Da un interrogatorio al CNF era emersa la mancata iscrizione all'Albo speciale, ma essendosi ciò rivelato errato grazie alle prove fornite dal professionista, la Cassazione ha accolto la sua domanda revocatoria.
Nel giudizio promosso dall'ASP Calabrese contro un medico convenzionato, la Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso proposto dall'Ente poiché era emerso, da un interrogatorio al CNF, che il suo legale non era iscritto all'albo dei difensori abilitati al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori. Il professionista veniva contestualmente condannato al...
Svolgimento del processo
1. Questa S.C., con ordinanza n. 17317/2020, ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto dalla Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria (di seguito, ASP) avverso la sentenza della Corte d’Appello di quella stessa città che aveva confermato la condanna al pagamento in favore di E.B., medico convenzionato, della somma di euro 26.023,64 oltre accessori.
2. La S.C. affermava che «dall’interrogazione del Consiglio Nazionale Forense al 9 gennaio 2020» risultava che il difensore della ASP ricorrente, avv. G.V., non era iscritto all’albo dei difensori abilitati al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, sicché, in difetto di tale iscrizione mancava il rituale ius postulandi, né vi era stata produzione di documenti idonei ad attestare in ipotesi il contrario.
3. Nel dichiarare il ricorso inammissibile la S.C. condannava il predetto difensore in proprio al rimborso delle spese del giudizio di legittimità ad E.B., disponendone la distrazione in favore del difensore antistatario avv. F.M..
3. L’avv. G.V. ha proposto in proprio domanda di revocazione della predetta pronuncia, producendo documentazione del Consiglio Nazionale Forense del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Reggio Calabria da cui risulta la sua iscrizione all’albo speciale degli avvocati cassazionisti dal 25.3.2011, provvedendo ad instaurare il contraddittorio nei riguardi della ASP, del B. e dell’avv. F.M., anche in proprio quale distrattario delle spese di giudizio, nelle sua veste di difensore antistatario rispetto allo stesso B..
4. Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Si deve preliminarmente dare atto della regolarità del contraddittorio come instaurato nel presente giudizio di revocazione.
1.1 Nei riguardi del B. e dell’avv. F.M. vi è stata notificazione in forma telematica presso l’indirizzo PEC del difensore, in proprio e quale difensore e procuratore del B. nell’originario giudizio di legittimità, il cui esito positivo è comprovato da documenti cartacei di cui è attestata ai sensi di legge la conformità agli originali telematici.
1.2 Nei riguardi della ASP la notificazione è stata eseguita in analoghe forme, ma direttamente presso l’indirizzo telematico della Pubblica Amministrazione ai sensi dell’art. 16-ter, co. 1-ter, d.l. 179/2012 conv. in L. 221/2012 e si deve ritenere che tale scelta notificatoria sia del tutto regolare ed inevitabile. La domanda di revocazione è infatti destinata ad insistere sulla condanna in proprio al rimborso delle spese processuali pronunciata nei riguardi del difensore odierno ricorrente ed è dunque evidente il conflitto di interesse che si viene a creare con l’ente già dal medesimo patrocinato; conflitto che non avrebbe consentito di ritenere regolare una notificazione, allo stesso ente, presso il predetto difensore nell’originario giudizio di legittimità.
2. Va poi disatteso l’assunto del Procuratore Generale secondo cui il difensore mancherebbe di legittimazione alla proposizione del ricorso per revocazione. Infatti, per le ragioni sopra dette, la condanna al pagamento delle spese è stata formulata nei riguardi dell’avvocato in proprio e quindi essa insiste sulla sua sfera giuridica, sicché vi è piena legittimazione a proporre personalmente impugnazione per far rimuovere gli effetti sfavorevoli nei propri confronti di quella statuizione. In breve, il ricorrente fa valere un diritto proprio a non subire una erronea condanna e tanto basta a radicare la sua legittimazione.
3. La richiesta di revocazione è fondata e va accolta, sussistendone i presupposti. La S.C., nell’originario procedimento di legittimità, ha proceduto al riscontro in autonomia del dato (iscrizione nell’albo dei cassazionisti) rilevante al fine di decidere sulla ritualità del patrocinio dell’avv. V.. Ciò lo si desume dalla terminologia utilizzata («interrogazione»), dall’assenza di documentazione in atti al riguardo e dall’essere il tutto avvenuto al di fuori di qualsiasi contraddittorio. Il collegio ha dunque operato ritenendo quel dato come interno al processo ed immediatamente esaminabile, non diversamente da quanto accade quando il giudice consulta, direttamente o attraverso il cancelliere, un qualsiasi atto del processo, come un registro di indirizzi elettronici valido a fini giudiziali, una notificazione (v. Cass. 10 luglio 2015, n. 14420), un atto difensivo e così via. Nel fare ciò, si è determinata senza alcun dubbio una svista, perché il dato apprezzato, ovverosia l’assenza di iscrizione dell’avvocato V. all’albo speciale, è risultato in sé sbagliato, senza possibilità di ipotizzare errori di giudizio, ma solo, data l’obiettività del riscontro, di percezione.
