
La Cassazione riconosce all'imputato la causa di non punibilità poiché la Corte d'Appello non aveva dimostrato che la rimozione dell'annuncio fu operata dall'imputato in ragione dell'attivazione degli organi di controllo e non dalla resipiscenza del medesimo.
All'esito del giudizio abbreviato di primo grado, il GIP del Tribunale di Alessandria riteneva l'imputato responsabile del delitto di peculato per messo in vendita online degli stivali appartenenti alla Polizia di Stato destinati all'attività di servizio. La Corte d'Appello di Torino, in parziale riforma della decisione di prime cure,...
Svolgimento del processo
1. Il Pubblico Ministero del Tribunale di Alessandria ha tratto a giudizio R.B. per il delitto di peculato, per aver posto in vendita sul sito online (omissis), al prezzo di 110,00 euro, gli stivali da motociclista Jolly ricevuti, quale appartenente alla Polizia di Stato, insieme ad altri capi per la vestizione invernale, tutti beni di proprietà del Dipartimento di Pubblica Sicurezza e destinati all'attività di servizio, fatto commesso in Belforte Monferrato (AL) il 9 marzo 2017. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Alessandria, all'esito del giudizio abbreviato di primo grado, con sentenza emessa in data 18 dicembre 2019, ha: - ritenuto l'imputato responsabile del delitto di peculato limitatamente alla messa in vendita degli stivali e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e l'attenuante di cui all'art. 323-bis cod. pen., tenuto conto della diminuente per il rito, lo ha condannato alla pena sospesa di un anno, due mesi e sei giorni di reclusione; - applicato al medesimo la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena; - assolto il B. dal reato ascrittogli limitatamente agli altri capi di vestiario. Con la decisione indicata in epigrafe la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ritenuta l'ipotesi del delitto tentato, ha rideterminato la pena in cinque mesi e dieci giorni di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. L'avv. M.P., difensore del B., ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l'annullamento, deducendo tre motivi e, segnatamente: a) la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto di tentato peculato; b) la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in ordine alla ritenuta non ricorrenza della causa di non punibilità della desistenza volontaria di cui all'art. 56, terzo comma, cod. pen.; c) la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in ordine al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere accolto nei limiti che di seguito si precisano.
2. Con il primo motivo il ricorrente deduce la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto di tentato peculato. Rileva il ricorrente, infatti, che la sentenza impugnata non avrebbe motivato in ordine al difetto di univocità degli atti idonei ad integrare il delitto tentato, in quanto la pubblicazione dell'annuncio di vendita online potrebbe essere stata anche prodromica alla commissione di un delitto di truffa. La non univocità degli atti sarebbe, peraltro, dimostrata dalla spontanea e immediata rimozione dell'annuncio di vendita da parte dell'imputato.
3. Il motivo è infondato. Occorre, in via preliminare, rilevare come debba ritenersi certamente ammissibile il tentativo di commissione del delitto di peculato quando la condotta tipica sia, come nel caso di specie, nel suo aspetto fenomenico frazionabile in più atti e si sia in presenza della ricerca non riuscita da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio del fatto appropriativo. La Corte di appello di Torino ha, dunque, fatto buon governo di questi principi, ritenendo che la condotta dell'imputato si sia fermata allo stadio del tentativo, non essendosi perfezionata l'avvenuta appropriazione del bene in danno della Pubblica Amministrazione. La censura mossa dal ricorrente, tuttavia, si rivela inammissibile per aspecifità, in quanto si limita a riproporre le argomentazioni svolte nell'atto di appello e disattese dalla Corte di appello. La Corte di appello di Torino, infatti, nella sentenza impugnata, quanto all'univocità degli atti, ha tutt'altro che illogicamente rilevato che la prospettazione difensiva secondo cui l'inserimento della proposta di vendita sul sito sarebbe stata operata solo per saggiare l'interesse su questo tipo di calzature, appare «non solo insensata, ma del tutto implausibile, visto che all'offerta in vendita documentata da fotografie e da una lunga descrizione nei dettagli delle calzature, seguiva il prezzo stabilito in 110 euro». La Corte di appello ha, inoltre, aggiunto che non può essere recepita, anche perché avanzata solo in via di ipotesi e non accreditata dall'interessato, la prospettazione che l'imputato avesse in animo di porre in atto una truffa on fine, offrendo un bene che non avrebbe poi mai consegnato, una volta ricevuto il controvalore del contraente. La censura del ricorrente, pertanto, riproponendo l'astratto assunto del carattere non univoco degli atti, non si è confrontata con la ratio decidendi della motivazione della sentenza impugnata. Come reiteratamente affermato da questa Corte, è, peraltro, inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (ex plurimis: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997, A., Rv. 210157; Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000, B., Rv. 216473; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, B., Rv. 230634; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, S.). La rimozione dell'annuncio di vendita da parte dell'imputato, in quanto atto contrario e successivo a quello idoneo a integrare la condotta tipica, non rileva, inoltre, nel sindacato sulla univocità degli atti nel tentativo, bensì in ordine alla ravvisabilità o meno delle condotte posteriori di desistenza volontaria o di recesso attivo.
