In tema di ammissione al gratuito patrocinio di cittadini extracomunitari, non può farsi gravare sull'interessato il tempo di risposta dell'Autorità consolare quando l'attesa si prolunghi per una durata incompatibile con le esigenze di difesa.
Il Tribunale di Milano rigettava l'opposizione al decreto del Giudice monocratico con il quale era stata respinta l'istanza di ammissione al gratuito patrocinio proposta dall'attuale ricorrente, cittadino gambiano che propone ricorso per cassazione.
Tra i motivi di ricorso, egli lamenta il fatto che la pronuncia impugnata avesse addebitato a lui l'inadempienza...
Svolgimento del processo
1. Con provvedimento in data 20 dicembre 2020 il Tribunale di Milano ha rigettato l'opposizione al decreto del giudice monocratico, con cui era stata respinta l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato proposta da D.M..
2. Avverso il provvedimento propone ricorso per cassazione D.M., a mezzo del suo difensore, affidandolo a due motivi, articolati in più profili.
3. Con il primo lamenta la falsa applicazione degli artt. 76, 79 e 94 d.p.r. 115/2002 ed il vizio di motivazione. Osserva, in primo luogo, che l'ordinanza incorre in errore laddove nega il corretto assolvimento dell'obbligo di indicazione del reddito conseguito, per avere il ricorrente fatto riferimento, nella presentazione dell'istanza proposta in data 8 giugno 2020, ai redditi dell'anno 2019, anziché a quelli dell'anno 2018. Ricorda che la norma, nel determinare il criterio temporale di riferimento della soglia reddituale, facendo riferimento 'all'ultima dichiarazione' non richiede che la medesima sia stata effettivamente presentata, ma solo che sia maturato l'obbligo di presentazione. Sicché l'assunto secondo il quale rileverebbero i redditi dell'anno 2018, per non essere stata ancora presentata la dichiarazione per i redditi percepiti nel 2019, si pone in contrasto con il dettato normativo. Sostiene, in secondo luogo, che -diversamente da quanto ritenuto dal provvedimento gravato- l'autocertificazione sui redditi riveste piena valenza probatoria, non essendo consentito al giudice di valutarne la credibilità, dovendosi limitare la verifica alla sola coerenza dei requisiti reddituali con i limiti previsti per la concessione del beneficio, che può essere revocato solo a seguito dell'eventuale verifica negativa effettuata dalla Guardia di Finanza. Censura la motivazione nella parte in cui attribuisce valore alla circostanza della presentazione della richiesta di rilascio della certificazione reddituale all'Autorità gambiana a ridosso dell'istanza di ammissione al patrocinio, nonché al fatto che siffatta richiesta sia stata formulata dal difensore, anziché dall'interessato, benché nessuna formalità sia prevista per siffatti incombenti. Osserva che la richiesta non è ancora stata evasa dal Consolato del Gambia, con la conseguenza che nessuna inadempienza può essere addebitata al ricorrente.
