La Cassazione precisa che in caso di gestione di una catena di supermercati, la responsabilità del rispetto dei requisiti igienico-sanitari dei prodotti va individuata all'interno della singola struttura aziendale.
Il Tribunale di Udine dichiarava l'imputato responsabile del reato ex
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 13/05/202, il Tribunale di Udine dichiarava P.F. responsabile del reato di cui agli artt. 5 lett. b) e 6 legge 283/1962 - perché, nella qualità di responsabile O.S.A. e procuratore speciale della Società S.C. s.r.l., proprietaria del supermercato C. sito in Udine, deteneva per vendere o comunque per distribuire al consumo vari prodotti alimentari allo stato fresco e da conservare a temperatura refrigerata in cattivo stato di detenzione, in particolare detenendoli all'interno di un frigorifero a pozzo che presentava polvere diffusa e tracce di sporco - e lo condannava alla pena di euro 1.200 di ammenda.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione P.F., a mezzo del difensore di fiducia, chiedendone l'annullamento ed articolando i motivi di seguito enunciati. Con il primo motivo deduce violazione dell'art. 42 cod.pen., lamentando che la sentenza impugnata aveva fondato l'affermazione di penale responsabilità solo sulla qualifica dell'imputato- procuratore speciale della Società S.C. s.r.l. e responsabile della sicurezza alimentare non solo dell'esercizio di Udine ma anche di altri quindici punti vendita siti in diverse Regioni - senza chiarire se la responsabilità del prevenuto era da attribuirsi a carenze organizzative o carenze di vigilanza e se vi era un nesso tra l'operato dello stesso e le presunte carenze; inoltre, non essendo il P. responsabile del solo punto vendita di Udine ma di molti altri supermercati della catena, trovava applicazione il principio di diritto secondo cui in ipotesi di enti articolati in più unità territoriali autonome la responsabilità ricadeva in capo al preposto alla singola struttura aziendale. Con il secondo motivo deduce violazione dell'art. 649 cod.proc.pen., deducendo che sia l'illecito amministrativo di cui all'art. 6, comma 5, dlgs 193/2007 che il reato di cui agli artt. 5 lett. b) e 61 283/1962 avevano la medesima finalità punitiva; quindi, essendo già stata irrogata la sanzione amministrativa, la sentenza impugnata andava annullata con dichiarazione di non doversi procedere per ne bis in idem.
Motivi della decisione
1.Il primo motivo di ricorso è fondato. Va, in premessa, ribadito il consolidato principio di diritto, secondo cui con riguardo alla disciplina igienica dei prodotti destinati all'alimentazione, e sulla base della disposizione di cui all'art 5, lett. b) l.n.283/1962, della detenzione o somministrazione di un prodotto non conforme alla normativa deve rispondere, in caso di società od impresa, a titolo di colpa, il legale rappresentante della stessa, essendo allo stesso riconducibili le deficienze della organizzazione di impresa e la mancata vigilanza sull'operato del personale dipendente, salvo che il fatto illecito non appartenga in via esclusiva ai compiti di un preposto, appositamente delegato a tali mansioni in caso di organizzazione aziendale complessa (Sez.3, n.46710 del 17/10/2013, Rv.257860; Sez. 3, n. 11835 del 19/02/2013, Rv. 25476; Sez.3, n.4067 del 16/10/2007, dep.28/01/2008, Rv.23859; Sez. 3 n. 11909 del 22/02/2006, Rv. 233566; Sez. 3, n. 36055 del 09/07/2004, Rv. 229434, nonché Sez. 3, n. 19642 del 06/03/2003, Rv. 224848, secondo la quale, in casi di organizzazioni complesse, la sussistenza di una delega di responsabilità, anche organizzative e di vigilanza, per le singole sedi, si deve presumere "in re ipsa", anche in assenza di un atto scritto). Questa Corte ha anche precisato che la responsabilità del titolare dell'impresa - che resta pur sempre il destinatario principale del precetto penale - va ricostruita su basi diverse dalla mera presenza di una delega scritta, che devono essere ricercate esclusivamente nella norma che giustifica, ai sensi dell'art. 43, cod. pen., l'addebito della condotta anche a titolo colposo (Sez.3, n. 27587 del 16/06/2020, Rv. 280159 - 03; Sez.3, n. 44335 del 10/09/2015, Rv.265345 - 01). Ed è stato ribadito che, in tema di disciplina degli alimenti, il legale rappresentante della società che gestisce una catena di supermercati non è per ciò solo responsabile, qualora essa sia articolata in plurime unità territoriali autonome, ciascuna affidata ad un soggetto qualificato ed investito di mansioni direttive, in quanto la responsabilità del rispetto dei requisiti igienico-sanitari dei prodotti va individuata all'interno della singola struttura aziendale, senza che sia necessariamente richiesta la prova dell'esistenza di una apposita delega in forma scritta (Sez.3,n 9406 del 09/02/2021, Rv.281149 - 01). Nella specie, il Tribunale non ha fatto buon governo dei suesposti principi di diritto, basando l'affermazione di responsabilità penale dell'imputato essenzialmente sul rilievo formale che il predetto rivestiva la carica di procuratore speciale della società proprietaria del supermercato e di responsabile della sicurezza alimentare dei numerosi punti vendita del Centro Est Italia, senza chiarire gli elementi di fatto sulla base dei quali doveva fondarsi l'affermazione di responsabilità. Occorrerà - esemplificativamente - chiarire la presenza o meno di un preposto alla direzione del singolo punto vendita, le mansioni ed eventuali deleghe conferite allo stesso, la dimensione dell'impresa e la possibilità di monitorare l'attività del preposto, la capacità ed idoneità tecnica di questi, la eventuale derivazione del fatto da cause strutturali e non occasionali del processo produttivo in materia di sicurezza alimentare, dovute ad omissioni di scelte generali di pertinenza esclusiva del titolare dell'impresa, quali, tra queste, l'omessa adozione di procedure di autocontrollo proposte dai manuali adottati in conformità della normativa europea. Risulta, pertanto, integrato il vizio dedotto. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata sul punto con rinvio al Tribunale di Udine che riesaminerà la vicenda alla luce dei principi di diritto e dei rilievi esposti.
2. Il secondo motivo di ricorso è, invece, manifestamente infondato. Costituisce principio consolidato che non sussiste la preclusione all'esercizio dell'azione penale di cui all'art. 649 cod. proc. pen., quale conseguenza della già avvenuta irrogazione, per lo stesso fatto, di una sanzione formalmente amministrativa, ma avente carattere sostanzialmente "penale", ai sensi dell'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, allorquando non vi sia coincidenza fra la persona chiamata a rispondere in sede penale e quella sanzionata in via amministrativa (Sez. F, n. 42897 del 09/08/2018, Rv. 273939 - 03; Sez. 3, n. 24309 del 19/01/2017, Rv. 270515 - 01; Sez. 3, n. 43809 del 24/10/2014, dep. 30/10/2015, Rv. 265118 - 01), come verificatosi nella specie, risultando dagli atti processuali che la sanzione amministrativa è stata inflitta alla società S.C. s.r.l., della quale il ricorrente è il procuratore speciale, società che ha provveduto al relativo pagamento.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Udine, in diversa persona fisica.