Con la sentenza in commento, la Cassazione ribadisce che spetta al responsabile della società sportiva adottare le cautele idonee a garantire l'incolumità fisica degli utenti in quanto titolare di una posizione di garanzia.
La vicenda trae origine dall'infortunio subito da un minore, il quale, accompagnato dalla madre presso la scuola di calcio in anticipo rispetto all'orario di inizio dell'allentamento, entrava sul campo di gioco in assenza dell'allenatore e aggrappandosi ad una porta in metallo, non ancorata al suolo, ne causava la caduta procurandogli un trauma...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 25 gennaio 2021 il Tribunale di Piacenza ha parzialmente riformato -assolvendo G.C., G.T., E.M. -la sentenza del Giudice di pace di Piacenza, con cui L.P., in qualità di direttore generale dell'associazione sportiva '(omissis) ASD, G.C., quale direttore generale, G.T., quale direttore tecnico ed E.M., quale istruttore di calcio della medesima associazione, erano stati ritenuti responsabili del reato di cui agli artt. 113, 590 cod. pen., per avere in cooperazione colposa fra di loro, cagionato al minore M.R. lesioni personali gravi, con colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, consentendo al bambino, che frequentava un corso di calcio, di avvicinarsi ad una porta in metallo, posta all'interno del campo di calcetto e di giocare con la medesima, che cadendo, lo travolgeva procurandogli un trauma facciale e la frattura delle ossa nasali.
2. Il fatto, per come accertato dalla sentenza di secondo grado, può essere descritto come segue: il giorno dell'infortunio il piccolo M.R. veniva condotto dalla madre alla scuola di calcio, per partecipare all'allenamento previsto per le ore 17; essendo giunto in anticipo il bambino, insieme ad altri compagni, entrava sul campo di gioco e quivi, in assenza dell'allenatore, aggrappandosi ad una delle porte in metallo, non ancorata al suolo, ne causava la caduta, rimanendo ferito.
3. Avverso la sentenza della Corte d'appello propone ricorso per cassazione L.P., a mezzo del suo difensore, formulando un unico motivo. Osserva che il giudice di seconda cura conferma la sola condanna di L.P., assolvendo i coimputati, sulla base della mera verifica della sussistenza del fatto e della qualifica rivestita dal medesimo, così fondando la decisione sulla responsabilità oggettiva del medesimo, benché egli, Presidente dell'associazione sportiva, non solo non fosse presente al momento del fatto, ma avesse nominato quale Direttore generale, G.C., quale Direttore sportivo, G.T., facendo svolgere l'attività di istruttore a soggetti all'uopo formati, fra i quali vi era E.M., allenatore di M.R., presente quel giorno sul campo. Sottolinea che P. aveva predisposto una procedura di accesso al campo di gioco ed aveva adottato specifici dispositivi di prevenzione, i c.d. fermaporta, che consentivano l'ancoraggio a terra delle porte interne al campo. In particolare, come emerso dall'istruttoria, non solo non era consentito ai piccoli atleti di entrare in campo, prima dell'allenamento, essendo previsto che i genitori consegnassero i bambini all'allenatore, ma era apposto al cancello un divieto di ingresso ai soggetti non autorizzati. Sicché per autorizzare l'ingresso al campo era necessario che i genitori interloquissero con l'allenatore. Inoltre, la porta, pur non essendo fissa, in quanto doveva potersi spostare nei diversi campi da gioco, era piccola e dotata di fermi mobili, che, secondo le istruzioni, dovevano essere assicurati al suolo per iniziare il gioco. Rileva che né la sentenza di primo grado, né quella di seconda cura, chiariscono quale sia la regola cautelare violata dal ricorrente o l'alternativo comportamento lecito che avrebbe evitato l'infortunio, con la conseguenza che questo viene addebitato a P. a titolo di responsabilità oggettiva. Non solo, infatti, l'imputato, non presente al momento del sinistro. aveva predisposto tutte le necessarie cautele e procedure, nominando i responsabili, ma il genitore aveva contravvenuto alla regola consentendo al bambino di accedere prima dell'inizio dell'allenamento, senza controllo, senza attendere l'autorizzazione dell'allenatore, cui il piccolo doveva essere consegnato e senza avvertirlo. Nessun addebito può, dunque, muoversi a L.P., mentre, da un lato, l'assenza oggettiva della ricostruzione dinamica del sinistro, dall'altro, la condotta della madre della persona offesa, peraltro impegnata in una telefonata nel momento in cui il piccolo si mise a giocare con la porta, debbono condurre ad un esito assolutorio. Conclude per l'annullamento della sentenza impugnata.
4. Con requisitoria scritta ai sensi dell'art. 23 d.l. 137/2020 il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha concluso per il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere rigettato.
2. Con la doglianza proposta si assume l'insussistenza di una condotta colposa dell'imputato causalmente connessa con l'evento, per avere il medesimo, nella sua qualità di qualità di direttore generale dell'associazione sportiva predisposto ogni cautela idonea ad evitare il prodursi di danni agli atleti che frequentavano il campo di calcio, in particolare, vietando, con l'apposizione di relativo cartello, l'ingresso al di fuori degli orari di allenamento, imponendo l'obbligo di affidare i bambini all'allenatore e soprattutto dotando le porte, soggette allo spostamento all'interno dell'impianto, di fermi mobili, da ancorare al suolo.
