Nell'ambito dei reati commessi con violenza alla persona, viene rimessa alle Sezioni Unite la questione relativa all'ammissibilità del ricorso per cassazione della persona offesa che ha visto in tal caso violato il suo diritto di depositare memorie.
La persona offesa dei reati di maltrattamenti e lesioni, per i quali risulta indagato il marito, propone ricorso per la cassazione dell'ordinanza con la quale il GIP, su richiesta del P.M., aveva sostituito la misura degli arresti domiciliari con quella del divieto di avvicinamento alla persona offesa. La donna denuncia la...
Svolgimento del processo
1.D.O., persona offesa dei reati di maltrattamenti in famiglia (art. 572 cod. pen.) e lesioni (art. 582-583 cod. pen) per i quali risulta indagato il di lei marito F.A., propone ricorso per la cassazione dell'ordinanza del 19 aprile 2021 con la quale il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Patti, su conforme richiesta del Pubblico Ministero, ha sostituito la misura degli arresti domiciliari applicata a detto indagato con quella del divieto di avvicinamento alla persona offesa, valorizzando, a giustificazione dell'attenuazione delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dall'applicazione della misura e la sua incidenza, per l'efficacia deterrente rispetto a soggetto incensurato, sul giudizio di pericolosità. La ricorrente denuncia violazione di legge, con riferimento all'art. 299, comma 3, cod. proc. pen., per il mancato rispetto del termine di due giorni successivi alla notifica della richiesta di sostituzione o revoca della misura, assegnato alla persona offesa e al suo difensore per il deposito di memorie ai sensi dell'art. 121 cod. proc. pen. ed al giudice per procedere. L'istanza di attenuazione della misura coercitiva avanzata dal Pubblico Ministero era, infatti, pervenuta al difensore della persona offesa, a mezzo PEC, il 16 aprile 2021 e il termine di due giorni, ex art. 299 comma 3, cod. proc. pen., scadente il 18 aprile 2021, festivo, era da ritenersi prorogato di diritto al giorno seguente, lo stesso in cui il giudice aveva adottato l'ordinanza di sostituzione della misura. Nel provvedimento impugnato si dà atto che non erano state presentate deduzioni, allorché, invece, la persona offesa aveva depositato nei termini la propria memoria poco prima che il suo difensore ricevesse, via PEC, la notifica del provvedimento di sostituzione della misura. La persona offesa allegava con la memoria circostanze rilevanti ai fini della valutazione del perdurante rischio di reiterazione di condotte illecite in suo danno, tenuto conto: della denuncia proposta dall'indagato nei confronti della persona offesa e dei suoi difensori; dell'aggravamento dell'esposizione a pericolo della persona offesa, ospitata in luogo segreto, collegato al trasferimento del domicilio dell'indagato da Patti a Nettuno; della inadeguatezza e non proporzionalità della misura disposta e dell'obiettivo aggravamento delle esigenze cautelari connesse alla denuncia, per il delitto di violenza sessuale, nel frattempo presentata dalla persona offesa dal reato in danno del marito.
Motivi della decisione
1. Va preliminarmente osservato che i rilievi della persona offesa sono fondati in fatto. Come può evincersi dalla lettura degli atti processuali, consentita al giudice di legittimità in presenza della denuncia del vizio di violazione di legge, la sostituzione della misura coercitiva è stata disposta dal giudice, su richiesta del Pubblico Ministero, prima del decorso del termine di due giorni successivi alla notifica della relativa richiesta, entro il quale la persona offesa può presentare memorie, sicché della memoria della persona offesa il giudice, che nello stesso provvedimento in esame ne esclude espressamente l'esistenza, non ha in alcun modo tenuto conto.
