Tale copia si riduce, infatti, alla produzione di 2 fogli privi di ogni elemento che consenta di inferirne la corrispondenza agli eventuali originali telematici, dunque privi di significato giuridico.
L'attuale ricorrente proponeva opposizione contro la cartella esattoriale avente ad oggetto la violazione di norme del Codice della strada, chiedendone l'annullamento per omessa notificazione degli atti ad essa prodromici. Una volta accolta l'opposizione, la decisione veniva riformata dal Tribunale di Roma che, accogliendo il gravame esperito dall'Ente impositore, compensava le spese del...
Svolgimento del processo
1. A.M. ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 23339/16, del 14 dicembre 2016, del Tribunale di Roma che - accogliendo il gravame esperito dalla società E.S. S.p.a., avverso la sentenza n. 9602/14, del 26 maggio 2014, del Giudice di Pace di Roma - ha disposto la compensazione, tra il M. e la predetta società, delle spese del primo grado di giudizio, condannando, invece, l'odierno ricorrente, in solido con il Comune di Roma, a rifondere a E.S. le spese del grado di appello.
2. Riferisce, in punto di fatto, l'odierno ricorrente di aver proposto opposizione ex artt. 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, avverso cartella esattoriale, traente origine dal violazioni di norme del codice della strada, facendo valere l'inesistenza del titolo esecutivo e, comunque, chiedendo l'annullamento della cartella per omessa notificazione degli atti ad essa prodromici. Accolta dall'adito Giudice di pace l'opposizione, nella contumacia del Comune, con condanna solidale dello stesso e di E.al pagamento delle spese di lite, su gravame esperito dal Comune esclusivamente in punto spese, la decisione allora impugnata veniva riformata nei termini sopra meglio indicati.
3. Avverso la sentenza del Tribunale capitolino ha proposto ricorso per cassazione il M., sulla base - come detto - di un unico motivo.
3.1. Esso - proposto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - denuncia "violazione o falsa applicazione di norme di diritto", precisamente "con riguardo agli artt. 91 e 115 cod. proc. civ.". Si censura la sentenza nella parte in cui ha affermato che "la società esercente il servizio di riscossione esattoriale non può essere ritenuta soccombente relativamente ad una condotta omissiva (omessa notifica dei verbali di accertamento sottesi alla cartella esattoriale), ascrivibile, come nel caso in oggetto, solamente a Roma Capitale", e ciò sul rilievo che l'ente impositore provvede solo "alla consegna del ruolo esattoriale in via telematica, con la semplice indicazione degli elementi della pretesa tributaria, mentre l'agente della riscossione, ricevuto il ruolo, deve provvedere alla sua notifica, rimanendo del tutto estraneo al processo di formazione dello stesso, i cui eventuali vizi procedimentali e/o notificatori non riverberarsi negativamente sulla sua patrimoniale" possono, perciò, sfera giuridico- Quale corollario di tale affermazione, sottolinea il ricorrente, il Tribunale di Roma ha ritenuto non soccombente, in senso sostanziale, la società E.S., e come tale non assoggettabile alle spese di lite, ritenendo corretta la condanna alle spese del solo ente impositore. Così facendo, tuttavia, il giudice d'appello ha omesso di valutare più di una circostanza determinante, che se, invece, valutata avrebbe condotto ad una decisione diversa, ovvero, in particolare, che "il contribuente aveva richiesto accertarsi l'inesistenza del titolo esecutivo e comunque l'annullamento della cartella per omessa notificazione degli atti ad essa prodromici e ciò sulla scorta di comportamenti indicati come illegittimi posti in essere sia dal Comune di Roma che dal concessionario esattoriale". Il giudice d'appello, pertanto, avrebbe dovuto fare applicazione del principio di causalità della lite, rigettando l'appello di E.S..
4. Roma Capitale (nuova denominazione assunta dal Comune di Roma), dichiarando di ritenere "condivisibile" la censura del M., ha proposto, a propria volta, ricorso incidentale, sulla base di due motivi.
4.1. Il primo motivo, in particolare, denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 23, commi 2 e 4, della legge n. 689 del 1981, nonché degli artt. 101, comma 1, e 102, comma 1, cod. proc. civ., oltre che "difetto di motivazione". Rileva, in via preliminare, la ricorrente incidentale che il giudizio di opposizione investiva una cartella esattoriale emessa a seguito di un'ordinanza prefettizia, di rigetto del ricorso, proposto dal M. ex art. 18 della legge n. 689 del 1981, avverso sanzione amministrativa pecuniaria comminata per violazioni di norme del codice stradale. Roma Capitale, pertanto, restava contumace in primo grado, ritenendo di non essere legittimata a resistere in giudizio. Nel costituirsi nel giudizio di appello essa, pertanto, eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva, in quanto la cartella esattoriale era stata emessa sulla base, come detto, di ordinanza ingiuntiva prefettizia. La Prefettura di Roma, pertanto, costituiva - a dire di Roma Capitale - litisconsorte necessario, sicché la sentenza resa dal Tribunale capitolino risulterebbe affetta da nullità, al pari di quella del primo giudice, giacché pronunciata in difetto di un contraddittore necessario.
4.2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 23, commi 2 e 4, degli artt. 91, 113, comma 1, e 115, comma 2, cod. proc. civ., oltre che "difetto di motivazione". La ricorrente incidentale deduce, in questo caso, che la sentenza gravata, nel non consentire l'accesso al giudizio di un litisconsorte necessario, sarebbe illegittima, anche con riferimento all'art. 91 cod. proc. civ., norma che, nel disporre la condanna della parte soccombente alle spese di lite, presuppone, quale requisito essenziale, che nel giudizio siano stati convenuti tutti i soggetti che necessariamente devono parteciparvi, evenienza, nella specie, non verificatasi, in ragione dell'assenza della Prefettura di Roma.
