Per la Cassazione, la prostituzione, seppur contraria al buon costume, non costituisce un'attività illecita e il Comune non può sostituirsi allo Stato nella tutela della sicurezza pubblica.
La Polizia Locale del Comune comminava una multa ad un'automobilista per aver fatto salire a bordo una prostituta. In sede di gravame, il Tribunale confermava la decisione del Giudice di Pace di disapplicare il regolamento comunale di Polizia Locale (R.P.L.) e annullare l'ordinanza – ingiunzione.
Il Comune propone ricorso per cassazione sostenendo che...
Svolgimento del processo
In data 8.8.2015 una pattuglia della Polizia Locale del Comune di Brescia, impegnata in un servizio di contrasto alla prostituzione su strada lungo la Via (omissis), contestava ad A.A. la violazione dell'art. 7, comma 1, lett. u) del Regolamento di Polizia Locale perché l'uomo, a bordo della propria autovettura, arrestata la marcia, aveva fatto salire in auto una persona di sesso femminile dedita all'attività di meretricio su strada, e con lei si era allontanato verso un luogo appartato. In data 26.5.2016, si procedeva a notificare all'interessato l'ordinanza ex art. 18 della L. n. 689/1981, recante l'ingiunzione a corrispondere la somma di € 500,00, ai sensi dell'art. 67 del RPL. Con ricorso in data 21.6.2016, promosso davanti al Giudice di Pace di Brescia, A.A., nulla eccependo in merito alla ricostruzione del fatto operata dalla Polizia Locale, impugnava l'ordinanza ingiunzione lamentando la pretesa illegittimità dell'art. 7, lett. u) del RPL e chiedendone la disapplicazione. Il Comune di Brescia si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso e producendo la sentenza del Tar Brescia n. 1519/2011, con la quale il Giudice Amministrativo aveva respinto un ricorso tendente all'annullamento del suddetto art. 7, lett. u). Con sentenza n. 1322/2016, depositata in data 24.10.2016, il Giudice di Pace di Brescia, previa disapplicazione del Regolamento Comunale di Polizia Locale, annullava l'ordinanza ingiunzione, altresì rilevando l'insussistenza di prove sufficienti a dimostrare l'elemento soggettivo sotteso alla condotta azionata. Avverso detta sentenza proponeva appello il Comune di Brescia, al quale resisteva il A.. Con sentenza n. 974/2018, depositata in data 28.4.2018, il Tribunale di Brescia rigettava il gravame condannando l'appellante al pagamento delle spese di lite del grado d'appello. In particolare, il Giudice d'appello rilevava che non potesse riconoscersi efficacia alla statuizione contenuta nella sentenza Tar Brescia n. 1519/2011 [nella parte in cui aveva rigettato l'istanza di disapplicazione del Regolamento Comunale d'interesse processuale], trattandosi di decisione definitiva di un giudizio svoltosi tra differenti parti processuali, concernente una diversa fattispecie concreta. Si poneva in evidenziava che, con il potere di disapplicazione, il Giudice non annullasse l'atto facendone cessare gli effetti per sempre ed erga omnes, ma si limitasse a non considerarlo esistente limitatamente a quel suo giudizio. Il Tribunale confermava quanto evidenziato dal Giudice di prime cure, secondo il quale la previsione regolamentare in oggetto era in conflitto con una norma di tipo primario atteso che se la prostituzione, seppur contraria al buon costume, non costituisce un'attività illecita, è preclusa la possibilità di porre delle regole che creino ostacolo o intralcio allo svolgimento di tale libertà di iniziativa economica se non mediante leggi statali. Venivano evocati altresì, principi affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 115/2011, con la quale era stato stabilito che fosse incostituzionale il D.Lgs. n. 261/2000, art. 54, comma 4, come sostituito dal D. L. n. 92/2008, art. 6, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 125/2008, art. 1, comma 1, nella parte in cui consentiva al Sindaco di adottare provvedimenti a contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato, al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciavano la sicurezza urbana, anche fuori dai casi di contingibilità e urgenza. Infine, non rispondeva alla finalità di regolamentare la circolazione stradale, onde evitare gli intralci alla stessa mediante l'eventuale imposizione del divieto di fermata in una determinata strada o zona (come consentito dagli artt. 6 e 7 del C.d.S.), il provvedimento sindacale con cui si vieta la fermata dei veicoli su tutto il territorio comunale se effettuata al fine di contrattare prestazioni sessuali a pagamento (Cass. n. 21432 del 2006). Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il Comune di Brescia sulla base di due motivi. Resiste A.A. in qualità di controricorrente.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, il Comune ricorrente lamenta ex «Art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione di legge - Violazione artt. 117, comma 2, lett. h), art. 117, comma 6 Cost., art. 118, commi 1 e 3 Cost.; artt. 823 e 832 c.c.; artt. 6 e 7 D. Lgs. n. 285/1992; artt. 158 e 159 D.Lgs. n. 112/1998; artt. 4, 5, 6, 9, comma 3 D.L. n. 14/2017; artt. 1 e 2 D.M. 5.8.2008; artt. 3, commi 4 e 5, 7, 7-bis, 42, comma 2, lett. a), 50, commi 5 e 7-ter, 54 D.Lgs. n. 267/2000, quest'ultimo come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 115/2011; artt. 2, comma 1, lett. e), 4, 13, commi 3 e 7, 27 della L. R. Lombardia n. 6/2015; artt. 4 e 5 della L. n. 2248/1865 AII. E.: artt. 1 e 7, comma 1, lett. u) del Regolamento di Polizia Urbana del Comune di Brescia». Secondo il ricorrente, dunque, il Tribunale avrebbe violato e falsamente applicato l'art. 7, comma 1, lett. u) del RPU nell'affermare che il Comune avrebbe vietato l'esercizio della prostituzione su tutto il territorio comunale. Infatti, il divieto non riguardava l'esercizio del meretricio in sé, ma solo quello esercitato sulle vie pubbliche, la cui tutela spetta all'Ente locale che ne è proprietario. Secondo l'art. 832 c.c. il Comune ha il potere di disporre in modo pieno ed esclusivo della rete stradale compresa all'interno dei propri confini e tale potere comprende anche quello di regolamentarne l'uso, nei limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico. Secondo l'art. 823 c.c. la P.A. ha il potere di agire a difesa dei propri diritti sui beni demaniali mediante il potere di regolamentare l'uso del bene pubblico. Pertanto, l'art. 7, comma 1, lett. u), nel disciplinare l'uso del demanio stradale comunale prevedendo che avvenga in condizioni di sicurezza e decoro., costituisce è legittima espressione del diritto dominicale dell'Ente locale. Inoltre, il Tribunale, nel ritenere che la norma comunale perseguirebbe finalità non consentite dall'ordinamento, violando e falsamente applicando l'art 54, comma 4, D. Lgs. n. 267/2000 e l'art. 2, lett. d) del D.M. 5.8.2008. Si sottolinea altresì che l'art. 117, comma 2, lett. h) Cost. attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la disciplina dell'ordine pubblico e della sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale. L'art. 118, comma 3 Cost., a sua volta, attribuisce alla legge statale la competenza a disciplinare le forme di coordinamento fra Stato e Regioni nella materia dell'ordine e della sicurezza pubblica; in attuazione del suddetto art. 118, comma 3 Cost., l'art. 4 del D.L. n. 14/2017 definisce la sicurezza urbana il bene pubblico che afferisce alla vivibilità e decoro delle città, da perseguire anche attraverso interventi di riqualificazione, l'eliminazione dei fattori di marginalità e di esclusione sociale, cui concorrono lo Stato, le Regioni e gli Enti locali, nel rispetto delle rispettive competenze e funzioni. Il ricorrente precisa inoltre che la sicurezza urbana che è solo uno degli aspetti nei quali si declinano l'ordine pubblico e la sicurezza, attiene alla polizia amministrativa locale, cioè a una materia che non è riservata alla legislazione esclusiva dello Stato. Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che il Comune non avrebbe competenza a adottare norme regolamentari in materia di sicurezza urbana; laddove a tale proposito, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 115/2011, aveva dichiarato l'illegittimità dell'art. 54 TUEL nella parte in cui consentiva al Sindaco di adottare ordinanze a tutela della sicurezza urbana anche in difetto dei presupposti della contingibilità e dell'urgenza, ma non aveva messo in discussione il potere del Sindaco di adottare regolamenti in materia di sicurezza urbana. Secondo l'art. 4 della L.R. Lombardia n. 6/201S, gli Enti locali, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali, concorrono alla definizione di un sistema integrato di politiche per la sicurezza urbana.
