
Il conflitto tra acquirente a titolo derivativo, ove si colloca l'aggiudicatario a seguito di procedimento di espropriazione, e acquirente per usucapione va risolto sempre a favore del secondo, qualificandosi il titolo dell'aggiudicatario come derivativo.
Il Giudice di prime cure accoglieva la domanda proposta dall'attore nei confronti di una società a cui è seguita la dichiarazione che egli era divenuto proprietario per usucapione di uno stacco di terreno che la convenuta aveva in potere per via di un decreto di aggiudicazione emesso a seguito di espropriazione immobiliare esperita nei confronti del...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
<<il Collegio condivide i rilievi enunciati dal Relatore in seno alla formulata proposta nei termini seguenti: ritenuto che la vicenda, per quel che ancora qui residua d'utilità, può riassumersi nei termini seguenti: - il Tribunale accolse la domanda di A.S. proposta nei confronti della s.r.l. S.I., dichiarando che l'attore era divenuto proprietario per usucapione di uno stacco di terreno, che la convenuta aveva in ,Potere per effetto di un decreto di aggiudicazione, a seguito d'espropriazione immobiliare nei confronti del titolare; - la Corte d'appello di Lecce, accolta istanza di correzione d'errore materiale, che qui non rileva riprendere, rigettò l'impugnazione avanzata dalla convenuta; - la s.r.l. S. I. ricorre avverso la sentenza d'appello sulla base di due motivi [e A.S. resiste con controricorso]; Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 2919 cod. civ., lamentando che la Corte di merito, nonostante fosse stata puntualmente sollecitata dall'appellante, non aveva esaminato la peculiarità del caso alla luce dei precedenti giurisprudenziali di legittimità, che avevano messo in dubbio la natura derivativa dell'acquisto dell'aggiudicatario da procedura espropriativa, che avevano spiegato la inopponibilità all'aggiudicatario del possesso e della detenzione alieni che all'aggiudicatario possono opporsi solo i diritti t:be possono essere fatti valere nei confronti del creditore procedente, che, infine, il decreto di aggiudicazione è opponibile ai terzi ''se il loro godimento non discende da titolo valido che attribuisca situazione di diritto soggettivo già opponibile alla massa". La doglianza è manifestamente destituita di giuridico fondamento. Secondo l'opinione consolidata l'acquisto dell'aggiudicatario dalla procedura d'espropriazione deve qualificarsi a titolo derivativo. Da ciò deriva che all'aggiudicatario è ben opponibile l'acquisto a titolo originario per usucapione, che egli non può che subire. Le osservazioni della ricorrente restano travolte dalla superiore constatazione. Infatti, come ha ben spiegato questa Corte, “Nessuna efficacia interruttiva del possesso ad usucapionem hanno, per converso, azioni esecutive promosse da terzi nei confronti del proprietario - tanto più ove ad esse il possessore sia rimasto del tutto estraneo, come nella specie, ma è una notazione solo marginale, in quanto il coinvolgimento del possessore diverso dal proprietario, per essere efficace, dovrebbe implicare, per tutto quanto sin qui evidenziato, anche una valida contestazione del suo rapporto materiale con il bene - giacché vicende giudiziarie siffatte non incidono in alcun modo sulla situazione di fatto, della quale né viene contestata la legittimità né viene materialmente impedito l'esercizio nei confronti del titolare di essa, onde non comportano alcuna conseguenza sulla continuità del possesso (Cass. 6.6.83 n. 3836). Né può avere efficacia alcuna, nei confronti del soggetto che sul bene vanti un intervenuto acquisto del diritto di proprietà a .titolo originario per usucapione, il decreto d'aggiudicazione in favore d'altro soggetto che lo stesso bene abbia acquistato nel procedimento d'espropriazione promosso dai creditori in danno del proprietario, in quanto è pacifico che il conflitto tra l'acquirente a titolo derivativo e l'acquirente per usucapione debba essere sempre risolto in favore del secondo, anche indipendentemente dalla trascrizione della sentenza che accerta l'usucapione e dall'anteriorità della trascrizione di essa o della relativa domanda rispetto alla trascrizione dell'acquisto a titolo derivativo, ed il titolo dell’aggiudicatario, formatosi per trasferimento iussu iudùis del medesimo diritto del proprietario esecutato è, infatti, derivativo e non originario (Cass. 28.1..85 n. 443, 28.5.80 n. 3508, 11.10.17 n. 4331). Conclusione siffatta non contraddice l'altro principio, del pan· indiscusso, per cui nell'espropriazione forzata immobiliare il decreto di trasferimento ex art. 586 CPC costituisce titolo esecutivo, per il rilascio dell'immobile espropriato in favore dell'aggiudicatario cui l'immobile è stato trasferito, nei confronti non solo del debitore esecutato ma anche di chiunque si trovi nel possesso o nella detenzione dell'immobile medesimo, giacché è fatta salva la sussistenza, in capo al possessore o detentore, di situazioni di diritto soggettivo, reale o personale, già opponibili ai creditori procedenti ed, in quanto tali anche all'aggiudicatario. Ora, è evidente come l'usucapione rappresenti un titolo d'acquisto della proprietà originario e del tutto autonomo rispetto a quello del proprietario, opponibile, quindi, a questi eppertanto anche ai suoi creditori dunque prevalente rz'sj,1etto a quello dell’aggiudicatario, secondo quanto sopra già considerato. In definiti11a, poiché sotto nessuno dei profili posti dalla corte territoriale alla base dell’adottata decisione poteva legittimamente affermarsi che fossero stati posti in essere atti idonei ad interrompere il decorso del tempo necessario al compimento dell'usucapione vantata dal (...) e da questi opposta al(...) con domanda d'accertamento" (Sez. 2, n. 14733, 14/1/2000). Il secondo motivo, con il quale la ricorrente denuncia violazione dell'art. 116 cod. pro&: civ., n relazione all'art. 1158 c.c.” assumendo che la Corte di merito aveva violato “il parametro del prudente apprezzamento" impostogli dall'art. 116 cod. proc. civ., nel vagliare l'attendibilità testimoniale, così violando il criterio della ragionevolezza, non supera lo scrutinio d'ammissibilità per le ragioni che seguono. Nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la censura investe inammissibilmente l'apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l'escamotage dell'evocazione dell'art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli art. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori· dei limiti legali o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione [(cfr., da ultimo, S.U. n. 20867/2020 e successivamente, Sez. 5, n. 16016/2021; ma già, ex multis, Sez. 6, n. 27000/2016)]. Infine, è appena il caso di precisare, che la denunzia di violazione di legge non determina, per ciò stesso, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l'accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all'evidenza, occorrente che l'accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459). Di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis, n. :1, cod. proc. civ., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d'inammissibilità, che può rilevare ai fini dell'art. 334, comma 2, cod. proc. civ., sebbene sia fondata, alla stregua dell'art. 348-his cod. prot: civ. e dell'art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell'esonerare la Suprema Corte dall'esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi "inconsistenti">>. Le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore del controricorrente siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del resistente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge; ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.