Tale attività materiale, infatti, deve essere accompagnata da indizi univoci che consentano di presumere che essa è svolta “uti dominus”.
La Corte d'Appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Pavia con la quale era stata rigettata la domanda di rilascio di alcuni terreni proposta da una società nei confronti di un'altra e del suo socio amministratore ed era stata accolta, invece, la domanda di usucapione proposta da questi ultimi.
La Corte fondava la sua decisione sulla deposizione di...
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 20.01.2016 confermò la sentenza del Tribunale di Pavia, che aveva rigettato la domanda di rilascio di alcuni terreni proposti dalla S. di B.I. & c nei confronti dell’Azienda Cascina P. sas e dal suo socio amministratore B.A. ed aveva accolto la domanda di usucapione proposta dai convenuti. Per quel che ancora rileva in sede di legittimità, la Corte distrettuale riconobbe che il possesso ventennale dei terreni era stato provato attraverso la deposizione di un teste, il quale aveva riferito che il B., nel corso del ventennio, aveva coltivato i terreni e provveduto alla realizzazione delle opere necessarie per l’irrigazione ed il livellamento dei medesimi. Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso la S. di B.I. & C. sas affidato a quattro motivi. Ha resistito con controricorso l’Azienda Agricola Cascina P.. In prossimità dell’udienza, le parti hanno depositato memorie difensive.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art.1158 c.c., in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., per avere la corte d’appello ritenuto sufficiente, ai fini della prova del possesso ad usucapionem, la mera coltivazione dei terreni e la loro gestione. Il motivo è fondato. È onere di chi chiede accertarsi l'intervenuta usucapione dimostrare di aver esercitato sul bene un potere di fatto che si è estrinsecato in un'attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà. Lo stesso deve, infatti, provare non solo il corpus – dimostrando di essere nella disponibilità del bene - ma anche l'animus possidendi per il tempo necessario ad usucapire (Cass., sez. II, 02/10/2018, n. 23849); L’utilizzo del terreno per la coltivazione, in assenza di un atto apprensivo della proprietà, è inidoneo al possesso ad usucapionem, perché, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l'intento di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus. L'interversione nel possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell'avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso (Cass., sez. II, 03/07/2018, n.17376; Cass., sez. II, 29/07/2013, n.18215). Del resto, il proprietario può possedere anche solo animo purché il possessore abbia la possibilità di ripristinare il contatto materiale con la cosa non appena lo voglia; soltanto qualora questa possibilità sia di fatto preclusa da altri o da una obiettiva mutata situazione dei luoghi, l'elemento intenzionale non è da solo sufficiente per la conservazione del possesso che si perde nel momento stesso in cui è venuta meno l'effettiva disponibilità della cosa (Cass., sez. II, 29/01/2016, n.1723; Cass., sez. II, 29/07/2013, n.18215). La corte di merito non si è adeguata ai principi di diritto affermati da questa Corte in tema di onere della prova del possesso ed ha erroneamente ritenuto che la coltivazione del terreno e la realizzazione delle opere necessarie per l’irrigazione fossero atti idonei ad integrare il possesso ad usucapionem senza accertare se fossero accompagnati da un atto di interversione del possesso. La sentenza va, pertanto, cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità e si atterrà al seguente principio di diritto: “Ai fini della prova degli elementi costitutivi dell'usucapione , la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l'intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta "uti dominus"; l'interversione nel possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell'avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso”. Vanno dichiarati assorbiti gli altri motivi di ricorso.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.