3. Ora, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità "Il responsabile di una società sportiva, che ha la disponibilità di impianti ed attrezzature per l'esercizio delle attività e discipline sportive, è titolare di una posizione di garanzia, ai sensi dell'art. 40, comma secondo, cod. pen., ed è tenuto, anche per il disposto di cui all'art. 2051 cod. civ., a garantire l'incolumità fisica degli utenti e ad adottare quelle cautele idonee ad impedire il superamento dei limiti di rischio connaturati alla normale pratica sportiva, con la conseguente affermazione del nesso di causalità tra l'omessa adozione di dette cautele e l'evento lesivo occorso ad un utente dell'impianto sportivo. (In applicazione del principio la S.C. ha annullato la sentenza di assoluzione del presidente di una squadra di calcio, il quale, nell'allestire il campo da gioco in cui si svolgevano le partite di detta squadra, non aveva rispettato la distanza tra la linea bianca delimitatoria del campo di calcio e la palificazione di recinzione, contro la quale, a seguito di un'azione di gioco, aveva urtato un calciatore, riportando lesioni gravi). (Sez. 4, Sentenza n. 22037 del 21/04/2015, P.c. in proc. M. Rv. 263823; Sez. 4, n. 16998 del 24/01/2006, P., Rv.233831). Ne consegue, in via generale, che l'omessa adozione di accorgimenti e cautele idonei al suddetto scopo, in presenza dei quali l'incidente non si sarebbe verificato od avrebbe cagionato pregiudizio meno grave per l'incolumità fisica dell'utente, costituisce violazione di un obbligo di protezione gravante su tale soggetto. Posto che il gioco del calcio implica rischi per l'incolumità fisica dei giocatori anche derivanti dalla struttura in cui l'attività sportiva si svolge, il titolare o responsabile dell'impianto è investito della posizione di garante nei confronti di coloro che la esercitano, ed è tenuto ad impedire il verificarsi di eventi lesivi per coloro che praticano lo sport, previa utilizzazione dell'impianto e delle connesse attrezzature (Sez. 4, n. 18798 del 20/09/2011, dep. 2012, R., Rv. 253918).
4. Ciò premesso, va rilevato che la doglianza non dubita della sussistenza della posizione di garanzia in capo all'imputato, nella sua qualità di responsabile - direttore generale dell'associazione, ma solleva la questione della sussistenza stessa della condotta colposa, affermando che non viene individuata la condotta cautelare violata da L.P., avuto riguardo al fatto che il medesimo ha adempiuto all'onere su di lui incombente di adottare le cautele rivolte ad evitare un sinistro del tipo di quello verificatosi in sua assenza e comunque in un orario precedente l'inizio dell'allenamento.
5. Ora, la censura parte da un presupposto che non appare inverato dalle sentenze di merito, ovverosia che le porte fossero effettivamente dotate di un fermo, utile ad ancorarle al suolo. Invero, dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado è emerso che la porta su cui si è infortunato il minore non era ancorata al suolo, come invece prescritto dall'art. 36 del regolamento del settore per l'attività giovanile e dall'art. 49 del regolamento della Lega nazionale dilettanti e dall'art. 2 dello Statuto, ma non è risultato, o quantomeno non è riportato dalle decisioni, che le porte fossero munite del fermo. Ed anzi, la sentenza qui impugnata afferma che non erano state predisposte cautele per fissare temporaneamente l'attrezzatura.
6. A fronte di questa constatazione, non può sostenersi, come fa il ricorrente, che manchi un profilo di rimproverabilità della condotta, né è stata formulata una censura in ordine al travisamento per omessa valutazione di una prova decisiva, né è stato allegata al ricorso la prova da cui si ricaverebbe che la struttura era dotata dei fermi regolamentari.
7. Ciò, nondimeno, comporta che a fronte della sussistenza della condotta colposa, l'evento debba addebitarsi al dirigente dell'associazione che doveva adempiere all'obbligo di adottare una tutela specificamente prevista -come bene evidenzia il giudice di prima cura- rivolta ad evitare il ribaltamento della struttura, che ha cagionato l'evento lesivo.
8. Non interessa, a questo punto, valutare il rilievo degli ulteriori accorgimenti che risultano essere stati predisposti dal ricorrente inerenti ai divieti di accesso prima dell'allenamento, all'obbligo di affidare i bambini all'allenatore, posto che la condotta consistita nel non dotare le porte del sistema di ancoramento è causa diretta del sinistro. Né, d'altra parte, assume valore interruttivo del nesso di causalità il comportamento tenuto dalla madre del bambino che non affidò il piccolo all'allenatore, consentendogli di entrare sul campo di gioco, non sorvegliandolo, perché intenta a fare una telefonata, e ciò perché se il suo comportamento può configurare una concausa -peraltro non riconosciuta come tale ai giudici di merito, stante la prassi che consentiva di fatto l'ingresso prima dell'allenamento- certamente non elide il valore causale della condotta dell'imputato, senza la quale l'evento non si sarebbe verificato.
9. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali