La divulgazione o comunicazione a terzi di atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici integra il delitto di cui all'art. 326 c.p. anche quando abbia ad oggetto atti diversi da quelli previsti dalla legge.
La Corte d'Appello di Milano confermava la pronuncia di primo grado con la quale l'attuale ricorrente era stato ritenuto responsabile per i delitti di turbata libertà degli incanti e di rivelazione di segreti d'ufficio, in quanto egli, nelle vesti di responsabile unico del procedimento per l'assegnazione di un appalto, aveva sistematicamente favorito uno dei concorrenti...
Svolgimento del processo
1. Attraverso il proprio difensore, A.G.R. impugna la sentenza della Corte di appello di Milano del 6 novembre 2020, che ne ha confermato la condanna per i delitti di turbata libertà degli incanti e rivelazione di segreto d'ufficio (capi N e P dell'imputazione), per le condotte successive al 2 gennaio 2013, mentre, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, ha dichiarato l'estinzione per intervenuta prescrizione delle condotte precedenti nonché del delitto di corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio (capo O). Secondo tale decisione, nella sua qualità di direttore generale di "I.L. S.p.a." e di responsabile unico del procedimento per l'assegnazione dell'appalto, da parte di tale ente, per la realizzazione della "Città della salute e della ricerca" nel comune di Sesto San Giovanni, egli ha sistematicamente favorito uno dei concorrenti, ovvero l'associazione temporanea di imprese capeggiata dalla "C.G.M. S.p.a." e dalla "M.F.M. S.p.a.", verso il corrispettivo dell'impegno, da parte degli intermediari agenti nell'interesse di tali società, di procurargli diverse e più qualificate collocazioni professionali. Per i giudici distrettuali, in particolare, egli ha rivelato i nominativi delle altre imprese che avevano presentato le offerte, prima della formalizzazione del relativo verbale; ha segnalato in anticipo alcune modifiche progettuali tali da garantire una valutazione di maggior favore dell'offerta; si è attivato, su richiesta del M., per disporre una proroga di 45 giorni della scadenza del termine per la formulazione delle offerte, onde consentire all'anzidetta a.t.i. di perfezionare il proprio progetto; ha nominato una commissione aggiudicatrice composta da tutti membri di sua fiducia, assicurando il proprio intervento sulla stessa.
2. Il ricorso è sorretto da sei motivi.
2.1. Il primo consiste nella violazione, in generale, dell'obbligo di motivazione e comunque nel vizio della stessa, per avere la sentenza omesso di esaminare le specifiche censure sollevate dalla difesa con l'atto d'appello relativamente al contenuto delle conversazioni intercettate, nonché di valorizzare le altre fonti di prova indicate con il gravame, essendosi la Corte d'appello limitata a rinviare in senso adesivo alla sentenza appellata ed a riprodurre stralci di tali conversazioni, così rendendo una motivazione meramente informativa e non critica.
2.2. Il secondo motivo denuncia i medesimi vizi con riferimento, in particolare, alla valutazione delle prove testimoniali, specialmente quelle degli originari coimputati, che hanno definito la loro posizione con applicazione di pena su richiesta e sono stati perciò esaminati in qualità di testimoni assistiti. Tutti costoro hanno reso dichiarazioni - ripercorse dal ricorso nei passaggi qualificanti - che smentiscono l'ipotesi accusatoria, ma la sentenza ne ha svilito la rilevanza, sostenendo che si trattasse di affermazioni interessate, in quanto, al momento dell'escussione di quei testimoni, la gara d'appalto era ancora in corso e le aspettative di costoro, pertanto, erano ancora attuali. Tale argomentare - replica la difesa - sarebbe illogico, poiché l'applicazione di pena con sentenza definitiva nei confronti dei soggetti apicali di una qualsiasi società per tal genere di reati, com'è avvenuto nella vicenda in rassegna, avrebbe comportato l'automatica esclusione di quella dalla gara, a norma dell'art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016, e, prim'ancora, dell'art. 38, d.lgs. n. 163 del 2006. Inoltre, se costoro avessero effettivamente avuto un tale interesse, lo avrebbero fatto valere nel processo a loro carico e, pertanto, certamente non avrebbero "patteggiato".