4. Con il secondo motivo fa valere il vizio di violazione di legge in ordine al disposto dell'art. 75 d.P.R. 115/2002 od. proc. civ.. Sottolinea che il giudice incorre in una serie di errori giuridici e valutativi in relazione dell'incertezza sull'identità del ricorrente. Ricorda che per il rilascio della carta di identità italiana il Ministero dell'Interno richiede o il permesso di soggiorno, o ii passaporto e che sono accettati anche documenti scaduti, purché consentano l'identificazione sicura. Assume l'irrilevanza della circostanza, richiamata dal giudice a fondamento del diniego, dell'avere fornito in altre occasioni, in sede dì rilievi dattiloscopici, nominativi diversi, ciò potendo assumere rilievo solo se il ricorrente fosse in possesso di documenti attestanti generalità diverse da quelle contenute nel permesso di soggiorno o nella carta di identità. Rammenta che la giurisprudenza di legittimità riconosce il diritto al patrocinio a spese dello Stato anche ai cittadini extracomunitari privi di documento personale -ed a prescindere dalla regolarità della permanenza sul territorio nazionale- assicurando ai non abbienti i mezzi per difendersi in giudizio, sulla base dell'assunto che quello alla difesa è diritto inviolabile dell'uomo. Richiama l'art. 6 della CEDU, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, ratificato con la legge 881/1977 e la Direttiva Rimpatri (2008/115/CE), con cui vengono assicurati il diritto all'assistenza medica, all'istruzione ed alla difesa anche ai cittadini di Paesi terzi, il cui soggiorno nell'Unione Europea non sia regolare. Rileva che una lettura delle disposizioni interne di cui al d.P.R. 115/2002, qualora non conforme alla normativa sovranazionale, sarebbe incostituzionale ai sensi dell'art. 11 Cast.. Denuncia l'inconferenza dei richiami giurisprudenziali contenuti nel provvedimento impugnato, relativi ad ipotesi -del tutto differenti da quella in esame- in cui l'Autorità consolare aveva dichiarato di non essere in grado di affermare che l'interessato avesse l'identità dichiarata. Denuncia l'assenza di qualsiasi attività istruttoria idonea a dimostrare l'assenza di genuinità della documentazione prodotta, considerata priva di veridicità sulla base di mere asserzioni. Ricorda che le Sezioni civili della Suprema Corte hanno chiarito l'obbligo del giudice di fare ricorso a poteri officiasi per l'accertamento dei fatti rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, mentre il Tribunale di Milano ha onerato il ricorrente di una vera e propria probatio diabolica, chiedendogli di dimostrare la coincidenza delle sue esatte generalità con quanto risultante dai documenti provenienti dal paese di origine, benché egli non abbia la possibilità di produrre attestazioni rilasciate dalle Autorità del Gambia, avendo ottenuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Conclude per l'annullamento dell'ordinanza impugnata.
5. Con requisitoria scritta il Procuratore della Repubblica presso la Suprema Corte di Cassazione conclude per il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato.
2. Il primo profilo del primo motivo con cui si contesta la ritenuta integrazione della violazione dell'art. 76 d.P.R 115/2002, per avere il ricorrente presentato un'autocertificazione relativa ad un anno di imposta diverso da quello dell'anno precedente alla richiesta del beneficio, è inammissibile. Invero, il provvedimento impugnato non fa cenno alla circostanza, di conseguenza si deve ritenere che il giudice dell'opposizione abbia reputato l'autodichiarazione conforme al dettato legislativo, in ordine al criterio temporale previsto dalla disposizione richiamata.
3. Il secondo profilo di doglianza introdotto con il medesimo motivo, al contrario, va accolto nella parte in cui censura l'affermazione del giudice dell'opposizione secondo la quale l'autocertificazione dei redditi prodotti all'estero non costituisce prova della sussistenza dei requisiti reddituali per l'ammissione al beneficio.
4. Va osservato, innanzitutto, che il disposto di cui all'art. 79, comma 2 d.P.R. 115/2002 stabilisce che "Per i redditi prodotti all'estero, il cittadino di Stati non appartenenti all'Unione europea correda l'istanza con una certificazione dell'autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto in essa indicato". Mentre, l'art. 94, comma 2 d.P.R. cit. dispone che "In caso di impossibilità a produrre la documentazione richiesta ai sensi dell'articolo 79, comma 2, il cittadino di Stati non appartenenti all'Unione europea, la sostituisce, a pena di inammissibilità, con una dichiarazione sostitutiva di certificazione". E', dunque, consentito al cittadino extracomunitario presentare un'autocertificazione attestante l'importo dei redditi percepiti nell'anno di competenza, qualora sia 'impossibile' produrre insieme con l'istanza la documentazione consolare richiesta. Occorre allora comprendere, quale significato il legislatore abbia inteso assegnare al sostantivo 'impossibile', di cui all'art. 94, per giustificare la sostituzione della documentazione proveniente dalla Stato estero con l'autocertificazione, sia con riferimento all'effettività dell'adempimento da parte dello Stato estero, ma anche in relazione al tempo dell'adempimento da parte del medesimo. È chiaro, infatti, che i tempi di risposta delle Autorità consolari non dipendono dalla parte richiedente e che non può negarsi l'ammissione al patrocinio all'avente diritto solo in funzione del prolungamento dei termini della risposta dello Stato straniero, che potrebbe anche non fornire mai certificazione alcuna, per le più diverse ragioni, ivi compresa la condizione di esule del cittadino, rifugiatosi inaltro paese. Nel caso di specie il giudice del merito non si pone la questione, limitandosi a rimarcare che l'esiguità del lasso temporale fra la richiesta inoltrata all'autorità consolare e la proposizione della domanda di ammissione al patrocinio non consente di giustificare la mancata produzione della certificazione consolare e la sua sostituzione con l'autocertificazione del reddito prodotto all'estero.
