvedimento “con riverberi assai durevoli nel tempo, se non addirittura permanenti, indelebili e inemendabili” senza alcun contraddittorio endoprocedimentale (cui, nella prospettazione offerta, dovrebbe fare da “bilanciamento” il riconoscimento di legittimazione processuale); per altro verso, rende palese come il legislatore ritenga titolare di una situazione giuridica tale da legittimarlo alla partecipazione procedimentale (nei termini ivi specificamente disciplinati) il solo soggetto possibile destinatario della misura interdittiva (la persona giuridica) e non altri (amministratori, soci, etc.).
12.1. Come si è innanzi affermato, dunque, la risposta al quesito sottoposto consiste nella individuazione della sussistenza (o meno) di una posizione soggettiva in capo agli amministratori ed ai soci della persona giuridica, con la conseguenza che, solo nel caso in cui tale posizione venga individuata ed abbia, in particolare, la consistenza di interesse legittimo, e questo subisca “pregiudizio” dall’esercizio del potere amministrativo, su di essa potrà fondarsi la legittimazione ad agire in giudizio a tutela della posizione medesima, in piena attuazione degli articoli 24 e 113 Cost..
12.2. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha più volte affermato che, nell’ambito del processo amministrativo impugnatorio, la legittimazione e l’interesse al ricorso integrano condizioni dell’azione necessarie per consentire al giudice adito di pronunciare sul merito della controversia, condizioni che devono esistere al momento della proposizione della domanda processuale e persistere fino alla decisione della vertenza (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 9).
La legittimazione e l’interesse al ricorso trovano giustificazione nella natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, che non risulta preordinata ad assicurare la generale legittimità dell’operato pubblico, bensì tende a tutelare la situazione soggettiva del ricorrente, correlata ad un bene della vita coinvolto nell’esercizio dell’azione autoritativa oggetto di censura (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4).
Il giudice procedente, in particolare, deve quindi pregiudizialmente verificare l’esistenza in capo alla parte ricorrente:
- di una posizione qualificata e differenziata (avente consistenza di interesse legittimo), correlata al bene della vita oggetto di esercizio del pubblico potere, idonea a distinguere il ricorrente da ogni altro consociato (accertamento strumentale alla verifica della legittimazione al ricorso);
- di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente, suscettibile, pertanto, di essere beneficiato - e, dunque, di trarre un’utilità effettiva - da un’eventuale sentenza di accoglimento della propria impugnazione (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4; sez. VI, 14 giugno 2021 n. 4598).
12.3. A tali fini occorre ricordare che - come la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di sottolineare (Cons. Stato, sez. IV, 3 agosto 2011 n. 4644 e 7 marzo 2013 n. 1403) - ciò che caratterizza l’interesse legittimo – e che costituisce la differenza essenziale dello stesso dal diritto soggettivo – è la sua inerenza alla esistenza e, soprattutto, all’esercizio del potere amministrativo: l’interesse legittimo, infatti, non è percepibile sul piano, per così dire, “statico”, senza, cioè, che la pubblica amministrazione abbia esercitato o negato di esercitare, nei confronti del soggetto, il potere del quale essa è titolare.
Occorre ribadire, dunque, che la posizione di interesse legittimo (alla quale inerisce la legittimazione ad agire in sede processuale) presuppone ed esprime necessariamente una relazione intercorrente tra un soggetto che ha (o intende ottenere) una determinata utilità (riferita ad un “bene della vita”), e la pubblica amministrazione nell’esercizio di un potere ad essa attribuito dall’ordinamento giuridico, sia che tale utilità consista nel neutralizzare l’esercizio del potere amministrativo, a tutela di un patrimonio giuridico già esistente che verrebbe altrimenti compresso; sia se volta ad ottenere l’esercizio del potere amministrativo negato dall’amministrazione, attraverso il quale si intende(va) conseguire un ampliamento del proprio patrimonio giuridico.
In ambedue le ipotesi, quindi, esiste un rapporto diretto ed immediato tra l’esercizio del potere amministrativo (e ciò in cui esso si sostanzia, cioè il provvedimento amministrativo) e l’interessato all’esercizio del potere medesimo, Tale relazione diretta si concretizza nel fatto che il provvedimento amministrativo e suoi effetti interessano direttamente (ed univocamente) il patrimonio giuridico di un determinato soggetto, in senso compressivo o ampliativo.
Il primo riflesso di tale relazione diretta ed immediata è rappresentato dalla cd. partecipazione procedimentale, dalla possibilità, cioè, riconosciuta a titolari di posizioni qualificate (dall’essere interessate all’esercizio del potere) al modo stesso, epifanico, del “farsi” del potere amministrativo, alla costruzione delle determinazioni della pubblica amministrazione, nel luogo a ciò destinato, il procedimento amministrativo.