2.3. Il terzo motivo rappresenta vizi logici della motivazione, con riferimento alla rivelazione di segreto di cui al capo P) e, specificamente, alla comunicazione effettuata dall'imputato ai suoi socii sceleris dell'imminente concessione della proroga del termine per la presentazione delle offerte. Secondo la sentenza, si trattava di atto coperto da segreto per espressa disposizione normativa, ovvero l'art. 13, d.lgs. n. 163 del 2006, allora vigente, il quale prevedeva espressamente la punizione della relativa divulgazione a norma dell'art. 326, cod. pen., senza la necessità, pertanto, di accertare che, da tale violazione, fosse effettivamente derivato un nocumento per l'interesse della stazione appaltante o di altri terzi. Obietta la difesa, richiamando le considerazioni del consulente tecnico di parte, che il provvedimento di proroga non rientrava tra gli atti coperti da segreto e che la sua comunicazione non ha recato offesa ad alcuno, essendo avvenuta poche ore prima della pubblicazione ufficiale e giovando la proroga a tutti i partecipanti alla gara.
2.4. La quarta doglianza deduce ulteriori vizi logici della motivazione, con riferimento a tutte le imputazioni elevate al ricorrente, anzitutto nella parte in cui è stata ritenuta un'«anomalia vistosissima» la nomina di una commissione aggiudicatrice composta esclusivamente di soggetti interni alla stazione appaltante. Il consulente di parte ha spiegato, invece, che tale composizione è imposta come scelta prioritaria dall'art. 84, d.lgs. n. 163 del 2006, e che la "I.L." disponeva delle adeguate professionalità; e, su tali osservazioni, la sentenza non si sarebbe espressa. In secondo luogo, la motivazione si presenterebbe illogica nella parte in cui ha inteso quale indebita anticipazione della partecipazione alla gara delle società "I." e "S.", in associazione tra loro, il colloquio intercettato tra. e l'intermediario F. il 14 febbraio 2013, nel quale il primo si era espresso in quei termini. Osserva la difesa che il bando era stato pubblicato soltanto il giorno prima e che le prime domande di partecipazione alla gara, tra cui quella di I.-S., sarebbero pervenute soltanto due mesi dopo; pertanto, le affermazioni del R. altro non erano se non un'opinione, peraltro fondata sul dato pacifico che le due imprese appartenessero al medesimo gruppo, sicché era prevedibile una loro partecipazione alla gara in associazione. Egualmente illogica, inoltre, si presenta la deduzione per cui R. avrebbe rivelato ai suoi favoriti l'elenco dei soggetti ammessi alla gara, circa un mese e mezzo prima della scadenza del relativo termine, nel corso di una cena tenutasi il 3 febbraio 2014. Sul punto - secondo la difesa ricorrente - la Corte d'appello si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado, che tuttavia contiene soltanto una sequela di stralci di conversazioni intercettate, mentre non ha considerato che ciascuno dei partecipanti già conosceva chi fossero gli altri, dal momento che erano stati già effettuati i necessari sopralluoghi preliminari, con la partecipazione delle varie aziende interessate. Inoltre, mal si concilierebbe con un accordo corruttivo o collusivo la circostanza per cui, a fronte di istanze pervenute nell'aprile del 2013, R. ne avesse dato notizia ai suoi ipotetici correi soltanto un anno dopo, di fatto non assicurando loro alcun vantaggio.
2.5. Il quinto motivo denuncia violazione di legge processuale e vizi di motivazione, con riferimento al rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, avanzata dalla difesa a norma dell'art. 603, comma 2, cod. proc. pen., per l'acquisizione di prove testimoniali e documentali scoperte o sopravvenute dopo la sentenza appellata, consistenti in dichiarazioni testimoniali e documenti acquisiti nell'àmbito di investigazioni difensive. La Corte d'appello ha disatteso tale richiesta, ritenendo che non si trattasse di prove decisive, consistendo in notizie assunte senza contraddittorio ed attività istruttoria meramente esplorativa. Una tale motivazione - sostiene la difesa ricorrente - sarebbe apparente e comunque viziata, in quanto: il parametro di valutazione richiesto dall'art. 603, comma 2, cit., per le prove cc.dd. "nuove" non è quello della decisività, bensì quello della non manifesta infondatezza; la sentenza comunque non spiega perché dette prove non siano state ritenute decisive; irrilevante è il fatto che esse siano state raccolte dalla difesa senza contraddittorio, essendo quest'ultimo necessario soltanto nel momento dell'assunzione dibattimentale; nulla dice la sentenza, infine, sulle prove documentali.