5. Per dare soluzione al quesito è necessario partire dallo spirito che informa la normativa sul patrocinio a spese dello Stato, improntata dalla volontà di dare rapida risposta ad un'istanza rivolta ad ottenere la realizzazione di un diritto fondamentale della persona, qual è quello alla difesa nel processo, connotato da un rapporto fiduciario con il patrocinante.
6. Lo schema legislativo come delineato dagli artt.. 79, 95, 96, 98 e 112 d.P.R. 115/2002, infatti, configura un procedimento che implica una decisione sostanzialmente fondata sulle dichiarazioni dell'istante, tanto è vero che l'istruttoria procedimentale è limitata alla verifica demandata alla Guardia di finanza (art.96), disposta dal giudice prima di provvedere sull'istanza solo allorquando vi siano 'fondati motivi' per ritenere che il reddito dichiarato superi la soglia prevista dall'art. 76. Successivamente all'ammissione al beneficio, invece, è prevista una fase di accertamento ad opera degli Uffici finanziari (art. 98) che può condurre alla revoca del benefico (art. 112) ed eventualmente la sanzione penale (art.95), per le falsità o le omissioni contenute nella dichiarazione sostitutiva di certificazione.
7. Il legislatore, che sceglie di rimettere al richiedente la dichiarazione circa la consistenza del reddito conseguito nell'annualità di riferimento, indipendentemente dalla disponibilità di documentazione attestante l'importo, introduce, tuttavia, una distinzione fra il cittadino dell'Unione europea e quello extra comunitario. Per il primo, infatti, è prevista unicamente l'autocertificazione del reddito, per il secondo, invece, è richiesta la produzione di una certificazione dell'autorità consolare competente attestante la veridicità della comunicazione sui redditi prodotti all'estero. La diversità della disciplina si giustifica in ragione della possibilità di verifica delle condizioni reddituali da parte dell'Ufficio finanziario che, ai sensi dell'art. 98, deve, successivamente all'ammissione al beneficio, provvedere all'accertamento, attraverso l'anagrafe tributaria -e, ove necessario, attraverso l'indagine della Guardia di Finanza- dell'esattezza del reddito dichiarato dall'interessato. È chiaro che un simile controllo posteriore all'ammissione non è facilmente realizzabile per i redditi prodotti all'estero dal cittadino non comunitario, sicché è previsto che egli si attivi per dimostrarne documentalmente la consistenza, a mezzo della produzione della certificazione consolare unitamente alla proposizione dell'istanza.
8. Siffatto modello procedimentale, che richiede allo straniero non comunitario di farsi carico della previa attestazione di veridicità della dichiarazione dei redditi prodotti all'estero, nondimeno, non esclude l'ammissione al beneficio nel caso di 'impossibilità' di presentare detta documentazione, stabilendo che essa possa essere sostituita da una 'dichiarazione sostitutiva di certificazione' (art. 94, comma 2).
