La qualifica pubblicistica dell'attività prescinde dalla natura dell'Ente presso cui il soggetto è inserito e dalla natura pubblica dell'impiego, rilevando solo l'attività del medesimo e, una volta accertato il carattere pubblicistico, l'attività in concreto compiuta dal soggetto.
La Corte d'Appello di Potenza confermava la sentenza del Giudice di prime cure con la quale l'imputato era stato ritenuto responsabile del reato di peculato. La condotta a lui addebitata consisteva nell'avere omesso, quale mandatario SIAE e dunque nelle vesti di incaricato di pubblico servizio, di versare i pagamenti ricevuti a titolo di...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Potenza ha sostanzialmente confermato la sentenza con cui G.S. è stato condannato per il reato di peculato perché, quale mandatario Siae, e quindi in qualità di incaricato di pubblico servizio, ricevendo periodicamente pagamenti relativi ai diritti d'autore, avrebbe omesso di versarli al predetto Istituto, così appropriandosi definitivamente di somme di denaro.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato articolando due motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità e, in particolare, alla sussistenza della qualifica soggettiva pubblicistica; non è in contestazione la condotta appropriativa, ma si sostiene, richiamando una precedente sentenza della Corte di cassazione, che l'agente Siae sarebbe un incaricato di pubblico servizio solo in relazione all'attività ispettiva, cioè quella posta in essere "con attività di controllo e di contestazione d'infrazione", e non anche in relazione "al compito di garantire la percezione dei diritti d'autore". Ne deriva che i fatti dovrebbero essere ricondotti al reato di appropriazione indebita. Si aggiunge che con l'avvento della informatizzazione, l'operato dell'Agente Siae si limiterebbe al solo inserimento nel computer dei dati forniti dal richiedente, senza determinare l'imposta, operazione, questa "quasi interamente meccanizzata". L'imputato, addetto allo sportello, avrebbe dunque svolto solo mansioni d'ordine.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla pena inflitta. Secondo il ricorrente: a) diversamente da quanto affermato dalla Corte di appello, la condotta sarebbe stata commessa non dal 2008, come indicato nella imputazione, ma dal 2010 al 2011, e il 12.3.2012 fu revocato il mandato conferitogli; b) quanto al danno, non si sarebbe tenuto conto delle somme - quantificabili in circa 60.000 euro- spettanti a G. a titolo di fine rapporto e trattenute dalla Siae; c) la quantificazione della somma sottratta sarebbe errata per eccesso; d) la pena sarebbe eccessiva, in ragione della incensuratezza dell'imputato e della non gravità del fatto; e) la pena, diversamente da quanto fatto dai Giudici di merito, dovrebbe essere determinata facendo riferimento, ai sensi dell'art. 2, comma 4, cod. pen., alla cornice edittale prevista prima della modifica apportata all'art. 314 cod. pen. la legge 6.11.2012, n. 190.
Motivi della decisione
1.11 ricorso è fondato quanto al secondo motivo di ricorso, nei limiti di cui si dirà.
2. È infondato il primo motivo di ricorso.
2.1. Con la riformulazione degli artt. 357 e 358 cod. pen. ad opera della legge 26 aprile 1990, n. 86, è stato definitivamente positivizzato il superamento della concezione soggettiva delle nozioni di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio, che privilegiava il rapporto di dipendenza dallo Stato o da altro ente pubblico, con l'adozione di una prospettiva funzionale-oggettiva, secondo il criterio della disciplina pubblicistica dell'attività svolta e del suo contenuto. Ciò che è necessario accertare, ai fini dell'assunzione della qualifica di pubblico ufficiale è l'esercizio di una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Tale ultima funzione è stata specificamente definita al secondo comma dell'art. 357 cod. pen., introdotto dalla legge 7 febbraio 1992, n. 181, attraverso specifici indici di carattere oggettivo che consentono di delimitare la funzione pubblica, verso l'esterno, da quella privata e, verso l'interno, dalla nozione di pubblico servizio. Si definisce, infatti, pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico (Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998, C., definisce tali quelle attinenti all'organizzazione generale dello Stato) e da atti autoritativi e caratterizzata, nell'oggetto, dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o, nelle modalità di esercizio, dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi (Sez. U, n. 7958 del 27/03/1992, D.). Come emerge dall'impiego nel testo della norma della disgiuntiva "o", in luogo della congiunzione "e", i suddetti criteri normativi di identificazione della pubblica funzione non sono tra loro cumulativi, ma alternativi. E' stato, inoltre, precisato che nel concetto di poteri "autoritativi" rientrano non soltanto i poteri coercitivi, ma