E questa deve essere modulata, conformemente alle indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021 Succi e altri c/ Italia, secondo criteri di sinteticità e chiarezza.
La Corte di Cassazione, dibattendo sulla richiesta di protezione internazionale presentata da un cittadino nigeriano, ha pronunciato con la sentenza n. 3612 del 4 febbraio 2022 il seguente principio di diritto: «La deduzione di inammissibilità dell'appello, a norma dell'
Svolgimento del processo
1. Con sentenza 31 ottobre 2019, la Corte d’appello di Roma dichiarava inammissibile il gravame di V.I., cittadino nigeriano, avverso l’ordinanza di primo grado, di reiezione delle sue domande di protezione internazionale e umanitaria;
2. essa escludeva la specificità dei motivi di impugnazione, alla luce del modello paradigmatico stabilito dall’art. 342 c.p.c., non avendo essi sottoposto a puntuale critica le ragioni dell’ordinanza del Tribunale, che, pure avendo formulato un giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni del predetto (che aveva riferito di essere fuggito da (omissis), in Edo State, nella parte meridionale della Nigeria, per timore di essere ucciso dagli anziani del villaggio nel 2016 dopo ben tre anni dal decesso del padre, avendo egli rifiutato di assumerne alla morte il ruolo nella setta degli adoratori del dio Agbanugi, a causa della sua fede cristiana, benché nulla ne sapesse della dottrina), aveva tuttavia negato la sussistenza dei requisiti delle misure di protezione internazionale e umanitaria richieste, distintamente esaminati;
3. con atto notificato il 28 gennaio 2020, lo straniero ricorreva per cassazione con unico motivo; il Ministero dell’Interno intimato non resisteva con controricorso, ma depositava atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all'udienza di discussione ai sensi dell'art. 370, primo comma, ult. alinea c.p.c., cui non faceva seguito alcuna attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., per la specificità dei motivi di appello, di espressa critica dell’ordinanza di primo grado (unico motivo);
2. esso è fondato;
3. secondo la giurisprudenza di questa Corte, gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. 83/2012, conv. con modif. dalla l. 134/2012, devono essere interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze: sicché, alla parte volitiva va affiancata una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza necessità di particolari forme sacramentali o di redazione di un progetto alternativo di decisione, da opporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. s.u. 16 novembre 2017, n. 27199); dovendo le censure essere articolate in modo da contrapporsi, in virtù di compiute argomentazioni, alla motivazione della sentenza impugnata, mirando ad incrinarne il fondamento logico-giuridico (Cass. 11 maggio 2004, n. 8926; Cass. s.u. 9 novembre 2011, n. 23299; Cass. 22 settembre 2015, n. 18704; Cass. 15 giugno 2016, n. 12280), secondo un principio di simmetria nel raffronto tra la motivazione del provvedimento appellato e la formulazione dell’atto di gravame (Cass. 23 febbraio 2017, n. 4695);
4. occorre pure ribadire, con particolare riferimento alla deduzione di inammissibilità dell’appello a norma dell’art. 342 c.p.c., integrante error in procedendo legittimante l’esercizio dal giudice di legittimità del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, come esso presupponga pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura: sicché, il ricorrente che censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e non può limitarsi a rinviare all'atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. 29 settembre 2017, n. 22880; Cass. 6 settembre 2021, n. 24048);
4.1. la prescrizione di specificità posta, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c. (in riferimento al profilo cd. di “autosufficienza” o, altrimenti detto, del “principio di autonomia” del ricorso per cassazione), deve peraltro essere declinata secondo le indicazioni della recente sentenza CEDU 28 ottobre 2021, Succi e altri c/ Italia;
4.1.1. ed essa, anche richiamando (al p.to 23 in motivazione) il protocollo concluso il 17 dicembre 2015 tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense (il quale, nel dichiarato obiettivo di “arrivare ad una disciplina concreta del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione”, ha chiarito che il suo rispetto “non comporta un onere di trascrizione integrale nel ricorso e nel controricorso di atti o documenti ai quali negli stessi venga fatto riferimento”, essendo sufficiente all’osservanza del principio di specificità imposto dal codice di rito, modulato nei criteri di sinteticità e chiarezza, la trascrizione essenziale di atti e documenti, per la parte d’interesse) e il Piano Nazionale di Recupero e di Resilienza (il “PNR”) adottato dal Governo nel 2021, mirante a rendere effettivo il principio della natura sintetica degli atti e quello della leale collaborazione tra il giudice e le parti (al p.to 24 in motivazione), ha affermato, in sintesi: a) il fine legittimo, in linea generale ed astratta, del principio di autosufficienza del ricorso, in quanto destinato a semplificare l'attività del giudice di legittimità e allo stesso tempo a garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte (ai p.ti 74 e 75 in motivazione); b) la necessità tuttavia, nell’applicazione concreta, della rispondenza di tale principio ad un criterio di proporzionalità della restrizione rispetto allo scopo, non potendosi giustificare una interpretazione troppo formale delle limitazioni imposte ai ricorsi, al punto da trasformarsi in uno strumento per limitare il diritto di accesso ad un organo giudiziario in modo o in misura tale da incidere sulla sostanza stessa di tale diritto (al p.to 81 in motivazione); c) una tendenza da parte della Corte di cassazione, nell’applicazione del principio dell’autosufficienza del ricorso (almeno fino alle sentenze nn. 5698 e 8077 del 2012), a concentrarsi su aspetti formali esorbitanti rispetto alla legittimità dello scopo, in particolare “per quanto riguarda l’obbligo di trascrivere integralmente i documenti inclusi nei motivi di ricorso e il requisito della prevedibilità della restrizione dell’accesso alla Corte” (al p.to 82 in motivazione);
5. alla luce dei suenunciati rilievi e principi di diritto, deve allora essere ritenuta l’ammissibilità del motivo, in quanto rispettoso del principio di specificità posto dall'art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c., avendo il richiedente, nella risultanza obiettiva dalla sentenza d’appello (al penultimo capoverso di pg. 2) della parte essenziale dell’ordinanza di primo grado, trascritto nel ricorso (sub p.to 2 di pgg. 2 e 3) in modo adeguato i motivi di appello, così da illustrare il contenuto della critica mossa al provvedimento impugnato (Cass. 29 settembre 2017, n. 22880; Cass. 23 dicembre 2020, n. 29495; Cass. 6 settembre 2021, n. 24048);
6. nel merito, il motivo di ricorso illustra, con l’articolazione critica del suo contenuto, la rispondenza dell'impugnazione avverso l’ordinanza del Tribunale al modello paradigmatico prefigurato dagli artt. 342 e 434 c.p.c., secondo i principi di diritto enunciati al superiore p.to 3; cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione e l’enunciazione del seguente principio di diritto: “la deduzione di inammissibilità dell’appello, a norma dell’art. 342 c.p.c., integrante error in procedendo, che legittima l’esercizio dal giudice di legittimità del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura, che deve pertanto riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la specificità. E questa deve essere modulata, conformemente alle indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, S. e altri c/ Italia, secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, nel contemperamento del fine legittimo di semplificare l'attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte, con il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza”.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.