9. Ora, deve ritenersi che per 'impossibilità' debba intendersi ogni eventualità che impedisca di corredare l'istanza con la certificazione consolare, sia perché la domanda formulata all'autorità statuale prima dell'istanza di ammissione al patrocinio non abbia trovato risposta, sia perché il tempo necessario per ottenerla si profili comunque incompatibile con l'urgenza di assicurare tempestivamente la difesa di fiducia nel procedimento in cui l'interessato è coinvolto.
10. Una simile lettura, infatti, consente di inverare il principio di cui all'art. 6 CEDU per il quale l'accusato non solo ha diritto ad avere un difensore di sua fiducia e, se non ha i mezzi per retribuirlo, di poter essere assistito gratuitamente da un avvocato [par. 3 lett. c)] ma anche quello di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa [par. 3, lett. b)], condizione quest'ultima intrinsecamente connessa con la tempestiva ammissione del non abbiente al patrocinio a spese dello Stato.
11. Dunque, l'impossibilità -intesa nel senso appena precisato- di provvedere alla produzione della certificazione consolare a corredo dell'istanza di ammissione, parifica gli adempimenti imposti per la formulazione della domanda al cittadino extra comunitario a quelli imposti al cittadino comunitario, rimettendo per entrambi alla fase successiva all'ammissione la verifica della veridicità delle dichiarazioni sostitutive di certificazione in ordine alla consistenza reddituale, fatto salvo, nella fase decisoria, il ricorso all'esercizio dei poteri istruttori conferiti al giudice (art. 96) in ordine all'approfondimento sulla compatibilità del tenore di vita del richiedente con i redditi dal medesimo dichiarati. A questo proposito, questa stessa Sezione ha precisato che, nel caso in cui l'interessato, cittadino di uno Stato non appartenente all'Unione Europea, abbia allegato all'istanza l'autocertificazione prevista dall'art. 94 comma 2 d.P.R. 115/2002, egli si trova già nelle condizioni di godere del beneficio, senza che occorra una ulteriore produzione documentale (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 53557 del 08/11/2017, Rv. 271365, in un'ipotesi di revoca dell'ammissione del beneficio già concesso, in sede di liquidazione dei compensi sulla base del presupposto che l'interessato, detenuto, non aveva provveduto a depositare, nel termine previsto dall'art. 94, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, la certificazione consolme, avendo allegato l'impossibilità di ottenerla; cfr. anche Sez. 4 n. 17003 del 15/01/2009, Rv. 243477, in tema di produzione dell'attestazione consolare da parte del richiedente detenuto oltre il termine di cui all'art. 94, comma 3, che richiama la pronuncia della Corte Costituzionale n. 369 del 2007 - con cui è stata dichiarata la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 112 d.P.R. 115/2002, per difetto dell'esplorazione di una lettura normativa costituzionalmente orientata- che ha incidentalmente affermato che la mancata produzione della certificazione consolare comporta l'inammissibilità della domanda soltanto in difetto -non anche in presenza- della dichiarazione sostitutiva di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 94, comma 2).
12. D'altro canto, l'impostazione privilegiata dall'ordinanza impugnata si palesa del tutto svincolata dalla lettera della legge che impone la presentazione della certificazione insieme con l'istanza o, se ciò risulti impossibile, la produzione della dichiarazione sostitutiva di certificazione. La discrezionalità rimessa al giudice, dunque, inerisce soltanto la valutazione dell'impossibilità di ottenere la certificazione consolare in un termine utile alla presentazione dell'istanza, che deve modularsi in relazione all'urgenza della difesa, non essendo possibile far ricadere sull'interessato i tempi della risposta consolare nel caso in cui l'attesa, non determinabile, si prolunghi per una durata incompatibile con le esigenze difensive dell'interessato.
