Deve essere annullata la sentenza che abbia fondato il diniego di prevalenza dell'attenuante del vizio parziale di mente sull'aggravante della recidiva reiterata solo sul divieto previsto dall'ultimo comma dell'articolo 69 Codice penale, dichiarato incostituzionale.
La Corte d'Appello di Genova confermava la sentenza con la quale il Tribunale aveva condannato l'imputato per plurimi e continuati furti commessi all'interno di un Pronto Soccorso ai danni di pazienti in attesa di essere visitati e assistiti.
Contro tale decisione, l'imputato propone ricorso per cassazione, lamentando il mancato riconoscimento del giudizio di prevalenza...
Svolgimento del processo
1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d'Appello di Genova ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Savona in data 23.1.2019, con cui, all'esito di giudizio abbreviato, G. P. R. è stato condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, nonché 240 euro di multa, perché accusato di plurimi, continuati reati di furto aggravati, commessi all'interno del Pronto Soccorso dell'Ospedale di (omissis) nei confronti di pazienti ivi ricoverati e in attesa di essere visitati ed assistiti, sottraendo loro numerosi oggetti di valore che le vittime tenevano nei pressi dei loro letti e barelle; sono state, pertanto, ritenute sussistenti le aggravanti dell'aver commesso i fatti all'interno di un edificio pubblico e dell'esposizione alla pubblica fede, nonché quella della condizione di minorata difesa in cui versavano le vittime stesse, circostanze che, unitamente alla riconosciuta recidiva ex art. 99, comma 4, cod. pen., sono state ritenute equivalenti alle concesse attenuanti generiche equivalenti nonché all'attenuante del vizio parziale di mente.
2. Ha proposto ricorso in cassazione l'imputato, tramite il difensore, deducendo un unico motivo con cui denuncia vizio di violazione di legge avuto riguardo al mancato riconoscimento del giudizio di prevalenza dell'attenuante del vizio parziale di mente, motivato sul divieto derivante dall'art. 69, ultimo comma, cod. pen. in relazione al condannato nei cui confronti venga ritenuta sussistente l'aggravante della recidiva ex art. 99, comma quarto, cod. pen.
Il ricorrente evidenzia che, dopo l'intervento della Corte costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, ultimo comma, cod. pen., nella parte in cui stabiliva il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 89 cod. pen. su detta tipologia di recidiva (intervento avutosi con la sentenza n. 73 del 2020 Corte cost.), tale divieto di prevalenza non può più trovare applicazione.
3. Il PG L. B. ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla valutazione del giudizio di bilanciamento ex art. 69 cod. pen.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato alla luce della sentenza n. 73 del 2020 della Corte costituzionale.
2. Con la sentenza n. 73, depositata il 24 aprile 2020, la Consulta, in accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Reggio Calabria, in riferimento agli articoli 3, 27, terzo comma, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, cod. pen., nella parte in cui, a seguito delle modifiche apportate con B. 251/2005 (cd. "ex Cirielli"), prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all'art. 89 cod. pen. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all'art. 99, comma 4, cod. pen. (ritenendo assorbita ogni questione relativa alla violazione dell'ulteriore parametro invocato dell'art. 32 Cost.). In continuità con le diverse pronunce di parziale illegittimità costituzionale tramite le quali, già in passato, si era riconsegnato al giudice il potere di bilanciare la recidiva con specifiche circostanze attenuanti (cfr. le sentenze della Corte costituzionale nn. 105/2014, 106/2014, 74/2016, 205/2017), confermandosi il limite della "manifesta irragionevolezza" delle deroghe all'ordinario giudizio di bilanciamento discrezionalmente introdotte dal legislatore (in proposito, il richiamo è alle pronunce n. 68/2012 e n. 88/2019 della Consulta), la sentenza in esame ha ricostruito, preliminarmente, la ratio dell'art. 89 cod. pen. nella ridotta rimproverabilità soggettiva dell'autore (così come delineata già nella sentenza n. 364 del 1988), connessa al minore grado di discernimento circa il disvalore della propria condotta e alla minore capacità di controllo dei propri impulsi, in ragione delle patologie o disturbi che lo affliggono.
La Corte costituzionale ha poi ribadito, ancora una volta, che il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del reato, da tempo affermato sulla base di una lettura congiunta degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. (il richiamo è alle sentenze nn. 343/1993, 236/2016, 223/2018, 233/2018, 40/2019 del giudice delle leggi), esige, in via generale, che la pena sia adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di offensività del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo, che dipende in maniera determinante sia dal contenuto della volontà criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, sia dalla eventuale presenza di fattori che pur abbiano influito sul processo motivazionale dell'autore, tra i quali cui rientrano, evidentemente, patologie o disturbi significativi della personalità idonei a diminuire, pur senza escluderla totalmente, la capacità di intendere e di volere dell'autore del reato (nei termini già stabiliti dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 9163 del 25/1/2005, Raso, Rv. 230317). Ne deriva che, nonostante il carattere facoltativo dell'aggravante della recidiva, l'inderogabile divieto di prevalenza su di essa dell'attenuante, sia pur a effetto comune, del vizio parziale di mente - sebbene trovi fondamento sull'assunto secondo cui normalmente merita un maggiore rimprovero chi non rinuncia alla commissione di nuovi reati, pur essendo già stato destinatario di un ammonimento individualizzato sul proprio dovere di rispettare la legge penale, indirizzatogli con le precedenti condanne - non può essere comunque ritenuto compatibile con quella particolare esigenza di determinazione di una pena proporzionata e calibrata sull'effettiva personalità del reo che, come già affermato nella sentenza n. 251 del 2012 Corte cost., costituisce espressione di precisi "equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilità penale".