Proprio in virtù della relazione diretta ed immediata che deve intercorrere tra potere amministrativo e situazione di interesse legittimo, l’art. 7 della legge n. 241 del 1990 individua i soggetti che, in quanto titolari di determinate posizioni che saranno interessate dal provvedimento finale, devono essere destinatari della comunicazione di avvio del procedimento, onde essere messi in condizione di partecipare al medesimo, svolgendovi attività riconducibile ad una forma di tutela – anticipata e “procedimentale” – della propria posizione giuridica.
A fronte di ciò, il successivo art. 9, come si è già avuto modo di accennare, individua ancora – quali soggetti distinti dai precedenti – coloro che possono partecipare al processo, in quanto vi hanno interesse, in tal modo dimostrandosi come, anche nell’ambito del procedimento amministrativo, l’esercizio del potere amministrativo non determina di per sé posizioni indifferenziate, come tali tutte meritevoli dell’identica tutela a questo riconosciuta.
Ulteriore riflesso della relazione diretta ed immediata tra soggetto titolare di interesse legittimo e pubblica amministrazione è rappresentato dal potere di agire in giudizio per la tutela del proprio interesse legittimo compromesso dall’esercizio o dal mancato esercizio (provvedimento negativo) del potere amministrativo.
In tal senso, il giudizio amministrativo, nella sua forma di giudizio impugnatorio di atti, tende ad assicurare al soggetto che si ritiene leso un vantaggio, che, attraverso l’eliminazione del provvedimento lesivo, consiste o nel recuperare la pienezza del proprio patrimonio giuridico ovvero nel conseguire (o tentare di conseguire) attraverso l’esercizio del potere amministrativo un ampliamento del proprio patrimonio giuridico.
Ma, in ambedue le ipotesi, l’effetto proprio della sentenza costitutiva di annullamento si produce direttamente (e solo) sul patrimonio giuridico del soggetto per il quale si è instaurata – volente o nolente - una particolare relazione con la pubblica amministrazione, vuoi perché è l’amministrazione stessa che, unilateralmente e procedendo ex officio, ha intercettato la sua situazione giuridica, vuoi perché, al contrario, è stato il soggetto, attraverso una propria iniziativa di avvio procedimentale, a postulare l’esercizio (poi negato) del potere amministrativo.
Alla luce di quanto sin qui esposto, può allora affermarsi che le caratteristiche di “personale” e “diretto”, che devono assistere l’interesse legittimo, svolgono, sul piano sostanziale, anche il ruolo di definire l’ambito della (possibile) titolarità della posizione giuridica, il riconoscimento e tutela della medesima da parte dell’ordinamento giuridico.
Nell’ambito della situazione dinamica in cui si pone l’esercizio del potere amministrativo, dunque, l’interesse è “personale” in quanto si appunta solo in capo al soggetto che si rappresenta come titolare, ed è altresì (inscindibilmente con la prima caratteristica), anche “diretto”, in quanto il suo titolare è posto in una relazione di immediata inerenza con l’esercizio del potere amministrativo (per essere destinatario dell’atto e/o per avere nei confronti dell’atto una posizione opposta, speculare a quella del destinatario diretto).
Ne consegue che non possono esservi posizioni di interesse legittimo nei confronti della pubblica amministrazione nell’esercizio del potere amministrativo conferitole dall’ordinamento, che non siano quelle (e solo quelle) che sorgono per effetto dello stesso statuto normativo del potere, nell’ambito del rapporto giuridico di diritto pubblico, (pre)configurato normativamente.
L’interesse legittimo prevede, dunque, l’instaurazione di un rapporto giuridico con la pubblica Amministrazione; un rapporto giuridico che, per di più, non è ipotizzabile come potenziale, ma che si instaura al momento stesso dell’insorgenza della posizione.
Laddove, dunque, gli attributi di “personale” e “diretto” attengono all’interesse legittimo in quanto posizione sostanziale, e consentono di circoscriverne la titolarità, l’ulteriore attributo di “attuale”, attiene alla proiezione processuale della posizione sostanziale, alla emersione della esigenza di tutela per effetto di un atto concreto e sincronicamente appezzabile di esercizio di potere, che renda dunque necessaria l’azione in giudizio, onde ottenere tutela, e quindi “utile”, a tali fini, la pronuncia del giudice.
E’ tale posizione giuridica, nei sensi sopra descritti, che legittima al ricorso avverso l’atto amministrativo lesivo, se ed in quanto, attraverso l’annullamento dell’atto, si conserva o consegue (o si può conseguire, anche attraverso il riesercizio del potere amministrativo) quella utilità di cui si è, o si ritiene di dovere diventare, o si intende diventare, “titolare”.
