
Gli acquisti e le vendite di Bitcoin operati da un soggetto privato generano plusvalenze positive che concorrono a formare il reddito imponibile solo se manca la finalità speculativa.
Il contribuente esponeva nella dichiarazione dei redditi delle plusvalenze riconducibili alla compravendita di Bitcoin versandone le relative imposte, pari al 26% delle plusvalenze realizzate.
Successivamente, egli presentava due istanze di rimborso degli importi versati e, per via del silenzio rifiuto formatosi in proposito, presentava due ricorsi distinti. Alla base dei ricorsi richiamava la
La Commissione Tributaria Provinciale condivideva le eccezioni del contribuente, dunque l'Agenzia delle Entrate appella la decisione, asserendo che il contribuente non aveva assolto all'onere della prova di detenere i Bitcoin al di fuori di un'attività di impresa, né di avere svolto l'attività di compravendita senza finalità speculative. A sostegno della sua tesi, l'Ente osserva come il contribuente avesse acquistato complessivi euro 138.454,00 di Bitcoin, poi rivenduti per euro 148.933,00, non potendo ritenere una tale operazione come priva di rilevanza economica.
Con la sentenza n. 1505 del 6 dicembre 2021, la Commissione Tributaria Regionale per il Veneto accoglie l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate.
Innanzitutto, la CTR richiama la posizione assunta sul tema dalla Corte di Giustizia, secondo la quale le operazioni in oggetto rientrano tra quelle riconducibili all'art. 135, par. 1, lett. e), direttiva 2006/112/CE, quando svolte in modo professionale e abituale, costituendo attività rilevanti ai fini IVA, IRES e IRAP. In tal senso, la Corte ha affermato che «l'attività di commercializzazione di Bitcoin deve essere qualificata quali prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso» e che «le prestazioni costituiscono operazioni finanziarie in quanto tali valute siano state accettate dalle parti di una transazione quale mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento legali e non abbiano altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento».
Tenuto conto di ciò, l'Agenzia delle Entrate ha concluso che l'attività della società deve essere considerata ai fini IVA quale prestazione di servizi esenti ai sensi dell'
Ciò posto, la CTR rileva che nel caso di specie il contribuente non ha svolto le operazioni in questione nell'ambito della sua attività professionale, bensì come privato cittadino, dunque non può essere applicata la risoluzione dell'Agenzia delle Entrate sopra richiamata, ove l'unico richiamo alle conseguenze sul privato cittadino è quello che prevede che per le persone fisiche che detengono Bitcoin al di fuori dell'attività di impresa, le attività di acquisto e di vendita di valuta non generano redditi imponibili qualora manchi la finalità speculativa, finalità che nel caso di specie non può essere esclusa.
Per questa ragione, il rimborso richiesto dal contribuente non spetta.
Segue la dichiarazione di legittimità del silenzio rifiuto opposto alle richieste di rimborso formulate dal richiedente.
CTR Veneto, sez. II, sentenza (ud. 31 marzo 2021) 6 dicembre 2021, n. 1505
Svolgimento del processo
L'Agenzia delle Entrate appella la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale che ha accolto i ricorsi riuniti presentati dal contribuente, signor B. T., avverso i silenzi rifiuto alle sue istanze di rimborso IRPEF per gli anni 2014 e 2015.
Il contribuente ha esposto nelle dichiarazioni dei redditi delle plusvalenze derivanti dalla compravendita di Bitcoin ed ha conseguentemente versato le relative imposte, pari al 26% delle plusvalenze realizzate.
In data 29 novembre 2016 il contribuente ha presentato le due distinte istanze di rimborso degli importi versati e, avverso il silenzio rifiuto formatosi, ha presentato due separati ricorsi nei quali, ponendo a base della sua richiesta la risoluzione dell'Agenzia delle Entrate n. 72/E del 2/9/2016 e ritenendo che le operazioni di trading sui bitcoin non generino "capital gain", ha richiesto che venisse disposto il rimborso delle somme versate a titolo di imposta.
L'Agenzia delle Entrate si è costituita in giudizio, replicando ai motivi dedotti nel ricorso e richiedendo il suo rigetto.
La C.T.P. ha totalmente condiviso le eccezioni del contribuente ed ha quindi accolto il ricorso compensando le spese il giudizio.