2.6. Il sesto motivo si ricollega al precedente, denunciando la medesima inerzia della Corte d'appello anche a mente dell'art. 606, lett. d), cod. proc. pen., e cioè come mancata assunzione di prove decisive. In sintesi, secondo la prospettazione difensiva: - la testimonianza di M.C., all'epoca amministratore delegato della "G.E.S.I. S.p.a.", avrebbe dimostrato che i contatti intercorsi tra tale società e R. non riguardavano la gara in questione (al fine di ottenere indicazioni per "migliorie" che avrebbero garantito una valutazione più favorevole per l'offerta della "M."), bensì tutt'altro progetto; - la testimonianza di P.P., allora responsabile dell'ufficio gare della "I.L.", corredata dalla relativa documentazione, avrebbe dimostrato che la proroga del termine per la presentazione delle offerte e la durata della stessa erano state già definite in autonomia da quell'ufficio, prima dell'incontro del 16 dicembre 2013 tra R. e gli asseriti intermediari di M., dovendosi porre rimedio ad un errore riscontrato nella predisposizione delle specifiche tecniche del bando; - le testimonianze dei componenti la commissione aggiudicatrice avrebbero dimostrato, infine, l'assenza di qualsiasi intervento del R. nella loro nomina e nella loro attività.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso non può essere ammesso, per la sua genericità. Esso non attinge, infatti, specifici passaggi della motivazione, ma si risolve sostanzialmente in una generalizzata censura di metodo, che non soddisfa i requisiti imposti dall'art. 581, cod. proc. pen..
2. Il secondo non è fondato. In punto di valutazione delle dichiarazioni dei testimoni assistiti, sulle quali si concentra la doglianza difensiva, la sentenza sicuramente non pecca per omissione: come lo stesso ricorso riconosce, la Corte d'appello ha specificamente valutato tali apporti probatori, in tesi favorevoli alle ragioni dell'imputato, ma li ha reputati non concludenti poiché interessati, in ragione della perdurante pendenza della gara d'appalto al momento della loro acquisizione e del persistente interesse di costoro agli esiti di quella procedura. A disarticolare tale ragionamento, non può bastare l'obiezione difensiva per cui il "patteggiamento", una volta divenuto irrevocabile, avrebbe determinato l'automatica esclusione dell'azienda dalla gara, talché sarebbe stato indifferente, per quei testimoni, che quest'ultima fosse ancora in corso, con l'ulteriore conseguenza che essi non avrebbero avuto alcun interesse a rendere una deposizione salvifica per R.. In primo luogo, va osservato che, tanto al momento in cui costoro hanno deciso di definire le loro posizioni con l'applicazione di una pena concordata (sentenza del 27 novembre 2014, irrevocabile dal successivo 19 dicembre), quanto allorché hanno reso le loro testimonianze assistite nel presente processo (M. e G., il 3 febbraio 2016; C., il 18 aprile seguente), non era ancora in vigore l'art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016, che annovera espressamente anche i delitti di cui agli artt. 353 e 353-bis, cod. pen., tra quelli che, in caso di sentenza di "patteggiamento", comportano l'esclusione dalle gare, norma che sarebbe entrata in vigore il 19 di aprile del 2016. All'epoca, infatti, vigeva ancora l'art. 38, d.lgs. n. 163 del 2006, in base al quale - con formula più generica e nient'affatto tassativa - la sentenza di patteggiamento avrebbe comportato detta esclusione soltanto qualora relativa a «reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale», tra i quali non sarebbe stato agevole ricomprendere le fattispecie di cui agli anzidetti artt. 353 e 353- bis. Inoltre, e per altro verso, va rilevato che l'obiezione difensiva potrebbe riguardare, semmai, soltanto M. l'unico, cioè, tra quei testimoni assistiti, a rivestire ruoli amministrativi all'interno di una società interessata alla gara. Orbene, non è compito del giudice di legittimità individuare quale fosse l'interesse che ha indotto tutti quei testimoni a rassegnare una ricostruzione dei fatti favorevole al loro originario coimputato, né un tale accertamento è necessario. In questa sede, infatti, è sufficiente prendere atto, da un canto, che l'anzidetta obiezione difensiva non si presenta idonea a minare la plausibilità della spiegazione offerta in sentenza; ma soprattutto, dall'altro, che il contenuto di quelle deposizioni trova frontale ed indiscutibile smentita nel tenore testuale delle conversazioni intercettate tra gli stessi testimoni.