2. Occorre dunque esaminare la questione di diritto relativa alla esistenza, nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, della legittimazione della persona offesa a proporre ricorso in cassazione avverso l'ordinanza con cui sia stata disposta la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva (diversa dal divieto di espatrio o dall'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) in violazione del diritto al contraddittorio attribuito alla stessa persona offesa dall'art. 299, comma 3, cod. proc. pen.. A tale riguardo, va, infatti, rilevato che il primo periodo della norma citata - inserito dall'art. 2, comma 1, lett. b), n. 2, del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, convertito dalla I. 15 ottobre 2013, n. 119, e ulteriormente modificato dall'art. 15, comma 4, I. 19 luglio 2019, n. 69 - ha disegnato in modo del tutto peculiare il relativo sub procedimento cautelare, imponendo, a pena di inammissibilità della richiesta, al soggetto richiedente - pubblico ministero o imputato - precisi obblighi di informazione della persona offesa e attribuendo a quest'ultima correlative facoltà di contraddittorio cartolare, che, ove effettivamente realizzato, condiziona le cadenze cronologiche della decisione, oltre a configurare struttura e perimetro della motivazione del provvedimento.
3. Su tale questione si registrano nella giurisprudenza di questa Corte indirizzi interpretativi contrastanti.
3.1. Una prima pronuncia - riguardante un caso in cui la persona offesa aveva dapprima richiesto direttamente al giudice procedente clii revocare l'ordinanza emessa senza contraddittorio, per omessa notifica alla stessa persona offesa dell'istanza di revoca, e, successivamente, aveva impugnato in sede di legittimità il provvedimento con cui tale richiesta era stata disattesa - ha ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione proposto per saltum dalla persona offesa del delitto di atti persecutori, in quanto avverso i provvedimenti di sostituzione o modifica delle misure cautelari è ammesso esclusivamente il rimedio dell'appello, previsto dall'art. 310 cod. proc. pen., mentre il ricorso immediato per cassazione può essere proposto, ex art. 311, comma secondo, cod. proc. pen., contro i provvedimenti concernenti lo status libertatis non altrimenti impugnabili (Sez. 5, n. 3573S del 31/3/2015, S. Rv. 265866).
3.2. A diverso esito sono, invece, pervenute altre decisioni di questa Corte. Con una prima pronuncia (Sez. 6, n. 6717 del 05/02/2015, D, Rv. 262272) si è affermato che l'inammissibilità dell'istanza di revoca o sostituzione delle misure cautelari coercitive (diverse dal divieto di espatrio e dall'obbligo di presentazione alla p.g.) applicate nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona - prevista dall'art. 299, comma quarto bis, cod. proc. pen., per l'ipotesi in cui il richiedente non provveda a notificare contestualmente alla persona offesa l'istanza di revoca, di modifica o anche solo di applicazione della misura con modalità meno gravose - è rilevabile pure se dedotta da quest'ultima mediante impugnazione, poiché trattasi di sanzione che ha la funzione di garantire, anche dopo la chiusura delle indagini preliminari, l'adeguata informazione della vittima del reato circa l'evoluzione del regime cautelare in atto, e, quindi, la possibilità per la stessa di fornire eventuali elementi ulteriori al giudice procedente, attivando un contraddittorio cartolare mediante la presentazione, nei due giorni successivi alla notifica, di una memoria ai sensi dell'art. 121 del codice di rito. Si tratta di un'affermazione ribadita da una successiva sentenza (Sez. 6, n. 6864 del 09/02/2016, P, Rv. 266542), secondo cui nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, la persona offesa può dedurre con ricorso per cassazione l'inammissibilità dell'istanza di revoca o sostituzione di misure cautelari coercitive (diverse dal divieto di espatrio e dall'obbligo di presentazione alla p.g.) applicate all'imputato, qualora quest'ultimo non abbia provveduto contestualmente a notificarle, ai sensi dell'art. 299, comma quarto bis, cod. proc. pen., l'istanza di revoca, di modifica o anche solo di applicazione della misura con modalità meno gravose. In motivazione, la Corte ha osservato che le modifiche dell'art. 299, terzo comma, cod. proc. pen. introdotte