Non importa quale sia la dinamica di tale deviazione percettiva, in quanto l’ordinamento, all’art. 395 n. 4 c.p.c., valorizza l’errore su un fatto incontroverso la cui consistenza sia incontrastabilmente diversa da quella affermata e non si interessa delle ragioni e dei modi per cui il difetto percettivo si è realizzato. Pur nella estrema particolarità della fattispecie, si deve quindi ritenere, considerando anche l’assenza ab origine di qualsiasi contrasto rispetto al requisito erroneamente affermato come mancante, che siano integrati gli estremi dell’errore revocatorio.
4. Alla revocazione dell’ordinanza segue ai sensi dell’art. 400, co. 1, c.p.c. la decisione nel merito sull’originario ricorso per cassazione.
4.1 Il primo motivo di tale ricorso è rubricato ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 e denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c., sostanzialmente sul presupposto che sia stato valorizzato un documento, la delibera del 26.11.2010, in realtà inesistente perché privo degli elementi essenziali per riconoscere lo stesso come valido atto amministrativo, sicché non poteva neppure affermarsi che esso potesse corroborare altri documenti, tra cui l’attestazione ASP del 6 luglio 2005 a propria volta apoditticamente ritenuta valida ricognizione di debito, sicché nel complesso delle emergenze di causa il credito rivendicato avrebbe dovuto essere ritenuto insussistente. Il motivo è inammissibile perché, lungi dall’incentrarsi su una specifica violazione di legge, si inserisce piuttosto in un complessivo ragionamento finalizzato ad una diversa valutazione delle prove e degli esiti istruttori, impropria rispetto al giudizio di legittimità (Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148). Inoltre, il motivo non fa riferimento alla questione sulla prescrizione, del resto risolta dalla Corte territoriale sul punto dell’interruzione mediante diffide del medico e non su quello dell’effetto ricognitivo del debito e, come tale, interruttivo, degli scritti dell’ASP. Esclusa la questione sulla prescrizione dall’oggetto del contendere in sede di legittimità, è sterile l’insistenza di Asp sull’inesistenza giuridica, a fini probatori del credito, dell’atto del 2010, in quanto la Corte territoriale ha fondato la propria ratio decidendi, in via addirittura assorbente, sull’atto del 2005. Rispetto a tale atto, l’assunto di una portata apodittica della valutazione così svolta invoca una mera diversa valutazione di merito del dato istruttorio, il che non è consentito in sede di legittimità.
4.2 Il secondo motivo di ricorso per cassazione denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 96 c.p.c. Il Tribunale aveva condannato la ASP a pagare al B. l’ulteriore importo di 2.500,00 euro per l’indebita resistenza rispetto a un credito palesemente sussistente. La Corte territoriale, sul punto, ha ritenuto anch’essa la natura dilatoria della resistenza in giudizio e la colpa grave, valorizzando la genericità e l’infondatezza delle difese; sul presupposto della natura dilatoria del comportamento di ASP, ha quindi ritenuto giustificata la condanna ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c. Il motivo di ricorso, nel sostenere che le contestazioni mosse sarebbero state fondate su elementi probatori significativi, attiene ancora una volta alla valutazione dei presupposti di merito della decisione sulla condanna aggravata e, dunque, non è pertinente rispetto al giudizio di legittimità. Il motivo è invece erroneo in diritto nella parte in cui denuncia l’assenza di danni patiti dal B. a cagione della resistenza in giudizio di ASP. Questa S.C. ha già chiarito che l’ipotesi di cui all’art. 96, co. 3, c.p.c. è misura di natura pubblicistica, non a caso attivabile d’ufficio e volta a sanzionare l’abuso dello strumento processuale (Cass. 15 febbraio 2021, n. 3830) con finalità dissuasiva e deterrente (Cass. 4 agosto 2021, n. 22208), sicché non è conferente il ragionamento giuridico fondato sul risarcimento (riparatorio) del danno, semmai riguardante la (diversa) ipotesi di cui all’art. 96, co. 2, c.p.c., che non è però quella cui ha fatto riferimento la Corte territoriale.
5. Venendo - infine - al piano delle spese processuali, va rilevato quanto segue.
5.1. Malgrado la pronuncia rescindente, non può ravvisarsi una soccombenza in capo alle altre parti (ovverosia al B. o al suo difensore distrattario) vuoi perché, non svolgendo alcuna attività difensiva in questa sede, sostanzialmente esse non si sono opposte alla revocazione, vuoi perché risultano vittoriose in sede rescissoria. La pronuncia rescindente importa del resto l’immediato passaggio alla fase rescissoria (senza necessità di ulteriori incombenti processuali: art. 400, co. 1, c.p.c.) e caduca l’originaria fase di legittimità, sostituendosi ad essa integralmente ai sensi e per gli effetti dell’art. 402 c.p.c. Pertanto, il giudizio sull’oggetto del contendere, divenuto unitario fin dall’originario ricorso per cassazione, è da definirsi secondo l’assetto processuale esistente al momento della pronuncia finale, non potendosi procedere ad una regolazione delle spese solo per porzioni di un giudizio che, come detto, in sede rescissoria diviene unico e inscindibile, giudizio nel quale questa S.C. ritiene di compensare le spese considerata la singolarità della vicenda processuale.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando in sede rescindente, accoglie la richiesta di revocazione e revoca l’ordinanza n. 17317/2020 di questa stessa Corte; pronunciando in sede rescissoria, rigetta il ricorso per cassazione. Compensa tra tutte le parti le spese del giudizio.