I termini sospensivi previsti nel periodo emergenziale non hanno portata generalizzata bensì è necessario che il procedimento abbia subito un'effettiva stasi a causa delle misure adottate per arginare la pandemia.
La Corte d'Appello respingeva la richiesta di scarcerazione proposta dall'imputato per decorrenza dei termini della custodia cautelare in carcere, misura a lui applicata per il delitto di tentato omicidio. Il Tribunale, in qualità di giudice del gravame cautelare, confermava l'ordinanza in quanto il termine di durata complessiva della custodia avrebbe subito un'interruzione...
Svolgimento del processo
1. Con provvedimento del 29 marzo 2021 il Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell'appello cautelare ex art. 310 cod. proc. pen., ha confermato l'ordinanza emessa dalla Corte di appello di Milano che, in data 3 marzo 2021, aveva respinto la richiesta, avanzata da M.N., di scarcerazione per decorrenza dei termini massimi di fase della custodia cautelare in carcere a lui applicata per il delitto di tentato omicidio.
1.1. A ragione della decisione ricordava che: - il 29 luglio 2016 il M. era stato sottoposto a fermo; - l'11 ottobre 2017 lo stesso era stato condannato, con la recidiva reiterata e infraquinquennale, a sedici anni di reclusione con sentenza del Tribunale di Milano; - il 10 luglio 2018 la Corte di appello aveva confermato la sentenza di primo grado; - il 25 giugno 2020 la Corte di cassazione aveva annullato la sentenza di appello limitatamente all'aggravante dei futili motivi e alla possibilità di riconoscere al ricorrente l'attenuante della provocazione, rinviando ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo giudizio sul punto; - il 28 ottobre 2020 la Corte di appello, in sede di rinvio, riduceva la pena inflitta ad anni dodici di reclusione e l'imputato proponeva ricorso avverso tale decisione.
1.2. Poiché l'annullamento con rinvio aveva riguardato le sole circostanze, restava la doppia condanna che, ai sensi dell'art. 303, comma 1, lett. d), ultimo periodo, rendeva applicabili, a maggior ragione nel caso di annullamento che non incideva sull'accertamento di responsabilità così coperto da giudicato, i soli termini massimi complessivi di cui all'art. 303, comma 4, cod. proc. pen., nel caso in esame in base alla disposizione di cui alla lett. c) di tale comma, pari a sei anni di reclusione, non ancora decorsi, essendo stato correttamente computato l'aumento previsto dalla circostanza ad effetto speciale di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen.
1.3. In ogni caso, osservava ancora il Tribunale, anche escludendo il computo della recidiva con conseguente determinazione del termine massimo in base alla disposizione di cui alla precedente lett. b), il termine di durata complessiva della custodia sarebbe scaduto il 13 aprile 2021, avendo detto termine subito una sospensione pari a 195 giorni per la redazione delle sentenze di primo grado (60 giorni), di secondo grado (novanta giorni) e di rinvio (45 giorni) e quella ulteriore di 64 giorni (dal 9 marzo all'11 maggio 2020) ex art. 83, commi 2 e 4, d.l. n. 18 del 2020 (per l'emergenza Covid).
2. Avverso detta decisione ha proposto ricorso l'imputato a mezzo del difensore, avvocato A.R., chiedendone l'annullamento. Denunzia, con un unico motivo, inosservanza o erronea applicazione degli artt. 125, 278, 303 cod. proc. pen., 99 cod. pen., per avere il Tribunale erroneamente ritenuto la recidiva incidente sui criteri di calcolo della pena edittale massima stabilita dalla legge ai fini cautelari per il reato per cui si procede, là dove la recidiva, quale che ne sia la natura e quali che ne siano gli effetti (recidiva semplice, casi di recidiva qualificata), è espressamente esclusa dall'art. 278 cod. proc. pen. dal novero degli elementi accessori al reato rilevanti per definire l'entità della pena funzionale all'applicazione di una misura cautelare. Peraltro, dalla lettura della motivazione del provvedimento impugnato nemmeno sarebbe dato comprendere se il Tribunale abbia considerato, nel respingere l'appello, i termini massimi complessivi di cui alla lett. c) dell'art. 303, comma 4, cod. proc. pen., computata la recidiva contestata e ritenuta, ovvero quelli di cui alla lett. b), ritenuti non ancora decorsi per effetto dell'ulteriore sospensione di 64 giorni ai sensi dell'art. 83, commi 2 e 4, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito nella legge 24 aprile 2020, n. 27.
3. Disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell'art. 23 del d. I. n. 137 del 2020, il Sostituto Procuratore generale presso la Corte di cassazione, dott. S.P., ha rassegnato le proprie conclusioni con requisitoria scritta, chiedendo l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato con conseguente liberazione dell'imputato se non detenuto per altra causa.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato e dunque merita accoglimento.
