In materia di caccia, la confisca delle armi utilizzate per commettere reati venatori può essere disposta nel solo caso di condanna per le contravvenzioni richiamate dalla Legge n. 157/1992, con esclusione di ogni altra ipotesi.
Il Tribunale condannava un uomo all'ammenda di 500 euro per aver esercitato la caccia al tordo con mezzi vietati, nel particolare mediante l'uso di un richiamo elettroacustico con telecomando, e disponeva contestualmente la confisca dell'arma da fuoco utilizzata nonché la sua alla locale Direzione artiglieria.
Il cacciatore...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 9.2.2021, il Tribunale di Grosseto dichiarava F.F. responsabile del reato di cui all'art. 30, comma 1, lett. h) della legge n. 157/1992 per avere esercitato la caccia con mezzi vietati (in particolare, avvalendosi di un richiamo elettroacustico con telecomando), e lo condannava alla pena di euro 500 di ammenda, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile L. - Lega per l'abolizione della Caccia O. già Onlus, nonché al pagamento delle spese processuali. Il Tribunale disponeva, inoltre, ai sensi dell'art. 240 c.p., la confisca dell'arma da fuoco in sequestro e la sua destinazione alla locale Direzione artiglieria.
2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il F., sulla base di due motivi.
2.1. Con il primo motivo viene dedotta mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per travisamento della prova dichiarativa, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p.. Lamenta, in particolare, il ricorrente che il Tribunale ha fondato la propria decisione sul presupposto dell'effettivo utilizzo del richiamo vietato da parte del cacciatore S.A., al fine di attirare i tordi presenti nella zona di caccia ed agevolarne la cattura; circostanza che avrebbe consentito al F., che si trovava a soli 55 metri dall'appostamento del S., ossia ad una distanza inferiore a quella minima consentita di 80 metri, di comprendere quale fosse il sistema di richiamo utilizzato dal suo conoscente e di sfruttarlo a propria volta. In tale contesto ricostruttivo, il dedotto travisamento della prova riguarda il dato dell'effettivo utilizzo del richiamo da parte del S. (pacifico essendo che questi lo deteneva in loco); prova che non sarebbe emersa, a differenza di quanto argomentato dalla sentenza impugnata. Nel medesimo senso, si sottolinea che anche il teste T.F., guardia volontaria, aveva dichiarato che, nel momento in cui fu effettuato il controllo del 14.1.2017 e fu chiesto al S. di mostrare il "registratore" - rectius, il richiamo elettroacustico -, questo era spento; né era stata acquisita alcuna prova che lo stesso fosse stato in precedenza utilizzato dall'uomo. Non dissimilmente, si deduce che anche il teste Neri Stefano, intervenuto su chiamata delle guardie volontarie, aveva semplicemente confermato che il S. deteneva il registratore, non facendo alcun cenno al suo utilizzo. Le dichiarazioni dello stesso S., infine, avevano escluso l'utilizzo del dispositivo che costui affermava di avere semplicemente detenuto in una borsa insieme al telecomando. Dunque, il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la prova dell'utilizzazione del richiamo elettroacustico a seguito ed a causa del travisamento della prova dichiarativa.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p. in relazione all'errata applicazione dell'art. 240 c.p. alla luce del principio di specialità rinvenibile negli artt. 28, comma 2 e 30, comma 3, della legge n. 157/1992. Si rimarca, in tal senso, l'illegittimità della confisca dell'arma da fuoco in sequestro, in quanto disposta ai sensi dell'art. 240 c.p., mentre, come affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità, l'unica disposizione operante in materia di confisca di armi detenute e portate legittimamente ma utilizzate per commettere reati venatori è quella di cui alla legge n. 157 del 1992, art. 28, comma 2, che ne impone l'applicazione solo in caso di condanna per le contravvenzioni espressamente indicate.
3. La parte civile L. - Lega per l'abolizione della Caccia O. già Onlus ha fatto pervenire memoria contenente conclusioni scritte, con cui chiede il rigetto del ricorso, con conferma della condanna del ricorrente al risarcimento del danno e rifusione delle spese processuali.
4. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile. Va ricordato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il travisamento della prova è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai F. della pronuncia; in altri termini, soltanto nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, atteso che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai F. della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano o meno (Sez. 3, n. 39729 del 18/6/2009, B., Rv 244623; Sez. 2, n. 23419 del 23/5/2007, V., 236893; cfr. anche Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, P., n.m. sul punto). Va, inoltre, sottolineato che il relativo vizio deve avere natura decisiva, il che avviene soltanto se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo completamente illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/ probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, D.G., Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, G., Rv. 257499).
2. Nella specie, il preteso travisamento della prova si fonderebbe, secondo la prospettazione del ricorrente, su alcuni parziali passaggi delle deposizioni testimoniali acquisite al processo, estrapolati dal contesto complessivo ed aventi carattere frammentario, di cui lo stesso ricorrente si limita a sostenere una diversa e parziale lettura, in termini improponibili in sede di legittimità.
2.1. In tale prospettiva, occorre muovere dal principio secondo il quale, «in tema di ricorso per cassazione, ai F. della valutazione del vizio di travisamento della prova dichiarativa, il giudice di legittimità può procedere alla verifica della corrispondenza tra il senso probatorio della dichiarazione dedotto dal ricorrente e il contenuto complessivo della dichiarazione stessa, senza alcun vincolo contenutistico per l'eventuale successivo apprezzamento del giudice di merito nel caso di annullamento con rinvio sul punto». (Sez. 4, n. 41898 del 04/10/2019, Rv. 277676 - 01). Orbene, l'integrale lettura delle dichiarazioni del teste T. F., sulla base del tenore contenutistico del verbale stenotipico riportato in calce allo stesso ricorso - operazione che si palesa essenziale non solo al fine di attestare la corrispondenza o meno del dedotto alla realtà ma, ancor più, per verificare se il senso probatorio dedotto dal ricorrente che riporta le trascrizioni solo di alcuni stralci, sia congruo al complesso della dichiarazione (cfr. Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Rv. 241023; Sez.2, n. 38800 del 01/10/.2008, Rv 241449; Sez. 6, n.18491 del 24/02/2010 Rv 246916) - evidenzia che il predetto teste, sul punto di interesse, ha dichiarato: «chiaramente si sentiva dei richiami ripetuti insomma di tordi venire da una certa parte. Siamo andati a vedere e infatti c'era un signore con un appostamento, gli si è chiesto chiaramente se avesse un registratore...ci ha fatto vedere, infatti che c'aveva questo registratore con il telecomando ...»; «Ci ha mostrato il registratore e noi gli si è chiesto di farlo funzionare perché in quel momento ce l'aveva spento, perché non si sentiva dopo, mentre si andava lì si vede o che ci aveva visto da lontano o che, insomma per essere sicuri che funzionasse gli si fece accendere e infatti funzionava». Proseguendo nelle proprie dichiarazioni, il teste ha aggiunto: «Noi siamo andati da dove veniva il suono, il richiamo acustico». Ancora, domandato al predetto teste se dall'appostamento collocato a 55 metri di distanza, ove si trovava il F. rispetto al S., il richiamo fosse udibile, il teste ha risposto «Era a quella distanza e si sentiva, perché noi da circa trenta, quaranta metri si sentiva bene che fischiava».
2.2. L'obiettivo ed inequivocabile contenuto dichiarativo sopra evidenziato consente di escludere che il giudice di merito sia incorso in alcuna forma di travisamento nel considerare acclarato il dato dell'avvenuto azionamento del richiamo - distintamente udito dal teste accertatore appena prima del controllo come proveniente dalla zona in cui si trovava il S., senza che vi fossero altre persone oltre al F. poco distante - trattandosi di elemento che apparteneva oggettivamente al patrimonio conoscitivo offerto dall'istruzione probatoria. Ciò posto, risulta evidente che il ricorrente propone, di contro, una censura volta a sollecitare una inammissibile rivalutazione delle emergenze probatorie, ed in particolare delle dichiarazioni testimoniali adeguatamente vagliate dal giudice di merito, restando estranei al sindacato della Corte di cassazione i rilievi in merito al significato della prova ed alla sua capacità dimostrativa per l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 1, 24667/2007 Rv. 237207, ricorrente M., Sez.2, n.19848 del 24/05/2006, Sez.5, n.36764 del 24/05/2006).
3. Il secondo motivo è fondato.
3.1. Va, invero, osservato che l'art. 28, comma 2, della legge n. 157 del 1992 prevede la confisca delle armi unicamente laddove ricorrano le ipotesi di cui all'art.30, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e), mentre, con riguardo alla ipotesi di cui all'art. 30, comma 1, lett. h), non compresa tra quelle appena indicate, la norma limita la confisca ai soli richiami vietati di cui all'art. 21, comma 1, lett. r). Per tale ragione, saldamente ancorata al dato normativo, il pressoché costante orientamento di questa Corte è pervenuto ad escludere la possibilità che nelle altre ipotesi non considerate dal legislatore e, in particolare, in quella di esercizio della caccia con mezzi vietati, sia consentito disporre la confisca del fucile utilizzato (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 11407 del 14/02/2013, Zucal, Rv. 254941; Sez. 3, n. 6228 del 14/01/2009, M., Rv. 242744; Sez. 3, n. 43821 del 16/10/2008, G., Rv. 241680; Sez. 3, n. 35637 del 11/07/2007, N., Rv. 237225). È, pertanto, principio consolidato in materia quello secondo cui «in materia di caccia, la confisca delle armi utilizzate per commettere reati venatori può essere disposta nel solo caso di condanna per le contravvenzioni richiamate dall'art. 28, comma secondo, legge n. 157 del 1992, con esclusione di ogni altra ipotesi. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto illegittima la confisca di un fucile a seguito di condanna per il reato di cui all'art. 30, lett. h), trattandosi di ipotesi non richiamata dal predetto art. 28)». (Sez. 3, n. 34944 del 09/07/2015, Biemmi, Rv. 264453 - 01). Nella medesima prospettiva, si è affermato che, «in materia di caccia, le armi utilizzate per commettere reati venatori, anche se legittimamente detenute e portate, sono confiscabili solo in caso di condanna per le contravvenzioni richiamate dall'art. 28, comma secondo, della legge 11 febbraio 1992, n. 157. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittima la revoca della confisca di un fucile privo di dispositivo di fermo, a seguito di condanna per il reato di esercizio della caccia con mezzo vietato di cui all'art. 30, lett. h), legge citata)». (Sez. 3, n. 7390 del 07/01/2015, P.M. in proc. Lattanzi, Rv. 262420 - 01).
3.2. Né risulta possibile pervenire ugualmente a confisca sulla base della previsione di cui all'art. 240, primo comma, c.p., laddove è prevista la possibilità di confiscare le «cose che servirono o furono destinate a commettere il reato». Sul punto, il Collegio ritiene di condividere le argomentazioni espresse dalla citata sentenza n. 7390 del 07/01/2015, P.M. in proc. Lattanzi, nel senso che, pur dovendosi rilevare che una più risalente pronuncia di questa Sezione (Sez. 3, n. 26799 del 03/03/2011, B., Rv. 250599-01), ha ritenuto legittima, in ipotesi di caccia esercitata con richiami acustici vietati, la confisca del fucile facendo leva sulla previsione dell'art. 240, comma 1, c.p., il costante indirizzo di questa Corte ha specificato che l'art. 30 cit., comma 3, nello stabilire che «salvo quanto espressamente previsto dalla presente legge, continuano ad applicarsi le disposizioni di legge e di regolamento in materia di armi», comporta che, in forza del principio di specialità, la sola norma applicabile, in materia di confisca di armi, le quali, pur legittimamente detenute e portate, siano state utilizzate per commettere reati venatori, è quella di cui allo stesso art. 28, comma 2, della legge n. 157 del 1992, in base alla quale la confisca può essere disposta, per l'appunto, soltanto in caso di condanna per le contravvenzioni ivi richiamate. Pertanto, occorre ribadire che la disciplina della confisca delle armi utilizzate per porre in essere illecite condotte venatorie, in quanto esclusivamente e specificamente fissata dalla legge n. 157 del 1992, non consente che la stessa possa essere elusa mediante il richiamo ad altre norme, quand'anche di carattere generale, pena la produzione di effetti addirittura contrari alla chiara volontà del legislatore, il quale ha, come detto, tassativamente delimitato la confisca a specifiche ipotesi di reato. In conclusione, l'unica disposizione operante in materia di confisca di armi detenute e portate legittimamente ma utilizzate per commettere reati venatori è quella di cui all'art. 28, comma 2, della legge n. 157 del 1992, che ne impone l'applicazione solo in caso. di condanna per le contravvenzioni espressamente indicate. Ne consegue che la sentenza va annullata senza rinvio limitatamente alla 7 confisca, che, dunque, deve essere eliminata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla confisca, statuizione che elimina, e dichiara inammissibile nel resto il ricorso.