3. Non ha fondamento neppure il terzo motivo, con il quale il ricorrente deduce la non configurabilità della rivelazione di segreto d'ufficio rubricata al capo P), sostenendo, per un verso, che l'atto di proroga del termine per la presentazione delle offerte, da lui anticipatamente comunicato al M. ed agli altri cointeressati, non rientrasse tra quelli di cui era vietata la divulgazione, a norma dell'art. 13 del codice degli appalti allora vigente; e, per l'altro, che, dalla comunicazione di esso a costoro, non potesse derivare alcun nocumento per la stazione appaltante o per gli altri concorrenti. Tale argomentare non persuade, per una pluralità di ragioni.
3.1. È utile anzitutto precisare, in linea generale, il rapporto tra la fattispecie dell'art. 326, cod. pen., e le eventuali norme extra-penali che vietino, come nel caso del predetto art. 13, la divulgazione o la comunicazione a terzi di atti d'ufficio. Per giurisprudenza consolidata, affinché gli interessi tutelati da tale norma incriminatrice s'intendano lesi, è necessario - ma è anche sufficiente - che la divulgazione della notizia sia per lo meno suscettibile di arrecare pregiudizio alla pubblica amministrazione o ad un terzo (Sez. U, n. 4694 del 27/10/2011, dep. 2012, C., Rv. 251271; Sez. 6, n. 5141 del 18/12/2007, dep. 2008, C., Rv. 238729; Sez. 1, n. 1265 del 29/11/2006, dep. 2007, B., Rv. 236225; Sez. 5, n. 46174 del 05/10/2004, E., Rv. 231166): nel qual caso, non è indispensabile che la diffusione o la comunicazione della notizia siano espressamente vietate da una specifica norma extra-penale. È altrettanto incontroverso, però, che, quando è la legge a prevedere l'obbligo del segreto in relazione ad un determinato atto o fatto, il reato sussiste senza che possa sorgere questione circa l'esistenza o la potenzialità del pregiudizio richiesto, in quanto è la fonte normativa che ha già effettuato la valutazione circa l'esistenza del pericolo, ritenendola conseguente alla violazione dell'obbligo del segreto (Sez. 6, n. 42726 dell'll/10/2005, D.C., Rv. 232751; principio ribadito in motivazione da Sez. U, C., cit., e, più di recente, da Sez. 6, n. 33256 del 19/05/2016, M., Rv. 267870, e Sez. 6, n. 49526 del 03/10/2017, G., Rv. 271565). Ne consegue, con specifico riferimento al tema in discussione, che può essere fissato il seguente principio di diritto: "qualora sia tale da determinare un pericolo di pregiudizio per la pubblica amministrazione o per un terzo, la divulgazione o la comunicazione a terzi di atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici integra il delitto di cui all'art. 326, cod. pen., anche quando abbia ad oggetto atti diversi da quelli specificamente previsti dall'art. 13, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006 (attualmente dall'art. 53, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016), per i quali l'applicazione del medesimo art. 326 è espressamente prevista dal successivo comma 4 dello stesso art. 13 (ora comma 4 dell'art. 53, d.lgs. n. 50 del 2016)".
3.2. Alla luce di tale principio, il motivo di ricorso in rassegna presenta un duplice profilo d'infondatezza.
3.2.1. In primo luogo, infatti, la difesa si sofferma esclusivamente sull'anticipazione dell'imminente atto di proroga, laddove, invece, l'imputato - secondo quanto si ricava dalla sentenza - aveva indebitamente rivelato qualcos'altro: ovvero, già il giorno successivo alla pubblicazione del bando, la probabile partecipazione alla gara di altro concorrente accreditato, e cioè l'a.t.i. "I.-S." (comunicazione del 14 febbraio 2013); ma soprattutto, il 4 febbraio del 2014, con un mese di anticipo rispetto alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte, l'elenco dei soggetti effettivamente partecipanti alla gara d'appalto (pag. 27, sent.). Ebbene, già solo la divulgazione di tal ultima notizia è sufficiente per ritenere integrata la violazione dell'art. 13, d.lgs. n. 163 del 2006. Prevedeva, infatti, tale disposizione - allora vigente e successivamente sostituita dall'art. 53, d. lgs. n. 50 del 2016 (codice dei contratti pubblici), con norma, tuttavia, pressoché sovrapponibile - che, nelle procedure ristrette, come quella in rassegna, «il diritto di accesso è differito (...) in relazione (...) all'elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte medesime» (comma 2, lett. b); indi aggiungendo, ai successivi commi 3 e 4, che «gli atti di cui al comma 2, fino ai termini ivi previsti, non possono essere comunicati a terzi o resi in qualsiasi altro modo noti», e che «l'inosservanza del comma 2 e del comma 3 comporta per i pubblici ufficiali o per gli incaricati di pubblici servizi l'applicazione dell'articolo 326 del codice penale». Non v'è dubbio, dunque, che la comunicazione dei nominativi dei partecipanti alla gara rientri tra le condotte espressamente vietate dalla norma speciale, senza la necessità di accertare in concreto il verificarsi di un nocumento od anche soltanto il pericolo che questo si realizzi, perché possa trovare applicazione il disposto dell'art. 326, cod. pen..
3.2.2. Ma la conclusione della Corte distrettuale si presenta egualmente incensurabile, anche a voler considerare - come vorrebbe la difesa - esclusivamente la comunicazione in anteprima della proroga del termine per la presentazione delle offerte. E' ragionevole ritenere, infatti, che la deliberazione di tale proroga, adottata nell'imminenza dello scadere del termine, su sollecitazione del M. ed all'insaputa delle altre imprese in gara, fosse di per sé suscettibile di arrecare pregiudizio a queste ultime, che non avevano potuto disporre di quel periodo supplementare per poter ulteriormente elaborare in modo eventualmente più adeguato le loro offerte, con conseguente vantaggio per l'a.t.i. facente capo a M.. A nulla può rilevare, dunque, che detto provvedimento avesse effetto per tutti i partecipanti alla gara, trattandosi di opere estremamente complesse e, conseguentemente, di offerte non modificabili senza laboriosi e non estemporanei studi di fattibilità: ne è eloquente conferma la circostanza per cui l'unica ad essersi avvalsa di tale proroga sia stata proprio l'a.t.i. capeggiata da M.. Pure in relazione a tale condotta, dunque, benché effettivamente non ricompresa tra quelle riconducibili al disposto del citato art. 13, la configurabilità del contestato delitto di cui all'art. 326, cod. pen., non è discutibile.
4. Anche il quarto motivo, con il quale la difesa censura il ragionamento seguìto dai giudici di merito nella ricostruzione dei fatti, è infondato, al limite dell'ammissibilità, oltre ad essere volto essenzialmente ad una rilettura delle risultanze probatorie, non consentita in questa sede.
4.1. La prima doglianza, che attiene all'individuazione dei componenti della commissione aggiudicatrice e che rivendica la conformità della relativa designazione alla disciplina dell'allora vigente codice degli appalti del 2006, omette completamente di misurarsi con l'inequivoco dato probatorio rappresentato dall'affermazione dello stessoR., nel corso del suo colloquio dell'ottobre 2013 con F.: «... è già tutto stabilito, il modo in cui la commissione si dovrà comportare è già stabilito. Poi, va be alla fine, voglio dire, sto facendo tutto io ancora...» (pag. 17, sent., in fine). Si tratta, in verità, di una sorta di confessione stragiudiziale, rispetto alla quale il ricorso lamenta la mancata considerazione di un'interpretazione difensiva alternativa, che tuttavia nemmeno illustra.