4. Con il secondo motivo il ricorrente censura la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta l'illogicità della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della causa di non punibilità della desistenza volontaria di cui all'art. 56, terzo comma, cod. pen., in quanto la rimozione dell'annuncio fu operata dall'imputato in ragione dell'attivazione degli organi di controllo. Deduce il ricorrente che la Corte di appello ha escluso la configurabilità della desistenza volontaria, rilevando che «proprio nello stesso giorno in cui fu inserito l'annuncio di vendita, il comandante ispettore capo G.G. si accorse dell'offerta», provvedendo così ad informare la Procura della Repubblica competente. Secondo la Corte di appello, dunque, «non si trattò affatto di desistenza poiché l'azione delittuosa fu interrotta dalla attivazione degli organi di controllo e non dalla resipiscenza dell'interessato». Ad avviso del ricorrente, tuttavia, dell'attivazione di propri superiori l'imputato non sarebbe stato a conoscenza, come dimostrato dalla comunicazione di notizia di reato del 13 marzo 2017 allegata al ricorso e dalle spontanee dichiarazioni rese dall'imputato all'atto dell'esecuzione del sequestro; l'imputato, infatti, avrebbe appreso della pendenza del procedimento penale solo in seguito al sequestro degli stivali.
5. Il motivo è fondato. Secondo un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal quale non vi è ragione per discostarsi, perché sia integrata la desistenza dal delitto di cui all'art. 56, terzo comma, cod. pen., la decisione di interrompere l'azione criminosa deve essere il frutto di una scelta volontaria dell'agente, non riconducibile ad una causa indipendente dalla sua volontà o necessitata da fattori esterni (Sez. 3, n. 17158 del 28/11/2018, dep. 2019, F., Rv. 275647 - 01). La volontarietà non deve, infatti, essere intesa come spontaneità, per cui la scelta di non proseguire nell'azione criminosa deve essere non necessitata, ma operata in una situazione di libertà interiore, indipendente da circostanze esterne che rendono troppo rischioso il proseguimento dell'azione criminosa (Sez. 4, n. 12240 del 13/02/2018, F., Rv. 272535 - 01; Sez. 2, n. 7036 del 29/01/2014, C., Rv. 258791 - 01; Sez. 2, n. 18385 del 05/04/2013, P., Rv. 255919 - 01) o, comunque, estremamente improbabile il successo della stessa (Sez. 3, n. 41096 del 30/01/2018, P., Rv. 273961 -01; Sez. 3, n. 51420 del 18/09/2014, M., Rv. 261389 -01; Sez. 4, n. 32145 del 24/06/2012, S., Rv. 248183 -01). Muovendo da tali principi deve rilevarsi che la Corte di appello di Torino ha escluso con motivazione manifestamente illogica la ricorrenza nella specie di tale causa di non punibilità. Nella sentenza impugnata, infatti, si rileva che il B. aveva desistito dalla propria azione, provvedendo alla rimozione dell'annuncio, «non certo spontaneamente, ma perché proprio nello stesso giorno in cui fu inserito l'annuncio di vendita, il comandante ispettore capo G.G. si accorse dell'offerta inserita dall'imputato...11 Comandante notiziava la Procura della Repubblica... E', dunque, certo che il B. fu invitato a desistere dalla sua illecita condotta, con richiesta di sequestro degli stivali in questione» (pag. 4 della sentenza impugnata). La Corte di appello di Torino ha, tuttavia, affermato apoditticamente («è certo») il carattere non volontario della desistenza dal delitto, in quanto non ha dimostrare che l'imputato, all'atto della rimozione dell'annuncio, avesse avuto consapevolezza della segnalazione alla Procura della Repubblica operata medio tempore dal comandante ispettore capo G.G. o, comunque, avesse contezza di essere stato scoperto. D'altra parte, incongruo appare il riferimento operato dalla Corte di appello alla richiesta di sequestro degli stivali in questione, in quanto l'imputato nelle spontanee dichiarazioni rese all'atto dell'esecuzione sequestro ha affermato di aver rimosso l'annuncio «alcuni giorni dopo l'avvenuta inserzione» e la misura cautelare è stata eseguita in data 9 agosto 2017 e, dunque, quasi cinque mesi dopo la pubblicazione dell'offerta di vendita. Il riferimento al sequestro non pare, pertanto, idoneo a consentire di escludere la volontarietà della desistenza posta in essere dall'imputato ove non si dimostri che solo l'esecuzione della misura cautelare reale abbia determinato l'interruzione dell'iter criminoso.
6. Alla stregua di tali rilievi deve essere disposto l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino. L'accoglimento del secondo motivo determina l'assorbimento degli ulteriori motivi proposti dal ricorrente.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino.