Impercorribile la strada dell'adozione mite se il giudice accerta l'inidoneità irreversibile della capacità genitoriale.
La Corte d'Appello respingeva gli appelli proposti dai genitori contro la dichiarazione dello stato di adottabilità del figlio minore pronunciata dal Tribunale per i minorenni. In particolare, dall'acquisizione della relazione dei servizi sociali era emerso il comportamento «irrimediabilmente abbandonico di entrambi i genitori»: il padre, infatti, aveva continuato a fare uso di...
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 468/2021, depositata il 22/01/2021, la Corte d'appello di Roma ha respinto gli appelli, proposti separatamente da M.B.S. e da M.S., poi riuniti, contro la dichiarazione dello stato di adottabilità del figlio minore R.M.S. (nato a Roma, il 20/03/2011) pronunciata dal Tribunale per i minorenni, dopo avere acquisito una relazione aggiornata dei servizi sociali e sentito la madre del minore, comparsa all'udienza del 15/12/2020. Il giudice di merito, ricostruita l'intera vicenda e le ragioni poste a fondamento della decisione di primo grado, ha ritenuto dimostrato il comportamento irrimediabilmente abbandonico di entrambi i genitori. Con riferimento al padre, la Corte d'appello ha evidenziato come il minore abbia assistito per anni a reiterati maltrattamenti fisici all'interno dell'abitazione familiare, agiti contro la madre dal padre, senza quest'ultimo manifestasse alcuna concreta volontà di resipiscenza e di recupero, avendo continuato, anche dopo il collocamento del figlio in casa famiglia a fare uso di alcolici, a picchiare la compagna e a sottrarsi a qualsiasi percorso presso il SERD e i servizi sociali, tant'è che nelle valutazioni della casa famiglia e del centro che ha preso in cura il minore emergeva come quest'ultimo rappresenti il padre unicamente come fonte di pericolo e causa dell'attivazione di un meccanismo adultizzante, volto ad assumersi lui la responsabilità di proteggere la madre. Lo stesso giudice dell'impugnazione ha rilevato che l'unica figura parentale emersa nel corso del procedimento era quella del fratello del padre, vicino di casa, presso cui il minore si è rifugiato durante alcuni episodi di violenza assistita, il quale, però, pur essendo a conoscenza dell'esistenza del procedimento, non ha mai chiesto l'affidamento del nipote, ma si è limitato a sentirlo telefonicamente. Secondo la Corte e d'appello, tale parente non ha avuto rapporti significativi con il minore e non aveva capacità protettiva del bambino. Con riferimento alla madre, la Corte d'appello ha confermato il e comportamento abbandonico descritto dal tribunale per i minorenni, per avere la donna lasciato che il minore vivesse a lungo in un clima violento, senza compiere alcuna seria iniziativa per offrirgli una vita accettabile. La stessa aveva chiesto l'intervento delle istituzioni solo quando si era trovata a non avere alternative e, puntualmente, ogni volta, era tornata dal compagno, portando con sé il bambino, che ha iniziato a vivere serenamente solo quando è stato inserito, da solo, in una casa famiglia, mentre la madre è tornata dal suo compagno violento, mettendo, nei fatti, la relazione di coppia al di sopra degli interessi del bambino. La stessa Corte, facendo proprie le osservazioni del centro che ha preso in cura il minore, ha evidenziato che la ricorrente, pur essendo sempre presente ai colloqui con il minore, oltre ,a mostrarsi poco consapevole del danno arrecato al figlio, esposto alle violenze intrafamiliari e a uno stile di vita poco attento ai suoi bisogni primari, ha mostrato una scarsa propensione ad assumere una funzione genitoriale responsabile, efficace ed accogliente nei confronti del minore in termini di stabilità socio-educativa e progettualità familiare. Dalla relazione richiamata, la Corte d'appello ha fatto proprie le osservazioni sulle condizioni del minore, ove è stato evidenziato il serio rischio di un crollo psichico di quest'ultimo, che conserva il ricordo vivo delle violenze e, per lenire il dolore, ha tentato di crearsi un mondo di sicurezze tramite costruzioni mentali, considerando come porto sicuro, non i genitori, ma la struttura che lo ospita. In tale quadro, la Corte di merito ha ritenuto che «le esigenze di stabilità affettiva del minore, così seriamente deprivato di sicure figure di riferimento, rendono impercorribile la strada dell'affidamento temporaneo a terzi ed anche quella della cosiddetta adozione "mite". Il mantenimento di qualsiasi contatto con due genitori o con uno di essi, in presenza dei comportamenti abbandonici rispetto a cui un recupero anche parziale risulta del tutto incerto nell'an e nel quando, è infatti completamente disfunzionale al superiore interesse di R.M.: egli ha infatti chiaramente la preponderante necessità di fare chiarezza nella propria esistenza e soprattutto di avere un sostegno forte, sicuro, non ondivago, per poter sperare di recuperare il vulnus psichico già purtroppo evidente. Comprovato pertanto il grave, prolungato comportamento abbandonico, l'irrecuperabilità dello stesso in tempi anche lontanamente compatibili con le esigenze di stabilità e di crescita serena del bambino, è chiara la piena condivisibilità della statuizione di primo grado» (v. in particolare pp. 11-13 della sentenza impugnata). Avverso tale statuizione, M.S. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. Il curatore del minore ha notificato controricorso. M.B.S. ha notificato controricorso contenente ricorso incidentale, fondato su un unico motivo, in relazione al quale la ricorrente principale e il curatore del minore hanno notificato controricorso. La ricorrente principale ha depositato, in data 22/09/2021, memoria difensiva. Anche il ricorrente incidentale ha depositato, in data 23/09/2021, memoria difensiva.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso principale è dedotta la violazione o la falsa applicazione degli artt. 8 e 2:1 della I. n. 184 del 1983 e dell'art. 111 Cost., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per avere la Corte d'appello omesso di scrutinare la possibilità di interventi conservativi, che potessero porre rimedio alla situazione di criticità del rapporto genitoriale e, nel contempo, evitare il definitivo sradicamento del minore dalla famiglia di origine, in particolare, omettendo di considerare l'intendimento della ricorrente, che è sempre stata presente agli incontri con il figlio, di anelare a vivere in casa famiglia insieme a quest'ultimo. Con il secondo motivo di ricorso principale è dedotta la nullità della sentenza per difetto di motivazione ex artt. 132 c.p.c. e 161 c.p.c. e 111 Cost, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., per avere la Corte di appello ritenuto di poter dichiarare l'adottabilità del minore, senza compiere una completa indagine finalizzata ad accertare l'inadeguatezza di ogni altro rimedio. Con il terzo motivo di ricorso principale è dedotto l'omesso esame di fatti decisivi, costituiti: 1) dall'esigenza del minore di mantenere il legame con la figura materna; b) dalla disponibilità della madre di vivere in casa famiglia con il figlio. La ricorrente ha, in particolare, ritenuto che, non sussistendo un conclamato caso di abbandono ed avendo la ricorrente manifestato l'intenzione di vivere con il figlio in casa famiglia, la Corte d'appello avrebbe dovuto valutare la possibilità di mettere in atto la richiesta "adozione mite".
2. Il controricorrente M.B.S., con l'unico motivo di ricorso incidentale ha dedotto la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 11, n. 3), c.p.c. e, dopo avere illustrato gli approdi della giurisprudenza in ordine ai presupposti per la dichiarazione dello stato di adottabilità, ha affermato che i principi enunciati avrebbero dovuto applicarsi alla fattispecie, aggiungendo che, invece, negli ultimi mesi non era stato possibile dar luogo ad alcuna attività di verifica e controllo del rapporto genitori-figlio e che non era stata indagata con accuratezza l'esistenza di familiari che avrebbero potuto occuparsi del minore, sebbene la parte avesse formulato richieste di integrazione istruttoria sul punto.
3. I motivi di ricorso principale possono essere esaminati in un unico contesto, state l'intima connessione, e risultano tutti infondati. In sintesi, la ricorrente ha dedotto, sotto diversi punti di vista (violazione di legge, assenza di motivazione e omessa valutazione di fatti decisivi), che nella decisione impu9nata è stato ignorato il suo intendimento di andare a vivere con il figlio nella casa famiglia e di avere così pretermesso l'esigenza prioritaria del minore di conservare il rapporto con la figura materna.
3.1. Com'è noto, il giudice chiamato a decidere sulla dichiarazione di adottabilità del minore in stato di abbandono, in applicazione degli artt. 8 CEDU, 30 Cost., 1 I. n. 184 del 1983 e 315 bis, comma 2, c.c., deve accertare l'interesse del medesimo a conservare il legame con i suoi genitori biologici, pur se deficitari nelle loro capacità genitoriali, costituendo l'adozione legittimante una extrema ratio, cui può pervenirsi nel solo caso in cui non si ravvisi tale interesse, spettando pertanto al giudice di considerare il modello di adozione di cui all'art. 44, lett. d), della I. n. 184 del 1983, che può, ricorrendone i presupposti, costituire una forma di adozione mite, idonea a non recidere del tutto, nell'interesse del minore, il rapporto tra quest'ultimo e la famiglia di origine (Cass., Sez. 1, n. 1476 del 25/01/2021). In altre parole, nel valutare lo stato di adottabilità del minore, il giudice deve accertare la sussistenza dell'interesse del minore a conservare il legame con uno o entrambi i genitori biologici, anche se deficitari nelle loro capacità genitoriali ma non del tutto carenti (Cass., Sez. 1, n. 3643 del 13/02/2020). Ovviamente, il prioritario diritto dei minori a crescere nell'ambito della loro famiglia di origine non esclude la pronuncia della dichiarazione di adottabilità quando, nonostante l'impegno profuso dal genitore per superare le proprie difficoltà personali e genitoriali, permanga tuttavia la sua incapacità di elaborare un progetto di vita credibile per i figli, e non risulti possibile prevedere con certezza l'adeguato recupero delle capacità genitoriali in tempi compatibili con l'esigenza dei minori di poter conseguire una equilibrata crescita psico fisica (Cass., Sez. 1, n. 21554 del 27/07/2021). La valutazione coinvolge anche i familiari che abbiano rapporti significativi con il minore, perché il giudizio che conduce alla dichiarazione di adattabilità deve consequire ad un'indagine rigorosa ed attuale dei genitori e dei familiari disponibili entro il grado previsto dalla legge, ponendo al centro dell'esame la relazione con il minore nel suo sviluppo diacronico, tenuto conto che il legislatore, nell'art. 1 della I. n. 184 del 1983 ha stabilito in via predeterminata il prioritario diritto del minore stesso di rimanere nel nucleo familiare - anche allargato - di origine, in quanto tessuto connettivo della sua identità. La natura non assoluta ma bilanciabile di tale diritto impone, tuttavia, un esame approfondito delle condizioni di criticità dei genitori e delle altre figure ex lege coinvolte perché disponibili all'affido e delle loro capacità di recupero e cambiamento, ove sostenute da interventi di supporto adeguati anche al contesto socioculturale di riferimento (Cass., Sez. 1, n. 24717 del 14/09/2021).
3.2. Nel caso di specie, come si evince dal tenore della motivazione, sopra riportata, la Corte d'appello ha valutato compiutamente la capacità genitoriale, ritenendola irreversibilmente inidonea, evidenziando anche l'interesse del minore contrario all'adozione di misure diverse dalla pronuncia di adottabilità. Come sopra riportato, il giudice del gravame, coerentemente con i principi appena enunciati, ha ritenuto che le esigenze di stabilità affettiva del minore, così seriamente deprivato di sicure figure di riferimento, abbiano reso impercorribile la strada dell'affidamento temporaneo a terzi ed anche quella della cosiddetta adozione "mite". Il mantenimento di qualsiasi contatto con i due genitori o con uno solo di essi, in presenza dei comportamenti gravi di entrambi, rispetto a cui un recupero anche parziale risulta del tutto incerto nell'an e nel quando, è infatti stato ritenuto completamente disfunzionale al superiore interesse di R.M., che - ha precisato la Corte - ha bisogno di un sostegno forte, sicuro, non ondivago, per poter sperare di recuperare il vulnus psichico già purtroppo evidente. È stato rilevato il comportamento abbandonico non solo del padre - dedito all'abuso di alcolici e violento nei confronti della madre anche in presenza del bambino, non collaborativo nell'intraprendere percorsi con il SERD e con i servizi sociali - ma anche della madre, che ha chiesto aiuto alle istituzioni solo quando non ha potuto farne a meno e, poi, è più volte tornata a vivere con il marito, che ha continuato ad essere violento, portando con sé il bambino, che ha cominciato a vivere serenamente solo quando è stato inserito, da solo, in comunità. È stata anche richiamata la relazione del centro che ha preso in carico il minore, ove è emersa la scarsa consapevolezza della ricorrente del danno che ha arrecato al figlio, esposto alle violenze intrafamiliari e a uno stile di vita poco attento ai suoi bisogni, con una scarsa propensione ad assumere una funzione genitoriale