Con l'ordinanza in commento, la Cassazione ricorda l'avvenuta depenalizzazione per effetto del Decreto Legislativo numero 7 del 2016.
L'imputato propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello di Messina lamentando, tra i motivi di doglianza, che il Giudice di secondo grado aveva ritenuto ancora punibile il falso in assegno di conto corrente munito della clausola di non trasferibilità nonostante l'
Svolgimento del processo
Avverso la sentenza indicata in epigrafe, che ha riformato solo quoad poenam la sentenza di condanna emessa dal tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto in data 26 marzo 2018, propone ricorso per cassazione l'imputato, a ministero del difensore di fiducia, deducendo a ragione della impugnazione i motivi in appresso sinteticamente indicati, ai sensi dell'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
1. violazione e falsa applicazione della legge penale, motivazione meramente apparente (art. 606, comma 1, lett. b ed e, cod. proc. pen.), per avere la Corte divisato penale responsabilità dell'imputato, per il delitto di truffa commessa solo attraverso la sottoscrizione -con altrui generalità- di un assegno di conto corrente bancario provento di delitto con il quale l'agente acquistava merce per complessivi euro 4.098,55, senza quindi che fosse materialmente commesso alcun artifizio teso a raggirare l'alienante sulla solvibilità del titolo consegnato in pagamento;
2. violazione e falsa applicazione della legge penale (art. 606, comma 1. lett. b, cod. proc. pen., in relazione all'art. 491 cod. pen.), avendo la Corte ritenuto ancora punibile il falso in assegno di conto corrente bancario munito della clausola di non trasferibilità, laddove il reato è stato depenalizzato (art. 1, comma uno, lett. a, del D.L.vo 15 gennaio 2016, n. 7) e sul punto specifico della rilevanza della clausola di non trasferibilità sono intervenute le Sezioni unite della Corte di legittimità;
3. violazione e falsa applicazione della legge penale (art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.), avendo la Corte territoriale ritenuto punibile la condotta di ricettazione di assegno di conto corrente bancario pur in difetto di prova della realizzazione del delitto presupposto (furto del carnet di assegni), potendo quindi al più trattarsi di appropriazione di cosa smarrita, non più punibile per effetto della depenalizzazione della fattispecie prevista dall'art. 647 cod. pen. (medesimo articolo dello stesso testo legislativo);
4. violazione e falsa applicazione della legge penale, sostanziale e processuale (art. 606, comma 1, lett, be c, in relazione agli artt. 74 e 538, cod. proc. pen.) e mancanza d motivazione, avendo la Corte omesso ogni dovuta argomentazione in ordine alla denunciata violazione della legge processuale, in quanto dovendo l'imputato essere assolto dai reati a lui contestati non poteva esser condannato al risarcimento del danno civile provocato, tanto meno erano da lui dovute le spese processuali in favore della parte civile costituita.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile quanto alle censure poste con i motivi primo, terzo e quarto, per i delitti di ricettazione e truffa già ritenuti in continuazione tra loro, ai sensi dell'art. 606, comma 3, 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., per la manifesta infondatezza e il difetto assoluto di specificità, dei motivi, che non si confrontano con l'ordito motivazionale della sentenza impugnata, ove è esplicita la ricostruzione sia degli elementi materiali che psicologici dei delitti di truffa e ricettazione contestati; mentre è fondato e merita accoglimento il secondo motivo di ricorso speso in tema di punibilità della condotta di contraffazione di assegno di conto corrente, recante clausola di non trasferibilità, in quanto il fatto non è più oggi avvinto alla penalità.
1.1. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso: la Corte territoriale ha, sia pur sinteticamente, osservato che l'aver consegnato in pagamento un assegno di conto corrente provento di delitto e dunque certamente non incassabile, spendendo altrui generalità e sottoscrivendo il titolo con queste diverse generalità, costituisce certamente artifizio idoneo a raggirare il prenditore dell'assegno, che fondando sulla genuinità del titolo consegnato e sulle diverse generalità offerte era indotto a consegnare la merce acquistata dall'agente per un valore corrispondente alla somma portata dal titolo (Sez. 2, n. 32341 del 04/04/2013, Rv. 255978). L'artifizio, infatti, non consiste nel pagamento della merce acquistata con assegno postdatato, quanto piuttosto nella induzione a contrarre e ad eseguire la consegna spendendo altrui generalità, sottoscrivendo l'assegno (provento di delitto) con tali generalità.