Nel suo appello l'Ufficio eccepisce la violazione dell'articolo 112 c.p.c. per omessa pronuncia dei primi giudici sulle ragioni esposte dall'Amministrazione nei propri atti difensivi; nel merito ribadisce che il contribuente ha erroneamente inteso la posizione dell'Amministrazione contenuta nella citata circolare - che del resto si riferiva ad una fattispecie diversa da quella per cui oggi è causa - e non ha assolto all'onere della prova di detenere i Bitcoin al di fuori di un'attività di impresa, nonché di svolgere tale attività di compravendita senza alcuna finalità speculativa.
Osserva inoltre che il contribuente, negli anni interessati, ha acquistato Bitcoin per complessivi euro 138.454,00, poi rivenduti per complessivi euro 148.933,00; trattasi di operazioni che, per la loro rilevanza economica, non possono non denotare l'esistenza di una evidente finalità speculativa.
Conclude richiedendo l'annullamento della sentenza e la conferma della legittimità del silenzio rifiuto opposto alla richiesta di rimborso.
Il contribuente controdeduce all'appello, ribadendo la correttezza della sentenza impugnata. Eccepisce inoltre l'inconsistenza delle richieste e delle dimostrazioni che l'Ufficio pone a carico del contribuente, l'inconsistenza della dottrina citata e la contraddittorietà della ricostruzione giuridica effettuata; conclude richiedendo il rigetto dell'appello e, conseguentemente, che venga disposta la restituzione delle maggiori imposte secondo gli importi dallo stesso calcolati; con vittoria di spese ed onorari di lite del grado di appello.
Presenta poi memorie illustrative con le quali ribatte alle deduzioni dell'appellante, ed in conclusione ribadisce la conferma della sentenza della Commissione Tributaria provinciale impugnata.
Motivi della decisione
Il contribuente ha dichiarato, nel quadro RT delle dichiarazioni dei redditi, delle plusvalenze derivanti dalla attività di compravendita di bitcoin verificatesi nelle due annualità 2014 e 2015, sottoponendole all'imposta pari al 26% della plusvalenza realizzata; ha successivamente, in data 29/11/2016, presentato due istanze distinte al fine di richiedere il rimborso degli importi pagati, richiamandosi alla risoluzione n.72/E del 2/09/2016 dell'Agenzia delle Entrate.
Tale Risoluzione è stata emanata a seguito di interpello formulato da una Società che intendeva eseguire, per conto della propria clientela, operazioni di acquisto e vendita di bitcoin e richiedeva il corretto trattamento applicabile a tali operazioni di trading di moneta virtuale ai fini IVA, lRAP ed Imposte Dirette e se essa dovesse operare in qualità di sostituto d'imposta.
L'Agenzia ha formulato la Risoluzione avuto riguardo di quanto affermato dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella sentenza del 22 ottobre 2015, causa C-264/14 riguardante la fattispecie di operazioni cambio di valuta tradizionale" in bitcoin e viceversa, con riguardo all'IVA.
Per la Corte di Giustizia le operazioni suddette rientrano tra le operazioni " relative a divise banconote e monete con valore liberatorio" di cui all'articolo 135, paragrafo 1, lett. e) della Direttiva 2006/112/CE, svolte in modo professionale ed abituale e costituiscono una attività rilevante ai fini IVA, IRES e lRAP concludendo: "che l'attività di commercializzazione di Bitcoin deve essere qualificata quali prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso" ... e " che le prestazioni costituiscono operazioni finanziarie in quanto tali valute siano state accettate dalle parti di una transazione quale mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento legali e non abbiano altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento ".
L'Agenzia delle Entrate, applicando tali principi e limitatamente al caso illustrato con l'istanza di interpello, ha concluso che l'attività della Società, remunerata attraverso commissioni pari alla differenza tra l'importo corrisposto dal cliente che intende acquistare/ vendere bitcoin e la migliore quotazione reperita dalla Società sul mercato, debba essere considerata ai fini IVA quale prestazione di servizi esenti ai sensi dell'art. 10, comma 1, n.3) DPR 633/1972; ai fini della tassazione diretta, l'Ufficio ritiene che la Società debba assoggettare ad imposizione i componenti di reddito derivanti dall'attività di intermediazione effettuata, al netto dei relativi costi inerenti a detta attività.
L'Ufficio inoltre, con riferimento alla richiesta della Società relativa al sostituto di imposta, specifica che - per quanto riguarda la tassazione ai fini delle imposte sul reddito dei clienti della Società (persone fisiche che detengono i Bitcoin al di fuori dell'attività d'impresa) delle operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta - esse non generano redditi imponibili se manca la finalità speculativa, e quindi la Società non è tenuta ad alcun adempimento come sostituto d'imposta.
