Ai fini della configurabilità del reato di cui all'articolo 353-bis Codice penale, si considera «equipollente» al bando di gara solo l'atto che presenta caratteristiche analoghe e risponde alla stessa finalità del bando di gara.
Il Tribunale di Catanzaro annullava l'ordinanza cautelare emessa limitatamente al reato di cui all'
In risposta, il P.M. impugna la...
Svolgimento del processo
1. Il Pubblico ministero presso il Tribunale di P. ricorre per cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale di Catanzaro che, in parziale accoglimento dell'appello presentato da E.R., ha annullato l'ordinanza cautelare emessa il 15 luglio 2021 limitatamente al reato di cui all'art. 353-bis cod. pen. contestato al capo 9 dell'imputazione provvisoria e, per l'effetto, ridotto la durata della misura interdittiva del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione da dodici a cinque mesi. Il ricorso deduce i seguenti vizi : - illogicità manifesta della motivazione nella parte in cui esclude l'esistenza di un precedente accordo collusivo tra il Sindaco del Comune di San Nicola A.M., E.R. e P.S., essendo indubbio che il primo fosse consapevole, all'atto dell'emanazione della delibera della giunta comunale dell'S ottobre 2019 - al pari del responsabile del Servizio Lavori Pubblici del Comune G., M.A., che ha adottato la successiva delibera di affidamento diretto al R. - che parte dei lavori cui questa si riferiva (ovvero la sostituzione della condotta idrica in via del telegrafo del Comune di San Nicola Arcella) erano già stati materialmente eseguiti nell'agosto del 2019, senza alcuna procedura per il conferimento dell'incarico né l'emissione di alcun mandato di pagamento, da P.S.. La medesima delibera, nella parte in cui attesta falsamente la data di inizio dei lavori al 31 ottobre 2019, costituisce, inoltre il mezzo fraudolento adottato per assicurare la copertura finanziaria dei lavori realizzati in via d'urgenza nell'agosto del 2019 e completati con l'interramento della condotta nel maggio 2020. - carenza della motivazione in quanto l'ordinanza impugnata, aderendo all'orientamento giurisprudenziale che, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 353-bis cod. pen., inquadra la nozione "atto equipollente" solo nell'ambito di una "gara" o comunque di una procedura partecipata tra più aspiranti contraenti, con esclusione dell'affidamento diretto, ha omesso di motivare sulla estraneità al perimetro applicativo della fattispecie dell'ipotesi in cui detto strumento venga utilizzato, come nel caso in esame, in maniera distorta.
2. I difensori di E.R. hanno depositato una memoria scritta eccependo sia la carenza di interesse a ricorrere del Pubblico ministero che l'estraneità dei motivi dedotti dal perimetro del giudizio di legittimità.
Motivi della decisione
1. In via preliminare va esaminata la questione relativa alla sussistenza dell'interesse a ricorrere del Pubblico ministero allorché, come nel caso in esame, la misura cautelare sia stata, comunque, confermata anche se non con riferimento a tutte le fattispecie criminose oggetto di contestazione provvisoria. Va detto che sul tema non è ravvisabile un indirizzo univoco nella giurisprudenza di legittimità. Secondo un primo orientamento, infatti, l'interesse a ricorrere è direttamente correlato all'effetto conseguibile con l'accoglimento del ricorso, ovvero alla imposizione, modifica o mantenimento della misura. Si è, pertanto, ritenuto che sussiste un interesse concreto e diretto alla affermazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza soltanto quando detta statuizione sia strumentale alla costituzione ovvero al mantenimento dello stato di privazione della libertà (in questo senso, Sez. 6, n. 23241 del 21/05/2019, V., Rv. 276069; Sez. 6, n. 2386 del 24/06/1998, M., Rv. 212898). In applicazione di tale principio è stato ritenuto inammissibile per carenza di interesse il ricorso per cassazione del pubblico ministero che si dolga esclusivamente della ritenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per taluni dei delitti contestati, nel caso in cui l'ordinanza resa dal tribunale del riesame abbia comunque confermato la sussistenza della gravità indiziaria relativamente ad altri delitti, disponendo il mantenimento della misura (Sez. 6, n. 23241 del 21/05/2019 , V., Rv. 276069). Analogamente, è stato dichiarato inammissibile, per difetto di attualità dell'interesse all'impugnazione, il ricorso per cassazione del pubblico ministero avverso l'ordinanza del tribunale del riesame che abbia escluso la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale, in quanto l'incidenza della contestazione cautelare della circostanza sui termini di durata massima della custodia cautelare costituisce oggetto di situazioni future (Sez. 6, n. 3326 del 28/11/2014, dep. 2015, P., Rv. 262080). Altro orientamento ha, invece, riconosciuto la sussistenza dell'interesse a ricorrere anche in ragione di una utilità pratica, anche di carattere processuale, derivante dall'accoglimento del ricorso. È stato, ad