5. È rimasta intimata E.S..
Motivi della decisione
6. Il ricorso principale è inammissibile.
6.1. Sul punto, deve premettersi che tale ricorso è stato predisposto nelle forme di documento "nativo digitale", e poi notificato telematicamente. Agli atti del presente giudizio risulta, tuttavia, una prima attestazione (datata 14 giugno 2017) della conformità della copia analogica del ricorso depositata in cancelleria all'originale digitale dello stesso, sottoscritta, però, con firma digitale; evenienza, questa della sottoscrizione digitale e non autografa, suscettibile, in astratto, di determinare l'improcedibilità del ricorso, essendo rimasta una delle destinatarie della notificazione, E.S., solo intimata (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 24 settembre 2018, n. 22438, Rv. 650462-01). Vi è, tuttavia, una seconda attestazione (di pari data), recante, questa volta, firma autografa del difensore, con cui si attesta - specificamente, ai sensi degli artt. 9, comma 1-bis, e 6 della legge 21 gennaio 1994, n. 53, nonché dell'art. 23 del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 - la conformità della copia cartacea dell'atto, notificato a mezzo "PEC", all'originale notificato digitalmente, "coi relativi allegati firmati digitalmente", soggiungendo che esso "è composto da: procura alle liti, relata di notifica firmata digitalmente, stampa di messaggio PEC di notifica dei predetti atti allegati; ricevuta di accettazione della suddetta PEC; ricevuta di avvenuta consegna della suddetta PEC". Tale ulteriore attestazione vale certamente ad escludere l'improcedibilità del ricorso, ma non è idonea, però, ad impedirne anche l'inammissibilità. A tale esito conduce, infatti, il difetto di specifica attestazione della conformità, ai rispettivi originali digitali, della relata di notificazione e dei messaggi "PEC", dal momento che il difensore ha attestato, come si è detto, la sola conformità del ricorso depositato nella forma cartacea all'originale notificato digitalmente, soggiungendo, semplicemente, che l'atto in questione è "composto" - ma senza un'ulteriore attestazione di conformità delle copie cartacee degli stessi ai loro originali digitali - dagli atti sopra meglio indicati. Orbene, già il citato arresto delle Sezioni Unite di cui si è detto - cfr., in particolare, § 25, sent. n. 22438 del 2018, cit. - aveva affermato che, ricorrendo una simile evenienza, può assumere rilievo, ai fini della prova della tempestività della notificazione, il "mancato disconoscimento ad opera del controricorrente dei messaggi di p.e.c. e della relata di notifica depositati in copia analogica non autenticata dalla parte ricorrente", ma sempre, beninteso, che tutti gli intimati risultino presenti in giudizio. Il principio è stato meglio esplicitato dalla successiva giurisprudenza di questa Corte, la quale ha dichiarato "inammissibile, per difetto di prova della relativa consegna al destinatario, qualora il resistente rimanga intimato, il ricorso per cassazione la cui notificazione in via telematica sia avvenuta mediante il mero deposito di copia analogica e informe dei documenti di consegna telematica, ossia la relata, la ricevuta di accettazione e la ricevuta di consegna, senza che detti atti, ancorché nativi digitali, siano stati corredati dall'attestazione di conformità resa ai sensi dell'art. 9, comma 1-bis, della I. n. 53 del 1994" (Cass. Sez. 1, ord. 22 dicembre 2020, n. 29266, Rv. 660154-01). Difatti, si è sottolineato come "la mera copia informe dei documenti di consegna telematica non è idonea a documentare in alcun modo l'avvenuta notificazione o anche il solo tentativo di essa; tale copia si riduce infatti alla produzione di due fogli privi di qualsiasi elemento che consenta in alcun modo di inferirne la corrispondenza agli eventuali originali telematici e dunque privi di significato giuridico" (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, ord. 29266 del 2020, cit.). Di qui, dunque, l'inammissibilità del ricorso principale.
7. Il ricorso incidentale è, invece, improcedibile.
7.1. Anch'esso, infatti, risulta notificato in forma telematica, senza, però, che al deposito in cancelleria di copia analogica dello stesso abbia fatto seguito il deposito di asseverazione di conformità della stessa all'originale digitale. Deve darsi seguito, pertanto, al principio secondo cui "il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, della I. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l'improcedibilità ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all'originale notificatogli ex art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82 del 2005. Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato (così come nel caso in cui non tutti i destinatari della notifica depositino controricorso)" tale essendo l'ipotesi qui verificatasi, essendo E.S. rimasta solo intimata - "ovvero disconosca la conformità all'originale della copia analogica non autenticata del ricorso tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio" (Cass. Sez. Un., sent. n. 22438 del 2018, cit., in particolare la massima Rv. 650462-01).
8. Stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale e di improcedibilità di quello incidentale va disposta l'integrale compensazione delle spese del presente giudizio.
9. In ragione della declaratoria di improcedibilità del ricorso principale e di inammissibilità del ricorso incidentale, sussiste a carico di entrambi i ricorrenti - anche di quello principale, essendo l'improcedibilità evenienza da equiparare a quella dell'inammissibilità del ricorso e dell'integrale soccombenza (Cass. Sez. 3, ord. 25 maggio 2018, n. 13055, Rv. 649105-02) - l'obbligo di versare, se dovuto secondo un accertamento spettante all'amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell'art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e improcedibile quello incidentale, compensando integralmente tra le parti le spese del presente giudizio. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, se dovuto, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.