1. La soluzione offerta dal provvedimento impugnato che, al fine di superare il tenore letterale dell'art. 278 cod. proc. pen., ha richiamato pronunzie di questa Corte che assimilano la recidiva reiterata alle circostanze aggravanti ad effetto speciale, come tali incidenti sulla determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari, è in contrasto con il principio di diritto affermato da Sez. U, n. 17386 del 24/02/2011, N., Rv. 249482: "Ai fini della verifica dei limiti edittali stabiliti per l'arresto in flagranza, e, più in generale, della determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari, non si deve tener conto della recidiva reiterata". Con la citata pronunzia le Sezioni Unite hanno precisato che la recidiva, nelle ipotesi in cui comporta un aumento della pena superiore ad un terzo, determina certamente gli effetti propri di una circostanza aggravante ad effetto speciale, ma «il dato testuale della formulazione dell'art. 278 cod. proc. pen. non lascia spazio a dubbi di sorta laddove è previsto che "ai fini dell'applicazione delle misure [...] non si tiene conto della recidiva, mentre occorre tener conto "delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale". Nella norma in esame risultano dunque specificamente indicate sia la recidiva che le circostanze ad effetto speciale, con valenza opposta ai fini del calcolo della pena agli effetti dell'applicazione delle misure: di tal che, qualsiasi interpretazione finalizzata a far rientrare agli effetti specifici dell'art. 278 cod. proc. pen. la recidiva reiterata nella categoria delle circostanze ad effetto speciale, risulta irrimediabilmente inficiata dall'inequivocabile dato letterale. Non solo. il secondo periodo dell'art. 278 cod. proc. pen. consta a sua volta di due parti: la prima, di carattere generale, è quella applicabile alla recidiva; la seconda speciale, che inizia dalle parole "fatta eccezione" riguarda solo alcune circostanze tra le quali rientrano anche quelle ad effetto speciale: orbene, è ragionevole ritenere che se il legislatore, nel formulare l'art. 278 cod. proc. pen., avesse voluto attribuire rilievo alla recidiva, allorché essa comporta un aumento di pena superiore ad un terzo (così considerando la quale aggravante ad effetto speciale anche ai fini specifici dell'art. 278 cod. proc. pen.), non vi sarebbe stata alcuna necessità di un espresso riferimento alla stessa nella prima parte (del secondo periodo) della disposizione, posto che la norma speciale (seconda parte del secondo periodo) include nel computo della pena le aggravanti ad effetto speciale. A ciò aggiungasi che, costituendo la seconda parte (del secondo periodo) della disposizione una regola speciale che fa eccezione alla regola generale di cui alla prima parte, la stessa, ai sensi dell'art. 14 delle preleggi ... non può essere applicata oltre i casi in essa considerati: ulteriore ragione per escludere un'interpretazione estensiva. Ne deriva che il riferimento alle circostanze ad effetto speciale, contenuto nella seconda parte del secondo periodo dell'art. 278 cod. proc. pen., deve essere interpretato restrittivamente, nel senso che esso riguarda le circostanze diverse dalla recidiva, che è espressamente disciplinata solo dalla parte generale». Ed allora, risulta affatto erronea l'affermazione secondo la quale la natura di circostanza ad effetto speciale della recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen. deve ritenersi assorbente rispetto alla indicazione generica della recidiva contenuta nell'art. 278 cod. pen.; né appare condivisibile l'ulteriore argomento speso dal Tribunale, ossia che il principio di diritto statuito dalla sentenza N. trovi applicazione esclusivamente per il momento genetico della misura cautelare e non anche per la determinazione della durata della stessa. Invero, nel ritenere il M. soggetto ai termini complessivi dettati dall'art. 303, comma 4, cod. proc. pen., il Tribunale di Milano non ha fatto corretta applicazione del principio ripetutamente affermato da questa Corte - e che qui si intende ribadire - secondo cui ai fini del computo dei termini di durata massima della custodia cautelare deve farsi riferimento al reato ritenuto in sentenza, utilizzando i criteri previsti dall'art. 278 cod. proc. pen. Tanto comporta che si debba tener conto delle circostanze aggravanti ad effetto speciale giudicate sussistenti, a nulla rilevando che nel giudizio esse siano entrate in eventuale rapporto di equivalenza con le attenuanti generiche, ma non anche della recidiva, ancorché qualificata, espressamente esclusa dalla ridetta disposizione codicistica e che, dunque, non può essere computata neppure se ritenuta sussistente dal giudice della cognizione ed applicata nella determinazione del trattamento sanzionatorio.
2. Esclusa, pertanto, la rilevanza della recidiva per il calcolo dei termini complessivi, regolati in maniera diversa dal codice di rito anche e soprattutto in relazione alla base di calcolo della loro durata, il termine contemplato dall'art. 303, comma 4, lett. b), nella specie applicabile, risulta maturato, così come indicato dal ricorrente, alla data dell'8 febbraio 2021, conteggiate le intervenute sospensioni dei termini di custodia cautelare per un totale di 195 giorni per la redazione delle sentenze.
3. Va, infatti, evidenziato che non appare corretto il computo dell'ulteriore sospensione dei termini di custodia cautelare prevista dalla normativa emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19.