dal d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito con modificazioni dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, sono volte "ad assicurare alla persona offesa la concreta facoltà di interlocuzione, mediante la presentazione di memorie nei due giorni successivi" alla notifica della richiesta di revoca o sostituzione della misura. Si è inoltre sottolineato che "Tale disciplina mira a garantire alle vittime di reati caratterizzati da violenza alla persona, in relazione alla possibilità che il soggetto, cui i reati sono attribuiti, si renda ancora pericoloso, l'opportunità di apprestare preventivamente le proprie difese, fornendo elementi idonei a rappresentare situazioni che sconsiglino la revoca o la sostituzione richieste" e che "Ciò si correla ad una più ampia e pregnante considerazione dei diritti delle vittime dei reati, in sintonia con le previsioni contenute nella Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, dell'11 maggio 2011, ratificata con legge 77 del 2013, e con le istanze che hanno ispirato la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25/10/2012, recante norme minime in tema di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, cui è stata data attuazione con il d. lgs. 15 dicembre 2015, n. 212". Sulla base dell'illustrazione della ratio della novella dell'art. 299, terzo comma, cod. proc. pen. e degli obblighi assunti nelle pertinenti sedi europee e internazionali, la sentenza - che sul punto richiama Sez. 6, n. 6717 del 5/2/2015, D., Rv. 262272 - giunge alla conclusione che "la persona offesa che deduca la mancata notifica della richiesta di revoca o sostituzione, possa dolersi di ciò mediante ricorso, venendo in considerazione un vulnus alle prerogative specificamente riconosciute alla persona offesa a propria tutela, vulnus che dunque primariamente la stessa persona offesa, proprio in ossequio al quadro di diritti e facoltà più ampiamente riconosciute alle vittime di reato, deve ritenersi legittimata a far valere, potendosi a tal fine richiamare, onde integrare la previsione di cui all'art. 311 cod. proc. pen., le norme che riconoscono il diritto della persona offesa al contraddittorio cartolare, implicanti altresì la possibilità di dedurre il vizio inerente al mancato rispetto del diritto al contraddittorio (di ciò è ad esempio espressione l'art. 409, sesto comma, cod. proc. pen.". In senso sostanzialmente conforme, la Sezione Prima - con sentenza n. 51402 del 28/6/2016, Zacheo, non massimata - ha accolto il ricorso presentato dai prossimi congiunti della vittima di un reato di omicidio non preventivamente informati dall'imputato della richiesta di sostituzione della misura custodiale. Un'ulteriore pronuncia della Quinta Sezione ha ribadito che nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona (nella specie, "stalking"), è ammesso il ricorso per cassazione della persona offesa avverso l'ordinanza con cui si dispone la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva in atto, al fine di far valere la violazione del disposto di cui all'art. 299, comma 4-bis, cod. proc. pen. e la mancata declaratoria di inammissibilità dell'istanza di modifica cautelare di cui sia stata omessa la notifica (Sez. 5, n. 7404 del 20/09/2016, dep. 2017, D., Rv. 269445). In motivazione, la Corte ha chiarito che, al contrario, non possono ritenersi esperibili dalla persona offesa i rimedi del ricorso per saltum, le cui ipotesi sono tassativamente previste dall'art. 311, secondo comma, cod. proc. pen., e dell'appello ex art. 310 cod. proc. pen., quest'ultimo riservato espressamente alle parti processuali ivi indicate, tra le quali non figura la persona offesa. Sulla base di tale contesto normativo, la Corte ha ritenuto che, in mancanza di una specifica disposizione del codice di rito, la persona offesa sia "legittimata ad esperire il rimedio del ricorso per cassazione sulla base della prescrizione di carattere generale di cui all'art. 111, settimo comma, Cost., secondo cui contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali è sempre ammesso il ricorso per cassazione, nonché della previsione di cui all'art. 568, secondo comma, cod. proc. pen., secondo cui sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non altrimenti impugnabili, i provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale".