esempio, riconosciuto l'interesse del pubblico ministero a proporre appello avverso l'ordinanza cautelare emessa solo per alcuni dei reati contestati al fine di conseguirne l'estensione anche agli altri reati per i quali il giudice abbia ritenuto insussistenti i gravi indizi di colpevolezza (Sez. 1, n. 20286 del 17/06/2020, P., Rv. 280123) ovvero con riferimento all'ordinanza con la quale il tribunale del riesame, pur confermando il provvedimento applicativo della custodia cautelare in carcere, abbia escluso una circostanza aggravante ad effetto speciale quando dal riconoscimento della predetta circostanza possa conseguire l'applicazione di termini di durata della misura maggiori (Sez. 2, n. 45459 del 06/10/2016, V., Rv. 268272; Sez. 2, n. 32655 del 14/07/2015, Senatore, Rv. 264526). Questo Collegio ritiene di non potere aderire pienamente a nessuno dei due orientamenti sopra esposti. Se è indubitabile, come sostiene il primo indirizzo, che l'interesse a ricorrere del Pubblico ministero sia strettamente correlato alla imposizione o al mantenimento della misura cautelare, non può, tuttavia, escludersene la sussistenza anche nel caso in cui, a fronte di un'ordinanza che abbia sostanzialmente mantenuto la misura cautelare applicata, il ricorso sia volto al conseguimento di un risultato processuale immediato e diretto, e non futuro come invece sostiene il secondo indirizzo, quale, nel caso in esame, il ripristino dell'iniziale durata della misura interdittiva. A sostegno di tale conclusione, giova rammentare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'interesse a ricorrere va individuato in una prospettiva utilitaristica correlata agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l'eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l'impugnante rispetto a quella esistente, consistente nella rimozione di una situazione di svantaggio processuale derivante dalla decisione o nel conseguimento di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, M., Rv. 251693; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, T., Rv. 203093; Sez. U., n. 10372 del 27/9/1995, S., Rv. 202269). In particolare, quanto al Pubblico Ministero, detto interesse è stato ravvisato allorché il gravame intenda perseguire un risultato non soltanto teoricamente corretto ma anche praticamente favorevole (Sez. U, n. 9616 del 24/03/1995, B., Rv. 202018). Tornando alla fattispecie concreta, va, dunque, ravvisata la sussistenza dell'interesse a ricorrere del Pubblico ministero in considerazione dell'immediato risultato processuale - il ripristino dell'iniziale durata della misura interdittiva - conseguibile a seguito dell'eventuale accoglimento del ricorso.
2. Nel merito, il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato per le ragioni di seguito esposte.
2.1 Per ragioni di ordine logico, va esaminato prima il secondo motivo di ricorso posto che la sua infondatezza, con l'esclusione della configurabilità del reato di cui all'art. 353-bis cod. pen. nel caso in cui la scelta del contraente avvenga con procedura negoziata senza bando (art. 63 d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50), consente di ritenere assorbito l'esame del primo motivo di ricorso. Ad avviso del ricorrente l'ordinanza impugnata, nell'aderire all'orientamento ermeneutico che esclude l'affidamento diretto dalla nozione di "atto equipollente", rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 353-bis cod. pen., ha omesso di motivare sulla irrilevanza dell'ipotesi in cui detto strumento venga utilizzato in modo distorto. Secondo l'imputazione provvisoria, infatti, nella fattispecie in esame l'affidamento diretto dei lavori al R. sarebbe stato utilizzato per remunerare i lavori di sostituzione della condotta idrica già eseguiti dal S.. Il motivo è infondato. Va, innanzitutto, premesso che è incontestato che il valore dei lavori affidati al R. era inferiore ai 40.000 euro per cui legittimamente poteva disporsene l'affidamento diretto (art. 36, comma 2, lett. a, d.lgs n. 50 del 2016) anziché fare ricorso ad una delle altre procedure previste dal codice dei contratti pubblici. Il ricorrente si limita a porre l'accento sull'accordo collusivo tra R., S. ed il Sindaco M., che avrebbe condizionato la scelta del contraente in modo da assicurare al S. la percezione del compenso per le opere precedentemente svolte. Il rilievo non coglie, tuttavia, nel segno in quanto, senza peraltro confrontarsi con le argomentazioni dell'ordinanza impugnata circa l'insussistenza di elementi indiziari attestanti la sussistenza di un siffatto accordo collusivo, omette di considerare che, anche pervenendo ad una diversa conclusione, detto accordo rileva ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 353-bis cod. pen. solo se interferisce nel procedimento amministrativo volto a determinare il contenuto del bando di gara o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente. Ad avviso del Collegio, il riferimento al bando di gara costituisce un elemento normativo della fattispecie criminosa che richiama