responsabile, efficace ed accogliente nei confronti del minore. Non vi è alcuna concreta emergenza processuale, desumibile dalla sentenza impugnata o dalle allegazioni della parte ricorrente, dalla quale possa ricavarsi l'interesse del minore, nella specifica fattispecie, a mantenere il legame con la madre, la cui condotta, come quella del padre, è stata considerata del tutto inadeguata e dannosa per il minore. Secondo la ricorrente, la Corte di appello ha ignorato l'intendimento della ricorrente di andare a vivere in una casa famiglia con il figlio, ma - a prescindere dal fatto che la stessa parte non ha allegato nel ricorso di avere formulato tale precisa istanza nei gradi di merito - è evidente che tale possibilità è stata sicuramente esclusa, tenuto conto che, come sopra evidenziato, il giudice di appello ha motivatamente considerato come non percorribile la strada dell'adozione "mite". In conclusione, con riferimento alla figura materna, la decisione risulta essere stata adottata in conformità alle norme che individuano i presupposti per la dichiarazione dello stato di adottabilità, con una motivazione esauriente circa la impossibilità di seguire una strada diversa dall'adozione piena nell'esclusivo interesse del minore.
4. Il ricorso incidentale è inammissibile per genericità.
4.1. Come di recente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U, n. 23745 del 28/10/2020), l'onere di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, sancito dall'art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d'inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che devono essere espressamente richiamate, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare al giudice di legittimità compito di individuare - con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni - la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (v., da ultimo, Cass., Sez. 5, n. 18998 del 06/07/2021).
4.2. Nel caso di specie, il controricorrente ha dedotto la generica violazione dell'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., evidenziando gli approdi della giurisprudenza in tema dii dichiarazione dello stato di adottabilità e deducendo che, nella specie, i principi indicati avrebbero dovuto essere applicati. Ha poi dedotto che, tuttavia, negli ultimi mesi, non era stato possibile dar luogo ad alcuna attività di verifica e controllo del rapporto genitori-figlio, né era stata indagata l'esistenza di familiari che avrebbero potuto potrebbero, in presenza dei necessari requisiti, occuparsi del minore, sebbene lo stesso controricorrente avesse chiesto un supplemento istruttorio volto alla ricerca di tali soggetti, evidenziando, in particolare, di non sapere se il fratello, zio del minore, fosse a conoscenza dell'attuale situazione. È evidente che la generica lamentela dell'impossibilità dar luogo ad alcuna attività di verifica e di controllo del rapporto genitori-figlio prospetta in modo vago questioni del tutto estranee alla decisione impugnata e dunque inammissibili. Anche il riferito mancato compimento di indagini sull'eventuale esistenza di familiari che, in presenza dei requisiti, avrebbero potuto occuparsi del minore, si risolve in una censura del tutto generica. La parte non ha infatti dedotto la mancata considerazione di parenti hanno instaurato rapporti significativi con il figlio, interessati e capaci di prendersi cura di lui, ma ha fatto generico riferimento all'esistenza di un suo fratello, senza neppure illustrare che tipo di relazione avesse in atto con il piccolo R.M..
4.3. D'altronde, sotto quest'ultimo profilo, la censura appare comunque infondata, tenuto conto che nella sentenza impugnata è stata esaminata la figura dello zio paterno del minore che, pur essendo a conoscenza del procedimento, non ha chiesto l'affidamento del nipote, ma si è limitato a chiedere di poterlo sentire telefonicamente, non riscontrando rapporti significativi ed escludendo che fosse capace di proteggere il bambino.
5. In conclusione, deve essere respinto il ricorso principale e quello incidentale.
6. In considerazione dell'esito del giudizio, oltre che della particolare delicatezza e complessità delle questioni esaminate si ritiene di compensare integralmente le spese processuali.
7. Rilevato che il processo, riguardante minori, è esente dal contributo unificato, non si deve dare applicazione dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002.
8. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma dell'art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; compensa interamente tra le parti le spese del presente giudizio; dispone che in caso di diffusione della sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati, a norma dell'art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003.