3.3. A conclusioni opposte è giunta Sez. 5, n. 54319 del 17/5/2017, P.O. in proc. B. e altri, Rv. 27005. Secondo tale pronuncia, nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, è inammissibile il ricorso per cassazione della persona offesa avverso l'ordinanza con cui si sia disposta la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva (diversa dal divieto di espatrio o dall'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria), in atto nei confronti dell'indagato, senza procedere alla notifica alla stessa persona offesa dell'istanza, ai sensi dell'art. 299, comma 3, cod. proc. pen. La Quinta Sezione ha ribadito che né l'art. 310 né l'art. 311 del codice di rito annoverano la persona offesa tra i soggetti legittimati a presentare, rispettivamente, appello o ricorso per cassazione in tema di provvedimenti de libertate, e che dette disposizioni non sono suscettibili di applicazione oltre i casi tassativamente previsti. Ha quindi affermato in motivazione che anche - ed anzi, ancor di più - l'art. 111 Cost. è norma di stretta interpretazione, nel senso che essa impone che i soggetti legittimati all'impugnazione sono solo "colui che soffre la limitazione della propria libertà (ovvero il suo difensore) e l'organo chiamato a tutelare le ragioni - pubbliche - sottese all'esigenza eccezionale di limitare la libertà altrui". La Corte ha inoltre escluso che la generalizzata possibilità di esperire ricorso per cassazione in casi analoghi a quello in esame sia ricavabile da norme disciplinanti altri istituti. In particolare, ha negato che possa a tal fine utilizzarsi "l'interpretazione costituzionalmente orientata formatasi sull'art. 409 cod. proc. pen. in tema di omessa notifica della richiesta di archiviazione alla persona offesa (ove, appunto, la Corte costituzionale ha riconosciuto a quest'ultima il diritto ad impugnare il decreto di archiviazione nell'ipotesi di omesso avviso, oltre i limiti di espressa previsione della norma)". A tale riguardo, la Quinta Sezione ha rilevato come non possa "tralasciarsi il dato che con la sentenza n. 353/1991 la Corte costituzionale ritenne che potesse ricavarsi dal sistema - che già riconosceva espressamente alla parte offesa, proponente opposizione, la legittimazione a ricorrere per cassazione contro l'ordinanza di archiviazione pronunciata dal Gip ad esito dell'udienza in camera di consiglio celebrata senza averle dato di parteciparvi - la sussistenza di un analogo rimedio nell'ipotesi, ben più grave, in cui la persona offesa fosse stata privata "a monte" dell'avviso della richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero nonostante la sua espressa richiesta. Tanto che il giudice delle legç11i evidenziò come quella raggiunta fosse la conclusione non solo più adeguata alla ratio dell'art. 409, comma 6, del codice di rito, ma anche la più conforme all'esigenza di disciplinare unitariamente l'istituto dell'archiviazione, senza implicazioni pregiudizievoli sul principio di tassatività dei mezzi di impugnazione". Sicché "in tanto è stato possibile alla Consulta introdurre un'ulteriore ipotesi di ricorso per cassazione a tutela delle ragioni della persona offesa in quanto, in materia di archiviazione, tale rimedio già esisteva (...), sì da poter pervenire ad una ragionevole disciplina d'insieme". Sulla base di tali premesse sistematiche, la Quinta Sezione ha dunque ritenuto che l'unico istituto idoneo a contemperare l'effettività del diritto al contraddittorio attribuito alla persona offesa col rispetto delle regole generali poste a presidio delle garanzie di tutela della libertà personale, non soggetta a limitazione se non su iniziativa del Pubblico Ministero, fosse quello previsto dall'art. 572 cod. proc. pen., che individua appunto nel P.M. "l'organo preposto a mediare le richieste di impugnazione della parte offesa, in tutti i casi in cui la legge non attribuisce a quest'ultima un potere di impugnazione diretta". In definitiva, dunque, "Le persone offese (...) avrebbero perciò dovuto sollecitare il P.M. ad impugnare l'ordinanza in epigrafe (soggetta ad appello ex art. 310 cod. proc. pen., con successiva ricorribilità per cassazione del provvedimento del Tribunale adito)".