la disciplina di quelle procedure di scelta del contraente con la pubblica amministrazione connotate, qualunque sia il relativo nomen iuris, da un lato, dalla competizione tra più aspiranti contraenti e, dall'altro, dalla predeterminazione, di regola attraverso la pubblicazione del bando di gara, delle regole che disciplinano l'oggetto, il contenuto del contratto, i requisiti economici o tecnici richiesti agli operatori economici ed i criteri di selezione delle offerte. Secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di turbata libertà degli incanti, si è, infatti, in presenza di una procedura di gara, anche informale o atipica, ogni volta che la pubblica amministrazione proceda all'individuazione del contraente su base comparativa, a condizione che l'avviso informale o il bando o, comunque, l'atto equipollente indichino previamente i criteri di selezione e di presentazione delle offerte, ponendo i potenziali partecipanti nella condizione di valutare le regole che presiedono al confronto e i criteri in base ai quali formulare le proprie (Sez. 6, n. 9385 del 13/04/2017, dep. 2018, G., Rv. 272227; Sez. 6, n. 8044 del 21/01/2016, C., Rv. 266118). Ad avviso del Collegio, l'individuazione dell'atto "equipollente" al bando di gara, ovvero dell'atto che ha valore ed efficacia a questo analoghi, non può prescindere dalla considerazione delle sue caratteristiche, di oggetto e finalità, cosicché può ritenersi tale solo quello che ha delle connotazioni a questo assimilabili in quanto predetermina le regole del gioco, ponendo i potenziali partecipanti nella condizione di valutare i criteri in base ai quali formulare le offerte e di conoscere i parametri che sovraintendono alla aggiudicazione. Alla stregua di tale criterio ermeneutico possono, dunque, ritenersi "equipollenti" al bando di gara sia l'avviso di indizione della gara che l'avviso di preinformazione (art. 59 d. lgs. n. 50 del 2016), ma non la mera determina di affidamento diretto dei lavori. Da ciò consegue, pertanto, che non è configurabile il reato di turbata libertà degli incanti nel caso in cui la pubblica amministrazione addivenga alla scelta del contraente tramite procedura negoziata non preceduta dalla pubblicazione di un bando. È bene, tuttavia, precisare che siffatta impostazione ermeneutica non intende affatto attribuire una patente di liceità ad eventuali manovre collusive che abbiano condizionato la scelta del contraente, ma solo escluderle dal perimetro applicativo della norma incriminatrice in esame, potendo eventualmente ravvisarsi gli estremi di altre fattispecie, ricorrendone gli altri elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi, quale, ad esempio, il reato di abuso di ufficio. Il Collegio è consapevole dell'esistenza di altro arresto di questa Corte che ha incluso nella nozione di atto equipollente del bando di gara anche la deliberazione a contrarre, qualora la stessa, per effetto della illecita turbativa, preveda l'affidamento diretto ad un determinato soggetto (Sez. 6, n. 13431 del 16/02/2017, I., Rv. 269384). In tale arresto la Corte ha ritenuto che, poiché l'art. 353-bis cod. pen., a differenza dell'art. 353 cod. pen., non circoscrive il novero delle procedure tutelate, l'atto equipollente deve essere individuato con riferimento ad ogni atto che abbia l'effetto di avviare la procedura di scelta del contraente, ivi compresa, pertanto, anche la delibera a contrarre. Siffatta interpretazione omette, tuttavia, di considerare che, a dispetto delle rubrica della norma, ove si richiama genericamente il procedimento di scelta del contraente, il precetto delimita tali procedure a quelle in cui la selezione è disciplinata da un bando o da un atto avente il medesimo valore e significato che, altro non può essere, al fine di poter essere considerato "equipollente", che un atto che detti la lex specialis del procedimento. Equipollente non può, dunque, considerarsi qualunque atto alternativo al bando di gara che abbia l'effetto di avviare la procedura di scelta del contraente, ma solo quello che presenta caratteristiche analoghe e risponde alla medesima finalità del bando di gara. Va, infine, aggiunto che siffatta interpretazione restrittiva della nozione di "atto equipollente" appare coerente con il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, ovvero l'interesse della Pubblica Amministrazione di poter contrarre con il miglior offerente (si veda in tal senso Sez. 6, n. 29267 del 05/04/2018, B., Rv. 273449). Tornando alla fattispecie in esame, ritiene il Collegio che anche a voler ritenere che l'affidamento diretto dei lavori al R. sia stato strumentalizzato per assicurare il pagamento di quanto spettante al S., non sarebbe, comunque, configurabile il reato di cui all'art. 353-bis cod. pen. per le ragioni sopra esposte in ordine alla non riconducibilità della delibera a contrarre nella nozione di atto equipollente al bando di gara.
3. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, il ricorso va, pertanto, rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.