1.2. La difesa deduce inoltre violazione della legge penale sostanziale (art. 648 e 647 cod. pen.) in quanto la sentenza impugnata riconosce la penale responsabilità dell'odierno ricorrente per il delitto di ricettazione dell'assegno bancario (recante indicazione a stampa di non trasferibilità), provento di delitto, senza tener conto del fatto che non era certa la consumazione del furto quale reato presupposto, avendo la persona titolare del carnet di assegni solo ipotizzato che il carnet le fosse stato sottratto, non potendo viceversa escludersi che tale libretto fosse solo stato smarrito dalla titolare, dal che consegue la qualificazione del fatto posto a monte della ricettazione (il delitto produttore) ai sensi dell'art. 647 cod. pen., reato depenalizzato per effetto dell'art. 1, comma 1, lett. a), D.L.vo 15 gennaio 2016, n. 7, pubblicato in Gazz. Uff. n. 17 del 22 gennaio 2016 ed entrato in vigore il 6 febbraio successivo, al compimento dell'ordinario termine di vacatio /egis. Il motivo di ricorso, tuttavia, non tiene conto di due essenziali circostanze rilevanti, una in fatto ed una in diritto: a) il fatto istantaneo di ricettazione è contestato come commesso in data precedente alla entrata in vigore (6 febbraio 2016) del provvedimento normativo di depenalizzazione, dal che consegue che il fatto-reato presupposto era ancora penalmente sanzionato al momento del perfezionamento della condotta di ricettazione. Il che rende ininfluente ai fini del perfezionamento del fatto di ricettazione la successiva depenalizzazione del delitto presupposto (Sez. 2. n. 20772, del 4/12/2016, Rv. 267034: In tema di ricettazione, la provenienza da delitto de/l'oggetto materiale del reato è elemento definito da norma esterna alla fattispecie incriminatrice, di talché l'eventuale abrogazione, le successive modifiche o la sopravvenuta incompatibilità di tale norma con il diritto comunitario non assumono rilievo ai sensi dell'art. 2 cod. pen., e la rilevanza del fatto, sotto il profilo in questione, deve essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui è intervenuta la condotta tipica di ricezione della cosa od intromissione affinché altri la ricevano. Fattispecie in tema di ricettazione di un assegno proveniente da un carnet denunciato smarrito, nella quale la S.C. ha evidenziato l'irrilevanza dell'intervenuta depenalizzazione del reato di cui all'art. 627 cod. pen. per effetto del D.Lgs. n. 7 del 15 gennaio 2016; negli stessi sensi, Sez. 3, n. 30591 del 3/6/2014, Rv. 259957; Sez. 2, n. 36281, del 4/7/2003, Rv. 228412); b) la natura stessa del titolo "smarrito", di poi offerto in pagamento della merce acquistata, è da sé solo indicativo della illecita provenienza di un bene (l'assegno bancario) che reca in sé i tratti alfanumerici atti alla sua identificazione (inconciliabili con l'appropriazione di cosa smarrita) e che può circolare solo se consegnato dall'emittente o da persona da questi delegata. In ossequio ad un orientamento consolidato di questa Corte (Sez. 2, n. 4132, del 18/10/2019, Rv. 278225; Sez. 2, n. 24100, del 3/5/2011, Rv. 250566; Sez. 2, n. 46991, del 8/11/2013, Rv. 257432; Sez. 2, n. 22120, del 7/2/2013, Rv. 255929; Sez. 6, n. 15964, del 8/3/2016, Rv. 266534, in motivazione; Sez. 2, n. 22555, del 9/6/2006, Rv 234654) deve quindi ritenersi che l'apprensione di un tale titolo senza restituirlo al legittimo titolare costituisce necessariamente furto; mentre la ricezione, il possesso e la spendita del medesimo titolo, che reca precisi segni identificativi atti alla sua tracciabilità e manifesta la materialità del fatto contestato ed il dolo generico che copre la consapevolezza della provenienza da delitto della res ricevuta; così come la consegna in pagamento del titolo rende epifania della finalità di profitto che caratterizza il dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice già nel momento della ricezione. Le censure svolte con il primo ed il terzo motivo di ricorso si risolvono pertanto nella mera riproposizione delle deduzioni già prospettate al giudice della revisione nel merito e da questi motivatamente respinte, senza