Ciò in quanto tale divieto non consente al giudice di stabilire, nei confronti del semi infermo di mente, una pena inferiore a quella che dovrebbe essere inflitta per un reato di pari gravità oggettiva, ma commesso da una persona che abbia agito in condizioni di normalità psichica, e, dunque, pienamente capace - al momento del fatto - di rispondere all'ammonimento lanciato dall'ordinamento, rinunciando alla sua commissione: con l'effetto di un'indebita parificazione sotto il profilo sanzionatorio di fatti di disvalore essenzialmente diverso, da tempi ormai risalenti considerato di per sé contrario all'art. 3 Cost. (il richiamo, questa volta, della sentenza n. 73 del 2020 è alla propria pronuncia n. 26 del 1979).
Né - aggiunge, infine, la Corte - tale conclusione comporta alcun sacrificio delle esigenze di tutela della collettività contro l'accentuata pericolosità sociale espressa dal recidivo reiterato, in quanto, nei confronti di chi sia stato condannato a una pena diminuita in ragione della sua infermità psichica, resta ferma, previa valutazione del magistrato di
sorveglianza ai sensi dell'art. 679 cod. proc. pen., l'applicazione di una misura di sicurezza, da individuarsi secondo i criteri oggi indicati dall'art. 3-ter, comma 4, del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito con modificazioni nella legge 17
febbraio 2012, n. 9.
3. Le chiare e condivisibili affermazioni della Corte costituzionale rendono evidente la necessità di annullamento della sentenza impugnata, per consentire al giudice del rinvio di adeguarsi pienamente al principio di individualizzazione concreta della sanzione determinata nei confronti del ricorrente, sulla base dei parametri costituzionali corretti, indicati nella citata pronuncia n. 73 del 2020.
Il Collegio rammenta, in proposito, che già in passato, in occasione di un'altra dichiarazione di incostituzionalità relativa al giudizio "obbligato" di bilanciamento previsto dal legislatore rispetto alla recidiva reiterata, le Sezioni Unite hanno avuto modo di chiarire come si imponga, non soltanto al giudice della cognizione, ma anche a quello dell'esecuzione - travalicando lo stesso limite del giudicato - di ricondurre la sanzione penale inflitta alla "misura costituzionalmente legittima", riparametrando il suddetto giudizio di bilanciamento secondo le indicazioni della Corte costituzionale.
Il riferimento è alla sentenza Sez. U, n. 42858 del 29/5/2014, G., Rv. 260698, con cui si è stabilito, aprendo la strada verso la declinazione di quello che potremmo definire un nuovo "volto costituzionale del giudicato penale", che il giudice dell'esecuzione, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2012 - con cui si è dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui vietava di valutare prevalente la circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma quinto, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen. - può affermare la prevalenza dell'attenuante anche compiendo attività di accertamento, sempre che tale valutazione non sia stata esclusa dal giudice della cognizione in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali.
Orbene, nella fattispecie concreta sottoposta al Collegio, l'unica ratio decisoria individuata dal giudice per escludere la prevalenza dell'attenuante del vizio parziale di mente sulle aggravanti contestate e, in particolare, anche su quella della recidiva ex art. 99, comma quarto, cod. pen., è stata proprio l'esistenza del divieto normativo disposto all'ultimo comma dell'art. 69 del codice penale, poi dichiarato incostituzionale con la pronuncia del giudice delle leggi già esaminata.
La sentenza, pertanto, deve essere annullata con rinvio affinché il giudice del rinvio, ispirandosi all'interpretazione costituzionalmente legittima indicata dalla sentenza n. 73 del 2020, riesamini il motivo di appello dedicato ad invocare il giudizio di prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente sulle contestate aggravanti, compresa la recidiva qualificata, così applicando la nuova dimensione normativa dell'ultimo comma dell'art. 69 cod. pen., seguita alla decisione di parziale incostituzionalità.
Resta inteso che il giudice del rinvio potrà confermare il giudizio di equivalenza tra circostanze di tenore opposto, sulla base di argomentazioni diverse, scevre dall'automatismo obbligato imposto dalla disposizione normativa ed oggi eliminato dalla decisione della Corte costituzionale.
In conclusione, deve affermarsi il seguente principio di diritto: In tema di bilanciamento tra circostanze, deve essere annullata la sentenza che abbia fondato il diniego di prevalenza della attenuante del vizio parziale di mente sull'aggravante della recidiva ex art. 99, comma quarto, cod. pen. soltanto sul divieto "obbligato" previsto dall'ultimo comma dell'art. 69 cod. pen., dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 73 del 2020 della Corte costituzionale, con rinvio al giudice della cognizione affinché riesamini il motivo di appello dedicato ad invocare il giudizio di prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al giudizio di bilanciamento tra le circostanze, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d'Appello di Genova.