4.2. Analoghe considerazioni merita la censura d'illogicità della motivazione nella parte riguardante le informazioni veicolate dal R. sui nominativi dei partecipanti alla gara.
Con riferimento alla comunicazione di coloro che avevano presentato le offerte, avvenuta in occasione della cena del 4 febbraio 2014, le conversazioni richiamate in sentenza (con rinvio alle pagg. 180-185 di quella del Tribunale, nelle quali i dialoghi sono riportati testualmente), pur intercorse tra terzi diversi dal ricorrente, si presentano altamente sintomatiche dell'avvenuta rivelazione, secondo la loro lettura più piana. La difesa, dal suo canto, si limita a sostenere che esse sarebbero suscettibili di un'interpretazione alternativa, che però, anche in questo caso, non esplicita. Non ha alcuna consistenza, poi, l'affermazione per cui detta notizia non sarebbe stata segreta, per avere le imprese concorrenti già preso parte ai sopralluoghi ed essere perciò già nota, al momento di quella cena, la loro partecipazione alla gara. Il punto è stato già adeguatamente confutato, in fatto, dalla sentenza di primo grado (pag. 215), richiamata da quella impugnata (pag. 13). Considerando, dunque, che non tutte le imprese interessate hanno preso parte a ciascun sopralluogo e che, in ogni caso, questi sono avvenuti in una fase prodromica alla presentazione delle offerte, è ragionevole concludere - come hanno fatto i giudici di merito - che da essi non potesse desumersi in alcun modo quali sarebbero state le società che poi avrebbero effettivamente formalizzato le offerte. A questo aggiungasi che, per effetto del chiaro disposto del citato art. 13, che ricollegava la punizione a norma dell'art. 326, cod. pen., al semplice profilo formale della violazione del divieto di comunicazione, l'eventuale conoscenza pregressa ed informale del dato riservato, da parte dei terzi destinatari della relativa notizia, comunque non avrebbe fatto venir meno la rilevanza penale della divulgazione del medesimo.
4.3. Non ha alcun pregio, infine, neppure l'assunto per cui la comunicazione della partecipazione alla gara della cordata "I. - S.", effettuata dall'imputato all'intermediario F. durante la loro conversazione del 14 febbraio 2013 (singolarmente avvenuta, peraltro, nello studio di F.: pag. 208 s., sent. Trib.), sarebbe consistita soltanto nell'espressione di un'opinione. L'allegazione, invero, non trova alcun elemento di conforto nel tenore testuale del dialogo (pag. 208, sent. Trib.). Ma soprattutto, leggendo la sentenza di primo grado nella sua interezza, così come richiamata dai giudici d'appello, si rileva nitidamente come, già vari mesi prima della predisposizione e della pubblicazione del bando di gara,R. e F. si stessero adoperando per l'allestimento di un raggruppamento d'imprese in grado di competere con successo all'aggiudicazione di quell'importante commessa (vds. conversazione del 7 settembre 2012, pag. 88). La sola circostanza per cui l'anzidetta conversazione del 14 febbraio 2013 fosse successiva di un solo giorno alla pubblicazione del bando non consente, pertanto, di degradare quell'informazione veicolata da R. a F. al rango di una mera opinione o supposizione, risultando invece ragionevole e persuasivo l'assunto della Corte distrettuale, secondo cui si sarebbe trattato dell'anticipazione di un dato di fatto - in effetti poi confermato dai successivi eventi - noto al R. in ragione del suo ruolo istituzionale.
5. Egualmente infondati sono il quinto ed il sesto motivo, che possono essere trattati congiuntamente, lamentando, l'uno sotto il profilo processuale e l'altro sul piano della tenuta della motivazione, la mancata integrazione dell'istruttoria dibattimentale in appello.