4. Il Collegio non ignora che le decisioni fin qui riportate hanno avuto ad oggetto fattispecie concrete nelle quali era stata dedotta e rilevata la violazione dell'obbligo di informazione della persona offesa imposto alla parte richiedente la revoca o sostituzione della misura coercitiva ai sensi dell'art. 299, comma 3 (e, per le fasi diverse dalle indagini preliminari, dal comma 4-bis) cod. proc. pen.. Rileva peraltro che l'assolvimento di tale obbliqo/onere informativo, previsto a pena di inammissibilità della richiesta, costituisce il necessario prodromo all'apertura del contraddittorio cautelare alla persona offesa, alla quale è consentito, entro un breve lasso temporale, di presentare memorie ai sensi dell'art. 121 cod. proc. pen. Ove si realizzi il suddetto contraddittorio cartolare, poi, la decisione del giudice interviene solo all'esito della descritta sequenza procedimentale. Si tratta di un unitario, complesso sub-procedimento cautelare, specificamente previsto per le richieste di revoca o sostituzione delle misure cautelari coercitive (diverse dal divieto di espatrio o dall'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) applicate per reati commessi con violenza alla persona. In tale peculiare sub-procedimento cautelare, gli obblighi informativi sono dunque direttamente funzionali ed indissolubilmente imbriicati alla facoltà di intervento cartolare concessa alla persona offesa ed alla sua partecipazione attiva al procedimento incidentale. L'art. 299, terzo comma, cod. proc. pen. introduce pertanto, in termini di netta discontinuità rispetto all'assetto previgente, il diritto della persona offesa di partecipare al procedimento incidentale, mediante un'interlocuzione cartolare sulla permanenza o meno dei presupposti della misura coercitiva, anteriormente alla decisione del giudice sull'istanza di revoca o di sostituzione della misura. Si tratta di un rilevante riconoscimento operato dal legislatore al diritto della vittima di partecipare effettivamente al procedimento incidentale sulle modifiche della cautela e di apportare tutti gli elementi a sua conoscenza utili per la decisione. Tale modifica al testo del codice di rito trova del resto la sua ratio nella volontà del legislatore della riforma di garantire alla vittima del reato commesso con violenza alla persona, in termini ampi ed incondizionati, un fascio di diritti e facoltà processuali, tra loro strettamente legati, finalizzati alla protezione della persona offesa mediante la sua informazione e la sua consapevole e attiva partecipazione al procedimento penale, anche attraverso il suo fondamentale apporto conoscitivo laddove si tratti della perdurante adeguatezza delle misure coercitive applicate all'indagato a far fronte alle esigenze cautelari ritenute sussistenti nel caso concreto (così, in motivazione, Sez. 6, n. 8691 del 14/11/2017, A., Rv. 272215). Si tratta, del resto, delle stesse finalità di tutela espressamente indicate al legislatore nazionale dalla direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, ove (considerando 19) si legge che "Scopo della presente direttiva è garantire che le vittime di reato ricevano informazione, assistenza e protezione adeguate e possano partecipare ai procedimenti penali". La direttiva, che ha sostituito la decisione quadro 2001/220/GAI del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, ha inoltre impegnato gli Stati membri dell'Unione a "realizzare significativi progressi nel livello di tutela delle vittime in tutta l'Unione, in particolare nei procedimenti penali", assicurando alle vittime dei reati il diritto a ricevere "informazioni dettagliate", al fine di "prendere decisioni consapevoli in merito alla loro partecipazione al procedimento", informazioni anche "relative allo stato del procedimento" (considerando n. 26). Il diritto di ottenere informazioni sul proprio caso è specificamente disciplinato dall'art. 6, paragrafi 1 e 2, della direttiva, che ne estende l'applicazione non solo in