3.1. L'art. 83, comma 2, d.l. n. 18 del 17/3/2020, convertito con modificazioni nella I. 24/4/2020, ulteriormente modificato dal d.l. n. 28/20, ha previsto la sospensione, dal 9 marzo 2020 all'11 maggio 2020, di tutti i termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali, intendendo sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l'adozione dei provvedimenti giudiziari, per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni ed in genere tutti i termini procedurali. Fanno eccezione a tale regola i casi contemplati al comma 3 del citato articolo, tra i quali sono previsti i procedimenti in cui i detenuti, gli imputati, i proposti o i loro difensori espressamente abbiano richiesto che si proceda. La norma citata, al comma 4, ha altresì previsto che «Nei procedimenti penali in cui opera la sospensione dei termini ai sensi del comma 2 sono altresì sospesi, per lo stesso periodo, il corso della prescrizione e i termini di cui agli articoli 303 e 308 del codice di procedura penale». Alla luce del dato testuale della norma, deve ritenersi che la sospensione, per il periodo indicato, valga anche per i termini di fase della custodia cautelare di cui all'art. 303 cod. proc. pen. Quanto ai limiti di operatività della suddetta sospensione, in base ad orientamento della giurisprudenza di legittimità ormai consolidato, la norma citata non determina l'automatica sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare in tutti i procedimenti pendenti, essendo necessario che, nel periodo di riferimento, siano operanti termini procedurali per il compimento di determinati atti (Sez. 4, n. 12161 del 24/03/2021, Rv. 280780: "La sospensione del decorso dei termini processuali, introdotta per il contenimento della pandemia da Covid-19 dall'art. 83, comma 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020 n. 27, si applica ai soli procedimenti, in corso nel periodo di riferimento, in cui siano stati effettivamente operanti termini procedurali per il compimento di specifici atti."; in termini, Sez. 4, n. 17787 del 15/04/2021 Rv. 281167). Sia la sospensione del corso della prescrizione, sia la sospensione dei termini di durata massima delle misure cautelari dipendono, dunque, dalla contestuale ed effettiva sospensione dei termini processuali per i procedimenti che si trovano nelle condizioni indicate nel precedente comma 2, ossia nella fase procedimentale in cui stia decorrendo un termine per il compimento di un atto del processo. Tanto presuppone, dunque, che nel procedimento interessato un atto debba essere compiuto entro un certo termine; diversamente, in mancanza cioè di atti da compiere e di termini procedurali in corso, la sospensione, così come prevista dal legislatore, non ha motivo di operare. Tale interpretazione trova fondamento nelle indicazioni contenute nella motivazione della sentenza delle Sezioni Unite, ric. S. (Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020, dep. 2021), che, sia pure nella differente prospettiva di fornire la corretta interpretazione del comma 3-bis dell'art. 83 citato, disposizione applicabile ai soli processi pendenti in Cassazione nel periodo considerato, ha avuto modo di precisare in motivazione che il citato secondo comma dell'art. 83 sospende, senza distinzione, "tutti i termini procedurali", purché gli stessi decorrano nell'intervallo temporale considerato da tale disposizione e siano tali nel senso indicato dal primo comma dell'art. 172 cod. proc. pen.; aggiungendo, in particolare, come rimangano sospesi anche i termini per proporre qualsiasi tipo di impugnazione: «In tema di" disciplina della prescrizione a seguito dell'emergenza pandemica da Covid-19, la sospensione del termine per complessivi sessantaquattro giorni, prevista dall'art. 83, comma 4, del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, si applica ai procedimenti la cui udienza sia stata fissata nel periodo compreso dal 9 marzo all'11 maggio 2020, nonché a quelli per i quali fosse prevista la decorrenza, nel predetto periodo, di un termine processuale", così escludendo che la sospensione della prescrizione possa operare in maniera generalizzata, per tutti i procedimenti pendenti nel periodo di riferimento, in quanto la disciplina introdotta all'art.83, comma 4, d.l. n.18 del 2020, presuppone che il procedimento abbia subito una effettiva stasi a causa delle misure adottate per arginare la pandemia.
3.2. Ebbene, la scansione temporale degli atti posta in evidenza nello stesso provvedimento impugnato rivela come la sospensione prevista nel periodo di epidemia non abbia inciso in nessun modo nel procedimento a carico dell'imputato: la sentenza di primo grado è stata emessa l'11 ottobre 2017; quella di secondo grado il 10 luglio 2018; il ricorso è stato presentato prima dell'emergenza sanitaria ed è pervenuto in Corte di cassazione l'8 novembre 2019; nessuna udienza ha subito un rinvio nel periodo dal 9 marzo all'11 maggio 2020, in quanto la trattazione del ricorso è stata fissata per l'udienza del 4 giugno 2020 e poi rinviata con decreto del Presidente titolare all'udienza del 25 giugno 2020, date, tutte, ampiamente successive al termine di operatività della sospensione.
4. Alla luce delle superiori riflessioni il provvedimento impugnato deve essere annullato senza rinvio e va disposta l'immediata liberazione del ricorrente se non detenuto per altra causa.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dispone l'immediata liberazione del ricorrente se non detenuto per altra causa. Dispone altresì darsi immediata comunicazione alla Procura Generale presso la Corte di Cassazione per i provvedimenti occorrenti.