Esso è ravvisabile in capo al conducente che, in caso di incidente connesso alla sua condotta e tale da comportare la concreta eventualità che da esso sia derivato un danno alle persone, non ottemperi all'obbligo di prestare assistenza ai feriti.
La Corte d'Appello di L'Aquila confermava la sentenza di primo grado, con la quale l'attuale ricorrente era stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 189, commi 6 e 7, c.d.s., in quanto, alla guida di un autocarro e in prossimità di un incrocio, egli aveva provocato un sinistro stradale, andando a collidere con un'autovettura e non ottemperando all'obbligo di...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di L'Aquila ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Vasto ha dichiarato DM responsabile del reato di cui all'art. 189, commi 6 e 7, cod. strada, commesso in X il 1X /2014.
2. L'imputato, alla guida dell'autocarro I, giunto all'altezza dell'incrocio Pianospedale -Peschiola, territorio del Comune X dopo aver provocato un incidente stradale perché andava a collidere con un'autovettura X , condotta da AP , non ottemperava all'obbligo di fermarsi e prestare assistenza al predetto che, in conseguenza del violento urto, rimaneva ferito dovendo ricorrere alle cure del presidio ospedaliero di X ove gli veniva riscontrato "trauma contusivo toracico (da cintura di sicurezza) cervicalgia da contraccolpo".
3. Avverso la prefata sentenza di appello ricorre l'imputato per il tramite del difensore che solleva due motivi con cui deduce:
3.1. Erronea applicazione dell'art. 186, commi 6 e 7, d. lgs. 285/1992, per insussistenza dell'elemento soggettivo, nonché carenza di motivazione. Nel caso di specie, la dinamica del sinistro non consentiva all'imputato di percepire l'effettiva possibilità che il conducente dell'altra auto avesse riportato lesioni, tenuto altresì conto che la persona offesa si era recata al Pronto Soccorso solo in una fase successiva, ossia dopo che gli agenti intervenuti sul posto avevano espletato tutti i rilievi del caso.
3.2. Erronea applicazione dell'art. 131-bis cod. pen. e carenza di motivazione sul punto. La comprovata esiguità del danno, anche in ragione delle minime lesioni riportate dalla persona offesa, rendeva ragionevole applicare l'invocata causa di non punibilità.
4. In data 27/09/2021, sono pervenute note scritte dell'avv. CP. difensore della parte civile AP, con cui si chiede il rigetto del ricorso e la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali da liquidarsi equitativamente.
5. Il Procuratore generale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
2. L'art. 189, comma 1, cod. strada, dispone: «L'utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l'obbligo di fermarsi e di prestare l'assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona.» Il successivo comma 6 prevede che «Chiunque, nelle condizioni di cui comma 1, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all'obbligo di fermarsi, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni (...)». Secondo il prevalente orientamento maturato in sede di legittimità, il reato di fuga previsto dall'art. 189, comma 6, cod. strada, è un reato omissivo di pericolo, per la cui configurabilità è richiesto il dolo, che deve investire essenzialmente l'inosservanza dell'obbligo di fermarsi in relazione all'evento dell'incidente concretamente idoneo a produrre ripercussioni lesive alle persone, e non anche l'esistenza di un effettivo danno per le stesse (Sez. 4 n. 34335 del 3/6/2009, R., Rv. 245354). Come tutte le norme incriminatrici volte alla tutela avanzata d'interessi, la concretezza dell'evento che giustifica la previsione non può giungere sino ad un'effettiva constatazione del tipo di nocumento procurato. Non a caso, infatti, la previsione utilizza il termine aspecifico di "danno", volutamente ignorando il più preciso riferimento a quello di "lesione". Il comma 7 sanziona una condotta ulteriore e diversa rispetto a quella repressa dal comma precedente: quella del conducente che, coinvolto in un incidente stradale, comunque ricollegabile al suo comportamento, non ottemperi all'obbligo di prestare l'assistenza occorrente alle persone ferite. In tale ultima evenienza, non basta la consapevolezza che dall'incidente possano essere derivate conseguenze per le persone, occorrendo che un tale pericolo appaia essersi concretizzato, almeno sotto il profilo del dolo eventuale, in effettive lesioni dell'integrità fisica. Può, pertanto, affermarsi che il reato di mancata prestazione dell'assistenza occorrente dopo un investimento (art. 189, comma 7, cod. strada) esiga un dolo meramente generico, ravvisabile in capo all'utente delta strada il quale, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare in termini di immediatezza la concreta eventualità che dall'incidente sia derivato danno alle persone, non ottemperi all'obbligo di prestare la necessaria assistenza ai feriti (Sez. 4, n. 33294 del 14/05/2008, C., Rv. 242113). Dolo che, come si è più sopra ricordato, può ben configurarsi anche come eventuale (Sez. 4, n. 33772 del 15/06/2017, Dentice Di Accadia Capozzi, Rv. 271046, la quale ha affermato che l'elemento soggettivo del reato di mancata prestazione dell'assistenza occorrente in caso di incidente può essere integrato anche dal dolo eventuale, ravvisabile in capo all'agente che, in caso di sinistro comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare, in termini di immediatezza, la probabilità, o anche solo la possibilità, che dall'incidente sia derivato danno alte persone e che queste necessitino di soccorso, non ottemperi all'obbligo di prestare assistenza ai feriti. In motivazione, la Corte ha osservato che il dolo eventuale, pur configurandosi normalmente in relazione all'elemento volitivo, può attenere anche all'elemento intellettivo, quando l'agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio).
3. Ciò premesso, il Collegio rileva che il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Esso non si confronta con la compiuta motivazione la quale ha evidenziato come l'imputato, dopo un impatto contro la vettura della persona offesa, impatto risultato «di una certa entità come riscontrato dai danni riportati daimezzi», senza scendere dal proprio mezzo ed omettendo qualsiasi accertamento sulle condizioni dell'altro conducente, si allontanava repentinamente dat luogo dell'incidente.
4. Analoga valutazione di inammissibilità attinge il secondo motivo di ricorso giacché, anche sul punto, il ricorso non si confronta con la motivazione resa dall'impugnata sentenza che ha sottolineato come la condotta complessiva dell'imputato e l'assenza di qualsivoglia iniziativa risarcitoria nei confronti della persona offesa non consentono di ritenere il fatto di particolare tenuità sotto il profilo dell'offesa al bene giuridico protetto. Si tratta, all'evidenza, di motivazione congrua e corretta in diritto. Il giudizio sulla tenuità, nella prospettiva delineata dall'art. 131-bis cod. pen., richiede, infatti, una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, comma 1, cod. pen., delle modalità della condotta, det grado di colpevolezza e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, T., Rv. 266590) e che, ai fini dell'esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, è sufficiente l'assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dalla norma (Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, F. e altro, Rv. 273678). In questa cornice, le determinazioni adottate dal giudice a quo in ordine alla ravvisabilità della particolare tenuità del fatto, sono insindacabili in sede di legittimità ove, come nel caso di specie, siano supportate da motivazione conforme alle indicazioni enucleabili dalla predetta pronuncia delle Sezioni Unite ed esente da vizi logico-giuridici.
5. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.