riferimento all'eventuale sentenza definitiva di un processo, ma anche riguardo a tutte le informazioni che "consentono alla vittima di essere al corrente dello stato del procedimento", fatti salvi i casi eccezionali in cui tale comunicazione potrebbe pregiudicare il corretto svolgimento del procedimento. Particolarmente rilevante, inoltre, appare la garanzia riconosciuta alla vittima di essere informata, senza indebito ritardo - almeno nei casi in cui sussista un pericolo o un rischio concreto di danno nei suoi confronti - della scarcerazione o dell'evasione della persona posta in stato di custodia cautelare, processata o condannata, oltre che di eventuali pertinenti misure attivate per la sua protezione in caso di scarcerazione o evasione dell'autore del reato, a meno che tale notifica comporti un rischio concreto di danno per l'autore del reato (art. 6, parr. 5 e 6). A ben vedere, dunque, il segmento del peculiare procedimento in esame volto all'informazione della persona offesa (funzione, questa assolta, prioritariamente dalle restanti previsioni che hanno introdotto obblighi informativi attraverso l'art. 90-ter cod. proc. pen. e il comma 2-bis del medesimo art. 299 cod. proc. pen., vieppiù rafforzati con il disposto dell'art. 2 della I. n. 134 del 27 settembre 2021) non esaurisce le finalità di protezione affidate a quel complesso meccanismo, che vedono nella partecipazione della vittima del reato e nel suo effettivo contributo conoscitivo alla decisione lo strumento più idoneo alla concreta tutela della sua vita e della sua integrità fisica e psichica. La funzione di quegli adempimenti informativi, volta a consentire l'effettiva partecipazione al sub-procedimento cautelare della persona offesa è stata affermata anche dalle Sezioni Unite. Nell'informazione provvisoria resa in relazione al ricorso n. 6769/2021 del 30 settembre 2021 si è precisato, esaminando la questione dell'obbligo cli notificazione della richiesta di revoca o sostituzione della misura agli eredi della vittima del reato di omicidio, che in ragione delle finalità eminentemente informative e partecipative al processo, la notifica di cui ai commi 3 e 4-bis dell'art. 299 cod. proc. pen. deve essere effettuata, in caso di decesso della persona offesa in conseguenza del reato, con le stesse modalità previste per la vittima, ai prossimi congiunti o alla persona a quella legata da relazione affettiva e stabilmente convivente. In definitiva, quindi, la struttura e le finalità del procedimento in esame restituiscono i contorni di uno strumento caratterizzato non solo, e non tanto, dal formale riconoscimento in capo all'imputato o al pubblico ministero di un obblligo di informazione della persona offesa, stabilito a pena di inammissibilità, in ordine alla presentazione di una richiesta di revoca o sostituzione della misura coercitiva in atto, quanto di un vero e proprio diritto della persona offesa di offrire al giudice procedente ulteriori elementi di conoscenza pertinenti alla sua decisione sulla adeguatezza della misura coercitiva applicata a far fronte alle esigenze cautelari tempo per tempo sussistenti nel caso concreto. Diversamente opinando, l'attribuzione di un diritto di informazione e la conseguente, formale instaurazione di un contraddittorio cartolare ad opera della persona offesa, avrebbe una valenza meramente canzonatoria, ove, come avvenuto nel caso di specie, ad esse non si accompagnasse l'effettiva considerazione di quel contributo conoscitivo da parte del giudice. In tale prospettiva, di necessaria ed unitaria considerazione del procedimento incidentale in cui si inserisce il fascio di facoltà e diritti riconosciuti alla persona offesa, la soluzione del rilevato contrasto nella giurisprudenza di legittimità si rivela, al tempo stesso, dirimente per la decisione del ricorso in esame e per la determinazione della reale portata e della effettività delle prerogative processuali riconosciute in sede cautelare alla vittima di delitti commessi con violenza