1.1. - Il motivo non è fondato.
1.2. - In particolare, il Giudice d'appello rilevava come non potesse riconoscersi efficacia alla statuizione contenuta nella sopra citata sentenza Tar Brescia n. lS 19/2011 [nella parte in cui aveva rigettato l'istanza di disapplicazione del Regolamento Comunale d'interesse processuale], trattandosi di decisione definitiva di un giudizio svoltosi tra differenti parti processuali, concernente una diversa fattispecie concreta. Sicché, con il potere di disapplicazione, il Giudice non annulla l'atto facendone cessare gli effetti per sempre ed erga ornnes, ma si limita a non considerarlo potere esistente limitatamente al suo giudizio. Il Tribunale confermava quanto affermato dal Giudice di prime cure [secondo cui la previsione regolamentare oggetto del processo de quo] era in conflitto con una norma di tipo primario atteso che se la prostituzione, seppur contraria al buon costume, non costituisce un'attività illecita, è preclusa la possibilità di porre delle regole che creino ostacolo o intralcio allo svolgimento di tale libertà di iniziativa economica se non mediante leggi statali.
1.3. - Si richiamano, pertanto, i principi affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 115 del 2011, con la quale è stata dichiarata la incostituzionalità del D.L..gs. n. 261/2000, art. 54, comma 4, come sostituito dal D. L. n. 92/2008, art. 6, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 125/2008, art. 1, comma 1, «nella parte in cui consentiva al Sindaco di adottare provvedimenti a contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato, al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciavano la sicurezza urbana, anche fuori dai casi di contingibilità e urgenza». Premette la sentenza n. 115 del 2011 rileva come nell'art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000 sia scritto: «Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana». [...] Si deve trarre da ciò la conclusione che il riferimento al rispetto dei soli principi generali dell'ordinamento riguarda i provvedimenti contingibili e urgenti e non anche le ordinanze sindacali di ordinaria amministrazione. L'estensione anche a tali atti del regime giuridico proprio degli atti contingibili e urgenti avrebbe richiesto una disposizione così formulata: «adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento [...]». La dizione letterale della norma implica che non è consentito alle ordinanze sindacali "ordinarie" - pur rivolte al fine di fronteggiare «gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana» - di derogare a norme legislative vigenti, come invece è possibile nel caso di provvedimenti che si fondino sul presupposto dell'urgenza e a condizione della temporaneità dei loro effetti. [...] Questa Corte ha infatti precisato, con giurisprudenza costante e consolidata, che deroghe alla normativa primaria, da parte delle autorità amministrative munite di potere di ordinanza, sono consentite solo se «temporalmente delimitate» [...] Le ordinanze oggetto del presente scrutinio di legittimità costituzionale non sono assimilabili a quelle contingibili e urgenti, già valutate nelle pronunce appena richiamate. Esse consentono ai sindaci «di adottare provvedimenti di ordinaria amministrazione a tutela di esigenze di incolumità pubblica e sicurezza urbana» (sentenza n. 196 del 2009). [...] Sicché, il giudice delle leggi «ha affermato, in più occasioni, l'imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato cli diritto. Tale principio non consente «l'assoluta indeterminatezza» del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, che produce l'effetto di attribuire, in pratica, una «totale libertà» al soggetto od organo investito della funzione (sentenza n. 307 del 2003; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 32 ciel 2009 e n. 150 del 1982). Non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nellle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell'azione amministrativa.
