Scatta la scriminante prevista all'articolo 649 del Codice penale poiché il reato contro il patrimonio commesso in danno del prossimo congiunto è punibile solo quando il fatto è commesso con violenza fisica.
All'esito di giudizio abbreviato, il GIP del Tribunale di Arezzo dichiarava l'imputata responsabile del reato di circonvenzione d'incapace per aver abusato dello stato di infermità e deficienza psichica del fratello inducendolo a compiere un prelievo di una somma di denaro da un libretto postale (cointestato al medesimo e alla nipote) e a...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 25/01/2017, il Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Arezzo, all'esito di giudizio abbreviato, dichiarava M.S. responsabile del reato di circonvenzione d'incapace (a lei contestato in origine in concorso con F.S., giudicata separatamente, la cui posizione è stata definita con sentenza di non luogo a procedere per non aver commesso il fatto, in relazione a questa specifica contestazione), perché, per procurare a sé o ad altro un profitto, abusando dello stato di infermità e deficienza psichica di N.S., manifestatosi almeno negli ultimi mesi dell'anno 2011, lo induceva a compiere, quale atto per lui pregiudizievole, eseguito in data 29/12/2011, il prelievo di euro 20.106,89 da un libretto postale al portatore cointestato a N.S. e a B.S., e il contestuale versamento dell'importo su un nuovo libretto postale cointestato a N.S. e a M.S. (indicato cronologicamente come terzo fatto nell'editto accusatorio). Di conseguenza, il primo giudice condannava l'imputata alla pena di anni uno, mesi quattro di reclusione ed euro 200 di multa con i doppi benefici di legge e la condannava altresì al risarcimento dei danni morali in favore della costituita parte civile B.S. (nipote ed erede di N.S.), che liquidava in via equitativa e definitiva in euro 5.000,00. L'imputata veniva, invece, assolta per gli altri episodi a lei contestati: il primo, relativo alla variazione del nome del beneficiario dell'assicurazione sulla vita di N.S. (commesso il 31/01/2012), per non aver commesso il fatto; il secondo, relativo alla revoca della delega ad operare sul contro corrente di N.S. (commesso il 27/01/2012); il quarto, concernente la sottoscrizione di un riconoscimento di debito con data apparente 31/12/2009, perché il fatto non sussiste.
2. Con sentenza in data 16/01/2020, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti di M.S. per essere il reato a lei ascritto estinto per prescrizione, con conferma delle prescrizioni civili.
3. Avverso la sunnominata sentenza, nell'interesse di M.S., viene proposto ricorso per cassazione, per lamentare quanto segue. Primo motivo: violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. L'imputata viene dichiarata prescritta dalla terza incolpazione che le viene attribuita come commessa singolarmente e non in concorso come da editto accusatorio. Nessuna modifica dell'imputazione risulta essere avvenuta. Se la stessa avesse immaginato una modifica dell'imputazione originaria (realizzata di fatto, a seguito dell'assoluzione della concorrente F.S.), avrebbe intrapreso altra strategia difensiva. Secondo motivo: contraddittorietà e mancanza della motivazione in merito alla condotta attribuita all'imputata sulla base di elementi che non costituiscono prove né indizi gravi, precisi e concordanti. Terzo motivo: vizio di motivazione in ordine alla ricorrenza di una violenza morale inconciliabile con la scriminante di cui all'art. 649 cod. pen. I giudici di merito non hanno in alcun modo spiegato su quale base abbiano potuto affermare che l'imputata fosse stata perfettamente a conoscenza delle volontà testamentarie di N.S. che vedevano come beneficiaria la nipote B.. Quarto motivo: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato esame di sentenze divenute definitive ex art. 238 bis cod. proc. pen. Invero, in data 14/03/2018, il Tribunale di Arezzo pronunciava sentenza ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen. di assoluzione di F.S., per non aver commesso il fatto (sentenza divenuta irrevocabile in data 31/07/2018). Quinto motivo: mancanza e contraddittorietà della motivazione in ordine all'insussistenza della dannosità dell'atto giuridico, in quanto il denaro, all'atto della morte di N.S., sarebbe comunque rimasto nella disponibilità della nipote B..
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato con riferimento al terzo assorbente motivo.
2. Risulta dalle sentenze di merito che la condotta di circonvenzione è stata posta in essere dalla ricorrente in danno del fratello convivente con minaccia, ma in assenza di violenza alla persona. Come è noto, l'art. 649 cod. pen. testualmente dispone - nelle parti qui di interesse - che "Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti da questo titolo in danno ... di un fratello o di una sorella che con lui convivano" e, ancora, che "Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai delitti preveduti dagli articoli 628, 629 e 630 e ad ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone". La norma in questione, perpetuando una linea di politica criminale enucleata dai codici preunitari e dal codice Zanardelli, disciplina in termini derogatori la punibilità e la procedibilità dei delitti contro il patrimonio commessi a danni di congiunti, per ragioni di opportunità, stante la comunanza di interessi economici all'interno della famiglia, ed al fine di evitare che la punizione di tali fatti possa arrecare un pregiudizio sociale maggiore rispetto a quello che può derivare dalla loro mancata punizione. Nel disegno del legislatore, tuttavia, la ragione dell'esclusione o della limitazione dell'intervento punitivo statuale viene meno quando l'azione esorbiti la mera offesa al patrimonio e si risolva anche in una offesa alla persona, ancorché di un familiare. L'ultimo comma dell'art. 629 cod. pen. sancisce, pertanto, che "Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai delitti preveduti dagli artt. 628, 629 e 630 e ad ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone". Fermo quanto precede, deve essere ricordato come secondo l'orientamento di questa Suprema Corte, la minaccia o la mera violenza psichica non esclude la configurabilità della causa di non punibilità e della perseguibilità a querela per i reati contro il patrimonio commessi in danno dei prossimi congiunti, in quanto la clausola negativa prevista dall'art. 649, terzo comma, cod. pen., opera solo quando il fatto sia commesso con violenza fisica (Sez. 2, n. 32354 del 10/05/2013, G., Rv. 255982; ma la medesima ratio decidendi è presente anche in Sez. 6, n. 16469 del 24/03/2021, M., non mass.; Sez. 2, n. 11648 del 27/02/2019, I., non mass.; Sez. 6, n. 26619 del 05/04/2018, D., non mass.).
3. Nella fattispecie, risulta, dunque, pienamente applicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 649 cod. pen., trattandosi di reato patrimoniale commesso in danno di soggetto indicato dal comma 1, n. 3 del citato art. 649 cod. pen., non accompagnato da violenza alla persona. Da qui l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché l'imputata non è punibile ai sensi dell'art. 649 cod. pen., con conseguente revoca delle statuizioni civili. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché l'imputata non è punibile ai sensi dell'art. 649 cod. pen. e per l'effetto revoca le statuizioni civili. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.