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15 febbraio 2022
Acquisto e vendita di Bitcoin da parte dei privati: nessun rimborso dell’imposta pagata se c’è finalità speculativa

Gli acquisti e le vendite di Bitcoin operati da un soggetto privato generano plusvalenze positive che concorrono a formare il reddito imponibile solo se manca la finalità speculativa.

La Redazione

Il contribuente esponeva nella dichiarazione dei redditi delle plusvalenze riconducibili alla compravendita di Bitcoin versandone le relative imposte, pari al 26% delle plusvalenze realizzate.
Successivamente, egli presentava due istanze di rimborso degli importi versati e, per via del silenzio rifiuto formatosi in proposito, presentava due ricorsi distinti. Alla base dei ricorsi richiamava la risoluzione dell'Agenzia delle Entrate n. 72/E del 2 settembre 2016, ritenendo che le operazioni di trading sui Bitcoin non generassero capital gain, dunque doveva essere disposto il rimborso delle somme versate a titolo di imposta.
La Commissione Tributaria Provinciale condivideva le eccezioni del contribuente, dunque l'Agenzia delle Entrate appella la decisione, asserendo che il contribuente non aveva assolto all'onere della prova di detenere i Bitcoin al di fuori di un'attività di impresa, né di avere svolto l'attività di compravendita senza finalità speculative. A sostegno della sua tesi, l'Ente osserva come il contribuente avesse acquistato complessivi euro 138.454,00 di Bitcoin, poi rivenduti per euro 148.933,00, non potendo ritenere una tale operazione come priva di rilevanza economica.

Con la sentenza n. 1505 del 6 dicembre 2021, la Commissione Tributaria Regionale per il Veneto accoglie l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate.
Innanzitutto, la CTR richiama la posizione assunta sul tema dalla Corte di Giustizia, secondo la quale le operazioni in oggetto rientrano tra quelle riconducibili all'art. 135, par. 1, lett. e), direttiva 2006/112/CE, quando svolte in modo professionale e abituale, costituendo attività rilevanti ai fini IVA, IRES e IRAP. In tal senso, la Corte ha affermato che «l'attività di commercializzazione di Bitcoin deve essere qualificata quali prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso» e che «le prestazioni costituiscono operazioni finanziarie in quanto tali valute siano state accettate dalle parti di una transazione quale mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento legali e non abbiano altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento».
Tenuto conto di ciò, l'Agenzia delle Entrate ha concluso che l'attività della società deve essere considerata ai fini IVA quale prestazione di servizi esenti ai sensi dell'art. 10, comma 1, n. 3), d.P.R. n. 633/1972, e ai fini della tassazione diretta l'Ente ritiene che la medesima debba assoggettare ad imposizione i componenti di reddito che derivano dall'attività di intermediazione effettuata, precisando che tali operazioni non generano redditi imponibili se manca la finalità speculativa.

Ciò posto, la CTR rileva che nel caso di specie il contribuente non ha svolto le operazioni in questione nell'ambito della sua attività professionale, bensì come privato cittadino, dunque non può essere applicata la risoluzione dell'Agenzia delle Entrate sopra richiamata, ove l'unico richiamo alle conseguenze sul privato cittadino è quello che prevede che per le persone fisiche che detengono Bitcoin al di fuori dell'attività di impresa, le attività di acquisto e di vendita di valuta non generano redditi imponibili qualora manchi la finalità speculativa, finalità che nel caso di specie non può essere esclusa.
Per questa ragione, il rimborso richiesto dal contribuente non spetta.
Segue la dichiarazione di legittimità del silenzio rifiuto opposto alle richieste di rimborso formulate dal richiedente.

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