5.1. Ha ragione il ricorrente, laddove deduce che, in presenza di prove scoperte o sopravvenute dopo la pronuncia della sentenza di primo grado (come nel caso specifico sarebbero, rispettivamente, i documenti e le testimonianze di cui invocava l'acquisizione), il paramento selettivo non è quello dell'assoluta necessità delle medesime ai fini della decisione, bensì quello della loro non manifesta superfluità od irrilevanza, come si desume dal richiamo all'art. 190, comma 1, cod. proc. pen. contenuto nel successivo art. 495, comma 1, cui espressamente rinvia, a sua volta, l'art. 603, comma 2, stesso codice (così, tra molte altre, Sez. 3, n. 13888 del 27/01/2017, D., Rv. 269334; Sez. 3, n. 47963 del 13/09/2016, F., Rv. 268657). E così, pure, è inconferente l'osservazione - anch'essa contenuta nella sentenza impugnata a giustificazione del rigetto della richiesta difensiva - per cui detti elementi di prova sarebbero stati assunti dalla difesa in assenza di contraddittorio: trattasi, infatti, quest'ultima, di una situazione evidentemente fisiologica per l'attività investigativa di parte, che non ne preclude, ma semmai ne impone, la successiva verifica, appunto, nel contraddittorio dibattimentale. Tuttavia, la mancata assunzione, per poter determinare di per sé l'invalidità della decisione impugnata, deve riguardare una prova "decisiva", secondo il chiaro testo dell'art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen.; e, per tale, s'intende quella che, ove esperita, se confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia, o comunque quella che, non assunta o non valutata, intacca la struttura portante della sentenza (Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, R., Rv. 278670; Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, M., Rv. 259323). Ne consegue che la "prova decisiva", di cui al citato art. 606, lett. d), deve avere ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento e non può consistere in un mezzo di tipo dichiarativo, il cui risultato è destinato ad essere vagliato per effettuare un confronto con gli altri elementi di prova acquisiti, al fine di prospettare l'ipotesi di un astratto quadro storico valutativo favorevole al ricorrente (Sez. 5, n. 37195 del 11/07/2019, D., Rv. 277035). Al di là di tali ipotesi, invece, la decisione di rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria da parte del giudice d'appello è sindacabile in sede di legittimità soltanto nei limiti del vizio di motivazione, e cioè se e nella misura in cui l'omessa integrazione del compendio probatorio ridondi negativamente sulla complessiva tenuta logica della motivazione della sentenza impugnata.
5.2. Tanto premesso, deve rilevarsi che le istanze difensive disattese, se non proprio inutili nell'economia complessiva della decisione, comunque non si presentavano tali da influire significativamente sul percorso argomentativo e sugli approdi della stessa. In dettaglio, quanto alla dedotta causale alternativa dei rapporti intrattenuti dal R. con la "G.E.S.I. s.p.a.", sui quali avrebbe dovuto riferire l'amministratore delegato di quest'ultima, già la sentenza di primo grado aveva compiutamente spiegato perché essi si riferissero alla gara in questione e non ad altri progetti; le stesse argomentazioni vengono ribadite dalla decisione impugnata e, su di esse, il ricorso sorvola completamente. Riguardo, invece, sia alla deliberazione di proroga del termine per la presentazione delle offerte, che alla costituzione ed all'operato della commissione aggiudicatrice, è del tutto ragionevole ritenere - come ha fatto la Corte d'appello - che le testimonianze del funzionario Perez e dei componenti la commissione, quand'anche corrispondenti alla prospettazione difensiva, non avrebbero potuto neppure scalfire la granitica prova a carico costituita dai numerosi ed eloquenti dialoghi oggetto di intercettazione (sui quali, pagg. 24 s., sent.; v. pure retro, §§ 4.1. e 4.2.): per tutti costoro, infatti, l'unica ed improbabile alternativa sarebbe stata quella di ammettere di aver tenuto una condotta quanto meno eticamente e deontologicamente riprovevole, se non addirittura suscettibile di rilievo penale, perciò trattandosi di soggetti nient'affatto disinteressati.
6. Il ricorso, nel suo complesso, dev'essere allora respinto, con obbligatoria condanna del proponente al pagamento delle spese di giudizio, a norma dell'art. 616, cod. proc. pen.. In quanto integralmente soccombente, l'imputato dev'essere altresì condannato alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalle costituite parti civili, nella misura di cui al pedissequo dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Regione Lombardia e "A.R.I.A. S.p.a.", che liquida in complessivi euro tremila ciascuna, oltre accessori di legge.