Il richiamo dettagliato delle indicazioni della Corte di Giustizia Europea e della correlata Risoluzione dell'Agenzia delle Entrate sopra riportate è, ad avviso della Commissione, necessario in primo luogo perché è stato all'origine della richiesta di rimborso dell'imposta che in un primo momento il contribuente aveva corrisposto all'atto delle dichiarazioni dei redditi, in secondo luogo perché emerge con chiarezza la difformità delle situazioni ivi analizzate, in quanto sono riferite all'attività di una Società che esercita l'attività di cambio di valute tradizionali in bitcoin e viceversa o di acquisto/ vendita di bitcoin, rispetto al presente contenzioso.
Tali risoluzioni hanno infatti riflessi sull'attività della Società, sull'IVA, sull'imponibile IRES determinato sulle componenti di reddito netto derivante dall'esercizio dell'attività e sull' IRAP, ma risultano del tutto estranei all'attuale contenzioso che riguarda operazioni di acquisto/ vendita di bitcoin da parte di un privato cittadino, non svolte come attività professionale.
L'unico punto della risoluzione in cui si fa riferimento alle conseguenze sul privato cittadino, inteso come un cliente della società di trading di valute, è la considerazione - formulata ai soli fini di motivare la assenza per la società di adempimenti come sostituto d'imposta, che per le persone fisiche che detengono i Bitcoin al di fuori dell'attività d'impresa, gli acquisti e vendite di valuta, non generano redditi imponibili se manca la finalità speculativa ".
Nel presente caso non siamo in presenza di un'attività svolta da una società, né di un'attività di acquisto/ vendita di valuta, nel presente caso bitcoin, svolta da un professionista/ operatore finanziario autorizzato e con partita IVA, bensì di un cittadino che ha effettuato nei due anni compravendite di bitcoin traendone una differenza positiva tra il prezzo di acquisto e quello di vendita; le circostanze che emergono non contestate dalle parti sono che l'attività di compravendita operata dal contribuente quale persona fisica è stata svolta per le due annualità e che tale attività ha generato delle plusvalenze in entrambi gli anni.
L'art. 67 TUIR che disciplina i redditi diversi comprende al comma 1, lettera c) le plusvalenze realizzate mediante cessione onerosa di partecipazioni qualificate e assimila a queste ultime, alla lettera c-ter, le plusvalenze realizzate mediante cessioni a titolo oneroso di valute estere, considerandole strumenti finanziari.
A giudizio del Collegio i bitcoin, considerati dalla Corte di Giustizia Europea valute non tradizionali di cui le operazioni di acquisto/vendita: " costituiscono operazioni finanziarie in quanto tali valute siano state accettate dalle parti di una transazione quale mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento legali in un abbiano altre finalità oltre a quelli di un mezzo di pagamento" , sono da includere fra le valute , per le quali le plusvalenze realizzate mediante cessione onerosa a seguito di operazioni di acquisto/ vendita, costituiscono redditi diversi ai sensi dell'art. 67 TUIR, in particolare tra quelli rientranti nella lettera c- ter).
Tali plusvalenze, ai sensi di quanto dispone l'art. 68 TUIR commi 5) e 6) concorrono a formare il reddito imponibile - determinato dalla differenza tra il costo di acquisto della valuta ed il valore della vendita ottenuto nell'anno, plusvalenza che nel caso sia positiva, va tassata applicando al differenziale dichiarato dal contribuente, l'aliquota del 26%.
Tali conclusioni sono suffragate dal rilievo che nella specie il contribuente, come da lui stesso dichiarato nei quadri RT degli anni che ne occupa, ha acquistato bitcoin per complessivi euro 138.454,00, poi rivenduti per complessivi euro 148.933,00. Trattasi quindi di operazioni che, da una parte superano la soglia di valore e temporale (euro di 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d'imposta) e che, per la loro rilevanza economica, non possono non denotare l'esistenza di un'evidente finalità speculativa. Lo stesso contribuente ha in sede di dichiarazione dei redditi, operato in tal senso, salvo poi- in seguito alla Risoluzione n. 72/E del 2/09/2016 dell'Agenzia delle Entrate, che ha ritenuto erroneamente applicabile al suo caso - richiedere il rimborso dell'imposta pagata, rimborso a giudizio del presente Collegio non spettante per i motivi sopra riportati.
In conclusione la Commissione accoglie l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate e, in riforma della sentenza impugnata, dichiara la legittimità del silenzio rifiuto opposto alle richieste di rimborso formulate dal contribuente; la novità della presente controversia costituisce valido motivo per la compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
- accoglie l'appello e riforma la sentenza impugnata;
- compensa le spese del giudizio.