1.4. - Né infine, rispondeva alla asserita finalità di regolamentare la circolazione stradale, onde evitare gli intralci alla stessa mediante l'eventuale imposizione del divieto di fermata in una determinata strada o zona (come consentito dagli artt. 6 e 7 del C.d.S.), il provvedimento sindacale con cui si vietava la fermata dei veicoli su tutto il territorio comunale se effettuata al fine di contrattare prestazioni sessuali a pagamento. Sulla base di quanto esposto risultano in modo ampiamente evidente vizi di legittimità di altra analoga ordinanza sulla base del consentito esame al Giudice ordinario incidenter tantum, e del connesso potere di disapplicazione da parte di detto Giudice di provvedimenti e atti amministrativi risultanti non conforme alla legge. In detta ordinanza, correttamente ritenuta illegittima in sede di merito e disapplicata, si rileva il medesimo vizio di eccesso di potere, avendo il Sindaco, sulla base delle facoltà riconosciutegli dalla sopra richiamata normativa del Codice della Strada, emesso un provvedimento riguardante, invece, l'ordine pubblico; in particolare, ha fatto ricorso ad un provvedimento apparentemente finalizzato alla regolamentazione della circolazione stradale di autoveicoli, per vietare il meretricio sessuale, con estensione, e tale aspetto è ancor più decisivo, in modo indiscriminato su tutto il territorio del Comune. Con ciò confermando che con detto provvedimento non si fosse affatto voluto imporre il divieto di fermata agli autoveicoli in relazione alle esigenze di tutela di un determinata strada o di una determinata zona [cosi come "impone" il tenore letterale degli artt. 6 e 7 C.d.S., e come emerge dalla relativa ratio legis], bensì sanzionare, in modo illegittimo per le ragioni esposte, l'attività riguardante le prestazioni sessuali a pagamento in genere e, in modo indiscriminato, su tutto il territorio comunale (Cass. n. 21432 del 2006).
2. - Con il secondo motivo, il ricorrente Comune deduce ex «Art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione di legge - Violazione art. 41, comma 2 Cost.; art. 4 n. 8) Direttiva 2006/123/CE; art. 21, comma 2 D.Lgs.. n. 59/2010; art. 63 D.Lgs. n. 446/1997; art. 28 D.Lgs. n. 114/1998; artt. 4 e 5 L. 2248/1865 AII. E; art. 7, comma 1, lett. u) Regolamento di Polizia Urbana del Comune di Brescia». Il Tribunale ha disapplicato l'art. 7, comma 1, lett. u) del RPU sul presupposto che la norma recherebbe un'illegittima compressione della libertà di iniziativa economica facente capo alle persone dedite alla prostituzione. Ciò sarebbe in violazione delle norme indicate in rubrica, in quanto deriva dalla legge il potere dei Comuni di adottare norme regolamentari tese al contrasto della prostituzione in quanto esercitata su pubblica via e, dunque, suscettibile di creare p1 e giudizio al bene giuridico della sicurezza urbana. Pertanto, la libertà di iniziativa economica delle persone dedite al meretricio può legittimamente subire una compressione all'esito di un bilanciamento con l'interesse alla tutela della sicurezza urbana.
2.1. - Il motivo non è fondato.
2.2. -La sentenza impugnata conferma quanto asserito in altre pronunce, secondo cui l'attività dii meretricio non è illecita e, anzi, rientra nelle attività economiche, per cui non può essere vietato l'esercizio se non attraverso una normativa statale (sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea 20.11.2001 causa C-268/99). Pertanto, non risponde alla finalità di regolamentare la circolazione stradale degli autoveicoli, onde evitare gli intralci alla circolazione mediante l'eventuale imposizione del divieto di fermata degli stessi in una determinata strada o zona (come consentito dagli artt. 6 e 7 del codice della strada), l'ordinanza sindacale con la quale si vieta la fermata dei veicoli su tutto il territorio comunale se effettuata al fine di contrattare prestazioni sessuali a pagamento (Cass. n. 21432 del 2006, cit.). Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, ritenendo la predetta ordinanza viziata da eccesso di potere, la disapplicava annullando l'ordinanza ingiunzione irrogata per violazione dell'ordinanza stessa). Il Comune non ha il potere di bloccare un'attività che non può considerarsi illecita, adducendo che si vuole tutelare la sicurezza del cittadino, in quanto si deborderebbe in una competenza esclusiva dello Stato a cui gli Enti locali non possono sostituirsi.
3. - Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione ex art. 13, c. 1-quater, d.P.R. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il Comune ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi € 1.100,00 di cui € 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex art. 13, co. 1-quater, d.P.R. n. 115/2002 sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1-bis dello stesso art. 13.