tutte quelle attività che sono esplicazione di un potere pubblico discrezionale nei confronti di un soggetto che viene a trovarsi così su un piano non paritetico - di diritto privato - rispetto all'autorità che tale potere esercita; rientrano, invece, nel concetto di "poteri certificativi" tutte quelle attività di documentazione cui l'ordinamento assegna efficacia probatoria, quale che ne sia il grado (Sez. U, D.). La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, attribuito rilevanza anche all'esercizio di fatto della pubblica funzione, purché questo non sia usurpato, ma accompagnato dall'acquiescenza, dalla tolleranza o dal consenso, anche tacito, dell'amministrazione (Sez. 6, n. 19217 del 13/01/2017, Como, Rv. 270151). L'attività dell'incaricato di pubblico servizio, secondo la definizione contenuta al successivo art. 358 cod. pen., è ugualmente disciplinata da norme di diritto pubblico, ma presenta due requisiti negativi in quanto manca dei poteri autoritativi e certificativi propri della pubblica funzione, con la quale è in rapporto di accessorietà e complementarietà, e non ricomprende le attività che si risolvono nello svolgimento di mansioni di ordine o in prestazioni d'opera meramente materiale. Si tratta, dunque, di un un'attività di carattere intellettivo, caratterizzata, quanto al contenuto, dallo svolgimento di compiti di rango intermedio tra le pubbliche funzioni e le mansioni di ordine o materiale. Quale diretta conseguenza del criterio oggettivo-funzionale adottato dal legislatore, la qualifica pubblicistica dell'attività prescinde dalla natura dell'ente in cui è inserito il soggetto e dalla natura pubblica dell'impiego. Rileva l'attività dell'ente e, posto che questa abbia caratteri pubblicistici, quale sia in concreto l'attività compiuta dal soggetto.
2.2. La Corte di appello ha fatto corretta applicazione dei principi indicati. Dalla sentenza impugnata e da quella del Tribunale emerge che l'imputato, in qualità di mandatario della Siae, era obbligato a rendicontare la sua attività ed a conservare la documentazione contabile; egli aveva il compito di accertare e determinare, sulla base degli elementi forniti dai soggetti interessati e dei criteri predeterminati di valutazione, l'ammontare del contributo e dell'imposta dovuti, di provvedere alla riscossione delle somme e di versarle successivamente all'avente diritto. Si è spiegato che il contratto che "legava" l'imputato all'ente prevedeva per il mandatario obblighi di chiusura giornaliera di cassa e versamenti di "fine giornata" sui conti dedicati al mandante, previa complessiva registrazione su apposita modulistica. Si tratta di circostanze non contestate dal ricorrente e che colorano di significato pubblicistico la condotta del ricorrente, che, dunque, non svolgeva affatto mansioni meramente materiali (in tal senso, Sez. 6, n. 4399 del 06/11/2013, dep. 2014, non massimata; Sez. 6, n. 10914 del 07/02/2006, Mengozzi, non massimata). Dette conclusioni non sono inficiate nemmeno dall'assunto difensivo relativo alla informatizzazione dell'ufficio; sul punto il motivo è assolutamente generico, non essendo dedotto alcunchè.
3. È invece in parte fondato il secondo motivo di ricorso. Dalla ricostruzione in punto di fatto compiuta dai Giudici di merito emerge che: a) il mandato all'imputato fu revocato il 13.3.2012; b) l'imputato continuò ad operare anche successivamente "presentandosi agli Enti come mandatario della Siae" (così il Tribunale a pag. 6). Da tali dati di presupposizione deriva, quanto al periodo successivo al 13.3.2012, da una parte, che, al di là degli conferenti riferimenti alla figura del funzionario di fatto, la condotta, in assenza della qualifica pubblicistica, non può essere sussunta nel reato contestato, ma, semmai, sussistendone i presupposti, in altre fattispecie delittuose di tipo decettivo, e, dall'altra, che il delitto di peculato deve considerarsi compiuto fino alla data in cui il mandato fu revocato dall'ente, cioè il 13.3.2012. Ne consegue che, ai fini della determinazione della pena, è necessario fare riferimento, quanto al reato di peculato, alla cornice edittale prevista dalla norma incriminatrice prima della entrata in vigore della legge 26 aprile 1990, n. 190, e, quindi, ad un minimo edittale di tre anni di reclusione. La sentenza dunque deve essere annullata con rinvio per un nuovo giudizio; La Corte di appello accerterà anche se ed in che limiti la condotta compiuta dopo il 13.3.2012 sia penalmente rilevante. Il motivo è invece inammissibile per genericità per la parte residua, essendosi limitato il ricorrente a sollecitare, quanto alla determinazione del profitto, una diversa valutazione del compendio probatorio, a prospettare, quanto alla entità del danno, evenienze generiche e sfornite di prova, e, infine, quanto alla entità della pena, a deduzioni che noi si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Salerno.