Al contrario, laddove non è individuabile tale posizione, ma purtuttavia sono enucleabili generiche posizioni di interesse (anche derivanti da rapporti, quale che ne sia la fonte, intercorrenti tra soggetto in relazione con il potere amministrativo ed ulteriori soggetti), queste ultime – che ben possono ricevere indirettamente e/o di riflesso, un “pregiudizio”- legittimano i loro titolari a spiegare intervento in giudizio, ma non già ad impugnare autonomamente il provvedimento lesivo della sfera giuridica del soggetto con il quale intrattengono a diverso titolo rapporti giuridici.
L’ampliamento o la compressione del patrimonio giuridico, come si è già avuto modo di osservare, devono derivare direttamente dall’esercizio del potere amministrativo e solo questo determina, in sede processuale, la legittimazione ad agire.
13, Nel caso oggetto del presente giudizio, non può non rinvenirsi carenza di legittimazione attiva in capo agli amministratori ed ai soci della persona giuridica colpita da interdittiva antimafia.
Come ha condivisibilmente affermato il prevalente orientamento della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (si veda, inter alia, Cons. Stato, sez. III, 22 gennaio 2019 n. 539) “il decreto prefettizio può essere impugnato dal soggetto che ne patisce gli effetti diretti, e quindi, dal destinatario dell’atto, e cioè dalla società, in quanto solo il destinatario subisce la lesione immediata e diretta alla sua posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo che consente il ricorso dinanzi al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 7, comma 1, c.p.a.”.
Si è anche affermato come laddove “la lesione lamentata dal ricorrente riveste ed è stata da egli stesso qualificata come lesione del suo “diritto” alla reputazione, alla dignità, situazione giuridica soggettiva che non ha natura di interesse legittimo, ma di diritto soggettivo”, vi è carenza di titolarità di interesse legittimo “il che comporta ulteriori profili di inammissibilità del ricorso sotto altro aspetto”.
Più specificamente, con riferimento alla posizione degli appellanti nella presente sede, è la posizione degli stessi in rapporto alla persona giuridica/società per azioni che, alla luce di quanto innanzi esposto, esclude la loro legittimazione ad agire, non essendo individuabile una loro titolarità di interesse legittimo.
Se, come essi stessi affermano (v. pag. 3 memoria del 15 ottobre 2021), “il carattere di persona giuridica attribuito alla società non può eliderne la natura contrattuale e dunque il legame indissolubile con i contraenti, ossia i soci, o con le persone fisiche che, come gli amministratori, svolgono alcuni ruoli indispensabili perché la società possa determinarsi ad operare”, appare evidente come gli amministratori e/o i soci non siano destinatari diretti dell’esercizio del potere amministrativo, essendovi relazione diretta solo tra potere amministrativo e persona giuridica, ma essi emergono con un proprio (possibile e riflesso) pregiudizio solo per effetto di un diverso rapporto (di natura contrattuale o di altro tipo) che li lega al destinatario diretto (la società).
Ma questo rapporto, estraneo alla relazione intersoggettiva tra destinatario dell’atto e pubblica amministrazione, è inidoneo a far sorgere situazioni di interesse legittimo e impedisce, quindi, di configurare sul piano processuale la legittimazione ad agire nei confronti del provvedimento di interdittiva antimafia.
Ciò non significa che tale provvedimento non possa produrre “pregiudizi” sulla loro sfera giuridica, ma che, in ogni caso, questi ultimi non possono sorreggere la legittimazione ad impugnare, ma solo, nell’ambito del sindacato giurisdizionale di legittimità e ricorrendone i presupposti, un intervento in giudizio.
14. Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, l’Adunanza Plenaria formula il seguente principio di diritto:
“gli amministratori ed i soci di una persona giuridica destinataria di interdittiva antimafia non sono titolari di legittimazione attiva all’impugnazione di tale provvedimento”.
La soluzione data al primo quesito dispensa l’Adunanza Plenaria dall’esaminare il secondo quesito, sottopostole in via subordinata per il caso in cui venisse riconosciuta la sussistenza di legittimazione ad agire da parte di amministratori e soci contro il provvedimento di informativa antimafia interdittiva emesso nei confronti della società.
15. L’Adunanza Plenaria dispone la restituzione del giudizio al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, per ogni ulteriore decisione nel merito e sulle spese ed onorari del giudizio, ivi compresi quelli inerenti alla presente fase.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), pronunciando sull’appello n. 6735/2021 r.g.:
- enuncia il principio di diritto di cui in motivazione;
- restituisce per il resto il giudizio al rimettente Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare.