In materia di tutela di soggetti incapaci, è preclusa la rideterminazione dell'equa indennità qualora il relativo decreto non sia stato fatto oggetto di reclamo ai sensi dell'articolo 739 del Codice di rito.
Il Giudice Tutelare di Milano rimuoveva con apposito decreto un avvocato dal suo incaico di tutore, disponendo la pubblicazione di un proprio precedente decreto con il quale, tra le altre cose, aveva riconosciuto al medesimo un'equa indennità per gli anni dal 2011 al 2014 in misura pari a 3.600euro. In seguito, l'avvocato presentava allo stesso Giudice un'istanza nella...
Svolgimento del processo
1. Con decreto reso il 24 gennaio 2017, il Giudice Tutelare di Milano rimosse l’Avv. L.V. dall'incarico di tutore di A.C., altresì disponendo la pubblicazione di un proprio precedente decreto, pronunciato il 4 giugno 2015, con cui, tra l’altro, aveva riconosciuto alla prima, ai sensi dell'art. 379, comma 2, cod. civ., l'equa indennità per gli anni 2011, 2012, 2013 e 2014, nella misura di € 3.600,00, oltre iva e c.p.a..
2. Successivamente, il 3 febbraio 2017, il suddetto avvocato presentò un'istanza al medesimo Giudice Tutelare in cui, dopo aver fornito ulteriori spiegazioni in merito alle contestazioni di cui al menzionato decreto di rimozione, chiese: a) la rideterminazione dell'equa indennità per gli anni 2011-2014; b) il riconoscimento della stessa per gli anni 2015 e 2016; c) la compensazione delle somme riconosciute a titolo di equa indennità con quelle oggetto del prelievo di cui al decreto di rimozione del 24 gennaio 2017.
2.1. Il Giudice Tutelare adito, con decreto pronunciato il 20 febbraio 2017: i) rigettò l'istanza tesa a rideterminare l'equa indennità riconosciuta per gli anni dal 2011 al 2014; ii) respinse la domanda di liquidazione dell’analoga indennità per gli anni 2015-2016, in quanto, all’epoca, era ancora in corso l’attività di verifica relativa al contenuto del rendiconto presentato dall'Avvocato V. per il periodo di riferimento; iii) accolse la formulata richiesta di compensazione nei limiti di cui al decreto pronunciato il 4.6.2015.
3. Il reclamo promosso dall’Avv. V., ex art. 739 cod. proc. civ., avverso il descritto decreto del 20 febbraio 2017, volto ad ottenere la rideterminazione dell’equa indennità attribuitale per gli anni dal 2011 al 2014, è stato dichiarato inammissibile dal Tribunale di Milano con decreto del 4 maggio 2017.
3.1. In particolare, quest’ultimo ha opinato che «correttamente […] il Giudice tutelare ha rigettato l'istanza tesa a rideterminare l'equa indennità riconosciuta per gli anni dal 2011 al 2014, avendo già provveduto in merito con un decreto, quello pronunciato il 4.6.2015, che non è stato impugnato e che pertanto è divenuto definitivo. Né vale a ritenere il contrario la circostanza che il provvedimento pronunciato ha la forma del decreto e che, trattandosi di volontaria giurisdizione, lo stesso sarebbe sempre modificabile dall'autorità giudiziaria. Difatti, la revoca del decreto presuppone la possibilità di rivalutare le circostanze poste a fondamento della decisione laddove nel caso di specie, trattasi di equa indennità, di una valutazione, cioè, discrezionale dell'autorità giudiziaria, in merito ad una somma di denaro per definizione non dovuta essendo relativa ad un incarico svolto gratuitamente. Sicché il Giudice procedente non può rivalutare la stessa una volta che si sia pronunciato sull'equa indennità. La decisione in tema di equa indennità deve ritenersi suscettibile di divenire definitiva atteso, quindi, l'oggetto della pronuncia che non è relativo ad una deliberazione in merito al luogo di V., in ipotesi modificabile con il mutare delle circostanze, ma al riconoscimento di una somma di denaro con riferimento ad un periodo circoscritto di attività, paragonabile, quanto agli effetti, ad una pronuncia sulle spese. Ne consegue che, non essendo stato impugnato il decreto con il quale è stata disposta la rimozione (del quale si chiede la revoca ma che non risulta essere stato impugnato nei termini di legge), né quello con il quale è stata riconosciuta l'equa indennità […] il reclamo deve essere dichiarato inammissibile».
4. Avverso questo provvedimento, ricorre per cassazione, ex art. 111, comma 7, Cost., l’Avv. V., affidandosi a tre motivi. La Procedura di tutela di A.C., in persona del tutore R.P., non svolge difese in questa sede.
Motivi della decisione
1. Posta la sicura ammissibilità, ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost. dell’odierno ricorso (cfr. Cass. n. 7355 del 1991; Cass. n. 4755 del 1983), i formulati motivi denunciano, rispettivamente: I) «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 739, comma 2, 741 e 742 c.p.c., in relazione all’articolo 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.», per avere il Tribunale di Milano dichiarato l'inammissibilità del reclamo, assumendo il decorso dei termini per l'impugnazione dei decreti del Giudice Tutelare datati 24 gennaio 2017 e 4 giugno 2015, in quanto di essi "l'avvocato V. ha avuto conoscenza, come risulta dalla documentazione in atti, nonché dal contenuto stesso del reclamo”. La ricorrente afferma che mai ha avuto formale conoscenza del decreto del 4 giugno 2015, essendo stata solo verbalmente notiziata del contenuto del medesimo in occasione della convocazione, in data 24 gennaio 2017, davanti al Giudice Tutelare. Infatti, il suddetto provvedimento mai è stato depositato in cancelleria, né le è stato comunicato e/o notificato, laddove i termini per proporre impugnazione dei decreti del Giudice Tutelare decorrono non dalla conoscenza del contenuto dell'atto, bensì dalla data della loro formale comunicazione ex artt. 136, 739, comma 2, cod. proc. civ. (se vi è una sola parte), ovvero dalla data della notifica del provvedimento (se vi sono più parti); II) «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 739, comma 2, 741 e 742 c.p.c., in relazione all’articolo 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.», per aver dichiarato, il Tribunale di Milano, l'inammissibilità del reclamo, assumendo che, in ogni caso, “l'istante tuttavia non risulta aver impugnato alcuno dei decreti sopra citati che sono pertanto divenuti definitivi”. Si afferma, in proposito, che nessuno dei decreti del Giudice Tutelare di Milano è mai divenuto definitivo. Nel termine di dieci giorni dalla comunicazione l'Avv. V. aveva chiesto al Giudice Tutelare la modifica e/o revoca, ex art. 742 cod. proc. civ., del provvedimento 24 gennaio 2017, alla luce delle argomentazioni dedotte e della documentazione versata agli atti. All'esito, avuta formale comunicazione del provvedimento del Giudice Tutelare del 17 febbraio 2017, depositato il 20 febbraio 2017, l'interessata lo aveva impugnato in data 28 febbraio 2017, e quindi nei termini, con rituale reclamo al Collegio; III) «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 739, comma 2, 741 e 742 c.p.c., in relazione all’articolo 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.», per aver dichiarato, il Tribunale di Milano, l'inammissibilità del reclamo assumendo che: "Correttamente, quindi, il Giudice Tutelare ha rigettato l'istanza tesa a rideterminare l'equa indennità riconosciuta per gli anni dal 2011 al 2014, avendo già provveduto in merito con un decreto, quello del 4.6.2015 che non è stato impugnato e che pertanto è divenuto definitivo". Si deduce che la decisione del tribunale di dichiarare inammissibile il reclamo, per effetto di un giudicato formatosi sul provvedimento liquidatorio del 4 giugno 2015, è viziata perché quest’ultimo mai è stato formalmente portato a conoscenza dell’Avv. V., mai essendo stato depositato, né comunicato e/o notificato nel rispetto delle norme processuali.
2. Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connesse, si rivelano insuscettibili di accoglimento per le dirimenti ragioni di cui appresso.
2.1. È assolutamente pacifico che il decreto del 4 giugno 2015 del Giudice Tutelare di Milano, recante la liquidazione dell’equa indennità, ex art. 379 comma 2, cod. civ., in favore dell’Avv. V. per gli anni dal 2011 al 2014, non venne pubblicato al momento della sua emissione. Di esso, infatti, - come espressamente si legge nel provvedimento oggi impugnato - fu disposta la pubblicazione con il successivo decreto pronunciato il 24 gennaio 2017, dal medesimo Giudice Tutelare di Milano.
2.1.1. Da tanto consegue, innegabilmente, che, almeno dal momento della pubblicazione del decreto del 24 gennaio 2017, l’Avv. V. era in condizione di impugnare sia quest’ultimo provvedimento che il precedente decreto del 4 giugno 2015 (di cui, tramite la pubblicazione disposta dal primo, aveva avuto formale conoscenza), fino ad allora, invece, mai pubblicato.
2.2. Il Tribunale di Milano, poi, ha dato espressamente atto che nessuno dei menzionati provvedimenti è stato “impugnato” dalla odierna ricorrente. Tale circostanza, peraltro, è confermata proprio dall’Avv. V., la quale (cfr. pag. 3 del ricorso) ha affermato di aver domandato, allo stesso Giudice Tutelare di Milano, in data 3 febbraio 2017, la “modifica e/o revoca” del decreto del 24 gennaio 2017: la stessa, cioè, ha inteso avvalersi di rimedi tipologicamente diversi, per caratteristiche e giudice competente a deciderli, dal reclamo.
2.2.1. In proposito, infatti, è sufficiente ricordare che: i) il reclamo è lo strumento di impugnazione che l’art. 739 cod. proc. civ. prevede contro (tra gli altri) i decreti resi dal giudice tutelare, la cui decisione è affidata al tribunale in composizione collegiale (vale a dire al giudice immediatamente superiore al primo, di cui quest’ultimo non può fare parte). Esso serve per rendere operante il principio del cd. doppio grado anche nei procedimenti di volontaria giurisdizione (tra cui rientrano quelli riguardanti lo svolgimento della tutela delle persone incapaci); ii) la revoca e/o la modifica dei decreti resi dal giudice tutelare, invece, riflettono una delle caratteristiche tipiche di tutti i procedimenti di volontaria giurisdizione, da individuarsi nella regola enunciata dall’art. 742 cod. proc. civ., a tenore del quale “i decreti possono essere in ogni tempo modificati o revocati” salvi soltanto “i diritti acquisiti in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca”. Peraltro, a differenza del reclamo, che si chiede al giudice superiore, la revoca e/o la modifica competono al giudice che ha emanato il provvedimento.
2.3. Nella specie, poi, la decisione adottata dal Giudice Tutelare di Milano, il 20 febbraio 2017, sulla menzionata istanza di modifica e/o revoca dell’Avv. V. è stata fatta oggetto di reclamo ex art. 739 cod. proc. civ. innanzi al tribunale in composizione collegiale.
2.3. La questione che sostanzialmente si pone, dunque, è se, attraverso il rimedio della revoca/modifica richiesta dall’odierna ricorrente con riguardo al solo provvedimento del Giudice Tutelare di Milano del 24 gennaio 2017, potesse essere invocata, o non, anche la “rideterminazione” dell’equa indennità ex art. 379, comma 2, cod. civ., sancita nel precedente decreto del medesimo giudice del 4 giugno 2015, ma la cui pubblicazione era stata disposta solo per effetto di quello del 24 gennaio 2017, benché il primo di questi non fosse stato reclamato.
2.4. Ad avviso di questo Collegio la risposta ad un tale interrogativo deve essere negativa.
2.4.1. Invero, è opportuno ricordare che per revoca del decreto si intende il suo ritiro per motivi di legittimità o di opportunità; diversamente, la modifica include tanto la revoca parziale che l'integrazione del provvedimento. Entrambi i rimedi, quindi, presuppongono chiaramente l’esistenza del potere del giudice di rivalutare le circostanze già poste a fondamento della sua decisione, perché evidentemente suscettibili di mutare con il trascorrere del tempo, e rispondono all’esigenza di rendere il provvedimento adottato quanto più possibile adeguato alla concreta situazione fattuale come successivamente sviluppatasi. Laddove, invece, una tale esigenza non sia configurabile, nemmeno può considerarsi possibile l’esistenza e/o l’esercizio del potere suddetto.