13. Anche il secondo motivo deve trovare accoglimento. Seppure questa Sezione abbia affermato che "È legittimo il provvedimento con cui il giudice respinge la domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in caso di incertezza in ordine alle generalità dell'instante, essendo per tale ragione impedite le verifiche sulle condizioni per l'ammissione al beneficio" (Sez. 4, Sentenza n. 58397 del 17/10/2018, Rv. 274954, in una fattispecie in cui l'incertezza riguardava la nazionalità dell'instante, in quanto il Consolato dello Stato non appartenente all'Unione europea, su richiesta dell'autorità giudiziaria competente, aveva comunicato di non essere in grado di confermare la nazionalità dichiarata dal richiedente), tuttavia, non può affermarsi che la prova dell'identità, in assenza di un documento rilasciato dallo Stato di appartenenza, possa prescindere dalla documentazione inerente al riconosciuto status di rifugiato e quella derivante del permesso di soggiorno.
14. Invero, la domanda di protezione internazionale ed umanitaria per il riconoscimento dello status di rifugiato implica, ai sensi degli artt. 3 e 5 d. lgs. 251/2007, un'istruttoria procedimentalizzata, il cui esito favorevole sebbene non possa sostituire il documento di identità rilasciato dallo Stato estero, tuttavia, autorizza non solo il rilascio al permesso di soggiorno (l'art. 23 d. lgs. 251/2007), ma sinanco quello di documenti per consentire i viaggi al di fuori del territorio nazionale, di validità quinquennale rinnovabile secondo il modello allegato alla Convenzione di Ginevra, ai sensi dell'art. 24, comma ld. lgs. cit ..
15. Non può, dunque, sostenersi come fa l'ordinanza impugnata, che il documento di protezione internazionale, in quanto formato sulla scorta delle generalità fornite dall'interessato, non costituisca la prova della certezza dell'identità, posto che, seppure il medesimo debba indicarle, l'acquisizione dello status di rifugiato -che è ovviamente collegato ad un'identità personale- è il frutto di una specifica indagine volta a valutare proprio la veridicità delle allegazioni sulla base delle quali viene formulata la domanda di protezione internazionale ed umanitaria (in tema di procedimental1zzazione della decisione sulla protezione internazionale e di riconoscimento dello status di assenza di documenti di identità cfr. per tutte Cass. civ. Ordinanza n. 10 del 04/01/2021, Rv. 660135).
16. Diversamente opinando bisognerebbe ritenere il rifugiato, che non sia in possesso documenti provenienti dallo Stato dal quale è fuggito, resti sempre privo di valida identità nello Stato dal quale ha ottenuto rifugio e non possa mai ottenere l'ammissione al patrocinio per i non abbienti.
17. Ecco che, allora, una volta ottenuti il riconoscimento della protezione umanitaria ed il documento di identità rilasciato dall'autorità italiana, l'identità deve essere ritenuta certa ai fini dell'accesso a1 benefici previsti dall'ordinamento, ivi compreso quello regolato dagli artt. 74 e segg. del d.P.R. 115/2002. L'identità così determinata, infatti, è sufficiente per consentire le verifiche sulla consistenza del reddito, sia in fase di decisione (ex art. 96 d.P.R. 115/2002), che in fase di controllo successivo (art. 98 d.P.R. 115/2002), demandate rispettivamente alla Guardia di Finanza ed agli Uffici finanziari.
18. Né può rilevare, a questi fini, l'avere fornito in sede dattiloscopica delle generalità diverse rispetto all'identità risultante dai documenti rilasciati dall'autorità italiana, non solo perché i c.d. alias sono tali perché c'è una diversa identità riconosciuta, ma perché non è esclusa l'ammissione al patrocinio per l'ipotesi di commissione del delitto di cui all'art. 495 cod. pen..
19. D'altro canto, la particolare configurazione del procedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, connotato da assenza di formalità e dalla rimessione del controllo sulle dichiarazioni del richiedente alla fase successiva alla decisione -come sopra delineato- involge anche le comunicazioni sull'identità, tanto che l'art. 95 d.P.R. 115/2002 introduce la sanzione penale per tutte le falsità contenute sia nella dichiarazione sostitutiva di certificazione sui redditi, che nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste dall'articolo 79, comma 1, lett. b), c) e d), e quindi anche per quelle inerenti le generalità dell'interessato.
20. Va, dunque, disposto l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Milano.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Milano