alla persona. Il Collegio rileva, a questo proposito, che il mancato riconoscimento alla persona offesa della legittimazione a impugnare l'ordinanza di revoca o sostituzione della misura coercitiva emessa dal giudice in violazione del diritto al contraddittorio riconosciuto alla stessa persona offesa dall'art. 299, terzo comma, cod. proc. pen., non troverebbe - in un caso, come quello in esame, in cui la richiesta di sostituzione sia stata formulata dal P.M. - adeguata soddisfazione (o effettivo contemperamento) nel meccanismo previsto dall'art. 572 cod. proc. pen. In primo luogo, infatti, la tutela dei diritti della persona offesa sarebbe affidata all'iniziativa del soggetto che aveva richiesto l'adozione dell'atto in ipotesi lesivo di quei medesimi diritti. Senza considerare, poi, che il ricorso proposto in siffatta ipotesi dal pubblico ministero, su sollecitazione della persona offesa, sarebbe probabilmente destinato ad essere considerato non sorretto da concreto interesse, potendosi fondatamente dubitare che tale sia quello, meramente ipotetico e teorico se veicolato dalla parte pubblica che ha visto accolta la sua istanza cautelare, al rispetto della sequenza procedimentale prevista dalla legge. Si troverebbe quindi in tale ipotesi confermata, ed anzi risulterebbe vieppiù evidente, la natura meramente formale, e di fatto illusoria, di garanzie procedurali, pure previste a pena di inammissibilità della richiesta {deducibile e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento cautelare, anche in deroga al principio devolutivo, in caso di appello; Sez. 2, n. 33576 del 14/07/2016, F., Rv. 267500; Sez. 2, n. 29045 del 20/06/2014, I., Rv. 259984) o di nullità di ordine generale (Sez. 5, n. 43103 del 12/06/2017, U., Rv. 271009, riconduce a tale categoria, ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la mancata notifica dell'istanza alla persona offesa), non assistite, in caso di loro violazione, dalla legittimazione della persona offesa ad impugnare il provvedimento viziato. Né può sottacersi che la Corte di Strasburgo ha più volte ribadito che dagli artt. 2 e 3 della Convenzione EDU discende a carico degli Stati l'obbligo positivo di proteggere le persone vulnerabili, fra cui rientrano le vittime di violenze domestiche, sia attraverso misure idonee a porle al riparo da aggressioni alla propria vita e integrità fisica, sia mediante i cosiddetti "obblighi procedurali", dai quali discende il dovere per le autorità pubbliche di instaurare un procedimento penale effettivo e tempestivo, capace di tutelare l'interesse della vittima a ricevere un'adeguata ed efficace protezione "per mezzo del procedimento penale", riconoscendole in particolare il diritto di "essere protetta da ulteriori azioni criminose da parte dell'aggressore" (Cfr. Corte EDU, grande camera, sent. 28 aprile 1998, Osman c. Regno Unito; Corte EDU, grande camera, sent. 10 maggio 2001, Z. e altri, c. Regno Unito; Corte EDU, sez. III, sent. 9 giugno 2009, Opuz c. Turchia; nonché, da ultimo, Corte EDU, Sezione Prima, sent. 2 marzo 2017, Talpis c. Italia). Tale protezione rappresenta del resto il principale obiettivo della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica dell'll maggio 2011, ratificata dall'Italia con la L. 27 giugno 2013, n. 77, anch'essa all'origine delle innovazioni legislative in esame.
5. Ai sensi dell'art. 618 cod. proc. pen., si ritiene, dunque, di rimettere il ricorso alle Sezioni Unite, sulla seguente questione: "se nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona sia ammissibile il ricorso per cassazione della persona offesa avverso l'ordinanza con cui sia stata disposta la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva (diversa dal divieto di espatrio o dall'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) in violazione del diritto al contraddittorio riconosciuto alla stessa persona offesa dall'art. 299, terzo comma, cod. proc. pen."
P.Q.M.
Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.