2.5. Orbene, la vicenda oggi all’attenzione di questa Corte va ricondotta proprio a questa seconda tipologia di fattispecie.
2.5.1. In questa sede, infatti, si discute della quantificazione dell’equa indennità ex art. 379, comma 2, cod. civ., vale a dire di quello strumento che consente al giudice - pur mantenendo l’ufficio tutelare il carattere della gratuità, oltre che della doverosità, in ragione dell’alto valore sociale insito nella cura degli incapaci - di assegnare al tutore, in rapporto alla «entità del patrimonio» ed alle «difficoltà di amministrazione» dell’incapace, appunto una «equa indennità» come rivalsa della perdita patrimoniale derivabile al tutore per non potere attendere alle normali sue occupazioni nel tempo dedicato all'ufficio tutelare. Si è al cospetto, in tal caso, di una ponderazione affatto discrezionale dell'autorità giudiziaria, avente ad oggetto una somma di denaro per definizione non dovuta essendo relativa ad un incarico svolto gratuitamente. Ciò induce, quindi, a ritenere che il giudice procedente non possa rivalutare (rectius: rimeditare) la decisione sulla stessa una volta che si sia pronunciato sull'equa indennità.
2.5.2. Ne consegue, allora, che quella decisione, in quanto riferita ad un periodo circoscritto di attività del tutore ed a puntuali circostanze fattuali ivi esaminate per la effettuata liquidazione, deve ritenersi suscettibile di divenire definitiva ove non fatta oggetto di tempestivo reclamo ex art. 739 cod. proc. civ., quest’ultimo essendo, come si è detto, l’unico strumento di impugnazione previsto contro (tra gli altri) i decreti resi dal giudice tutelare al fine di assicurare, anche in questi casi, il cd. doppio grado di merito. Del resto, una siffatta conclusione trova conferma proprio nella riconosciuta ricorribilità, ex art. 111, comma 7, Cost. del decreto camerale che su di essa statuisca (cfr. Cass. n. 7355 del 1991), certamente inipotizzabile ove, al contrario, si ritenesse trattarsi di un provvedimento sempre modificabile.
2.6. Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, mai avendo l’Avv. V. tempestivamente reclamato - pur dopo averne avuto conoscenza formale, almeno con il decreto del 24 gennaio 2017 del Giudice Tutelare di Milano, che ne aveva disposto la pubblicazione fino ad allora non avvenuta - il precedente provvedimento del medesimo giudice del 4 giugno 2015, avendo solo domandato la revoca e/o la modifica dell’appena menzionato decreto del 2017, affatto correttamente il tribunale di quella stessa città, pronunciandosi sul reclamo promosso dalla odierna ricorrente avverso il (diverso) provvedimento reso il 20 febbraio 2017 dal citato Giudice Tutelare sulla predetta istanza di revoca e/o modifica di quest’ultimo, ha ritenuto inammissibile, in quella sede, ogni altra statuizione circa l’equa indennità relativa agli anni (2011-2014) de quibus.
2.7. Va enunciato, quindi, il seguente principio di diritto: “In tema di tutela di soggetti incapaci, il decreto che riconosca al tutore un’equa indennità ex art. 379, comma 2, cod. civ., può riguardare un periodo circoscritto della sua attività oppure l’intera durata della stessa; le circostanze fattuali considerate dal giudice, già poste a fondamento della decisione e della liquidazione dell’importo, sono insuscettibili di mutare con il trascorrere del tempo, sicché tale provvedimento, ove non fatto oggetto di tempestivo reclamo ex art. 739 cod. proc. civ., diviene definitivo, così precludendo la possibilità di una sua revoca o modifica”.
3. Il ricorso, pertanto, va respinto, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo la Procedura di tutela di A.C. rimasta solo intimata, altresì dandosi atto - in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 - che, stante il tenore della pronuncia adottata, «sussistono, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/02, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto», mentre «spetterà all'amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento».
4. Va, disposta, da ultimo, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del d.lgs. n. 196/2003.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del d.lgs. n. 196/2003.