svolgere alcun ragionato confronto con le specifiche argomentazioni spese in motivazione; senza cioè indicare le ragioni delle pretese illogicità o della ridotta valenza dimostrativa degli elementi a carico, e ciò a fronte di puntuali argomentazioni contenute nella decisione impugnata, con cui il ricorrente rifiuta di confrontarsi. Questa Corte ha già in più occasioni avuto modo di evidenziare che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, S., Rv. 255568), e che le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l'atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest'ultimo «non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato» (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, L., Rv. 259425). Più in particolare, si è ritenuto «inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso» (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, A., Rv. 243838). Nella medesima prospettiva è stata rilevata, per un verso, l'inammissibilità del ricorso per cassazione «i cui motivi si limitino a enunciare ragioni ed argomenti già illustrati in atti o memorie presentate al giudice a quo, in modo disancorato dalla motivazione del provvedimento impugnato» (Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, C., Rv. 244181). E non è comunque sufficiente, ai fini della valutazione di ammissibilità, che ai motivi di appello vengano aggiunte «frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento attaccato e l'indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito» (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, L., Rv. 254584). Alla luce dei principi che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile limitatamente ai capi che identificano i fatti di ricettazione e truffa descritti in imputazione.
1.3. Del pari è a dirsi per la infondatezza manifesta dell'ultimo motivo di ricorso, evidente essendo che dal riconoscimento della responsabilità dell'imputato per i fatti costituenti reato consegue la condanna al risarcimento del danno patito dalla parte civile, oltre alla rifusione delle spese processuali sostenute per la costituzione di gravame punto e rappresentanza in giudizio. La manifesta infondatezza del esimeva dunque la Corte di merito da ogni argomentazione sul punto.
1.4. Diversamente deve ritenersi per il reato di contraffazione dell'assegno di conto corrente (non trasferibile) consegnato in pagamento, trattandosi di condotte di falso in scrittura privata che devono ritenersi depenalizzate per effetto del D.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, secondo l'interpretazione offerta dalle Sezioni unite di questa Corte (Sez. u., n. 40256, del 19/7/2018, Rv. 273936), che hanno ritenuto sempre depenalizzata la fattispecie afferente gli assegni di conto corrente muniti della clausola di non trasferibilità.
1.4.1. Tuttavia, pur avendo il giudice di primo grado indicato con precisione l'aumento calcolato per continuazione in riferimento alla fattispecie depenalizzata, l'assoluta carenza di criteri indicativi del calcolo effettuato per ridurre in appello la pena complessivamente irrogata in primo grado, già pure ridotta per il rito, non consente a questa Corte di espungere la quota di aumento computata in appello per il delitto oggi depenalizzato.
2. Ferma, pertanto, la irrevocabilità dell'accertamento di responsabilità in ordine ai delitti di ricettazione e truffa, già unificati tra loro in continuazione, si impone l'annullamento con rinvio al giudice del merito perché determini l'entità dell'aumento per continuazione in relazione al reato satellite oggi depenalizzato e lo espunga dal complessivo ammontare della sanzione irrogata, prima di effettuare la riduzione per il rito.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al delitto di cui agli artt. 485, 491 cod. pen., ascritto ai capi B, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e rinvia per la rideterminazione della pena per i residui delitti di ricettazione e truffa, alla Corte di appello di Reggio Calabria. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e irrevocabile l'affermazione di responsabilità.